Osteopatia in ospedale: positivo il bilancio al “Monaldi” di Napoli dopo 6 mesi
Osteopatia in ospedale, integrazione alla terapia del dolore all’ospedale Monaldi
Si è appena concluso con successo nell’unità dipartimentale di Terapia del Dolore dell’ospedale Monaldi di Napoli il progetto “Osteopatia in ospedale, integrazione alla terapia del dolore”, avviato a maggio 2015 dagli osteopati Danilo Di Fusco, Mariamichela D’Urso e Luigi Patierno in collaborazione con la scuola di osteopatia barese ATSAI.
“Raggiunto l’obiettivo primario – spiegano nella relazione conclusiva gli autori del progetto – ossia quello dell’integrazione tra osteopatia e medicina. Grazie al prof. Corcione, al dott. Papa, alla dott. Di Dato e a tutta l’equipe del reparto, ci è stata data la possibilità di valutare e trattare in completa autonomia pazienti con diverse patologie e problematiche di non semplice risoluzione, e agli stessi di usufruire di un servizio gratuito e inedito in ospedale, al quale forse non si sarebbero mai affidati per motivi economici o per poca conoscenza dei campi di applicazione dell’osteopatia”.
Sono 60 i pazienti trattati con l’osteopatia durante questo periodo, di cui 26 hanno dichiarato di aver avuto una “completa remissione della sintomatologia”; 24 di essere “molto migliorati” e 10 “poco migliorati”. Molto alto il generale gradimento verso la pratica osteopatica espresso dai pazienti attraverso un questionario finale.
Svariate sono state invece le problematiche riscontrate nei pazienti nel corso dei mesi, molte collegate a vissuti emozionali complessi, stili di vita inadeguati, esiti di traumi e interventi chirurgici, “che alterando l’equilibrio del Sistema Nervoso Centrale, Periferico, Neurovegetativo – spiegano gli osteopati a capo del progetto – possono essere da starter di disfunzioni viscerali, somatiche e cranio-sacrali. Di fatto abbiamo riscontrato soprattutto disfunzioni riguardanti la mobilità e la funzionalità del fegato come congestioni da farmaci, usi e abusi, dell’intestino tenue come disbiosi, del cranio, inerenti cioè la bocca, le malocclusioni, serramenti, bruxismo, disfunzioni temporo-mandibolari, e dei livelli vertebrali associati a questi, sia a livello meccanico (localizzazione anatomica, catene muscolari e fasciali) che neurovegetativo secondo la distribuzione e corrispondenza dei sistemi orto e parasimpatico”.
Funzionamento dell’ambulatorio di osteopatia
Le tecniche osteopatiche manuali strutturali, viscerali, craniali, fasciali sono state applicate a seguito di diagnosi osteopatica sui diversi tessuti in restrizione, con l’obiettivo di ristabilire la mobilità e riattivare la corretta circolazione dei fluidi e degli impulsi nervosi, permettendo così all’organismo di ritrovare autonomamente il suo equilibrio, stimolando l’azione di controllo del SNV nella regolazione dell’omeostasi corporea.
“Al primo incontro – spiega l’osteopata Di Fusco – presa visione della diagnosi medica è stata compilata una scheda comprensiva di dati anagrafici, motivo di consulto, traumi e patologie pregresse, esami diagnostici, valutazione verbale dei vari sistemi ed apparati, red flags, esame neurologico, test ortopedici, osservazione, test osteopatici, valutazione osteopatica. Inoltre è stata somministrata ai pazienti una scala internazionale di valutazione del dolore (NRS) aggiornata ad ogni successivo trattamento”.
È a partire da queste informazioni, tramite la valutazione posturale e la palpazione, che sono state rilevate delle zone di restrizione di mobilità talvolta distanti dal disturbo doloroso, ma comunque connesse attraverso catene muscolari, fasciali, neurovegetative e durameriche, consentendo la formulazione della diagnosi di disfunzione osteopatica.
L’auspicio per il futuro dichiarato dagli osteopati protagonisti de progetto all’ospedale Monaldi di Napoli è quello di prolungare nel tempo questa collaborazione “affinché si possa continuare ad offrire un servizio aggiuntivo ed esclusivo nel sud Italia – spiegano – usufruire di un numero maggiore di pazienti che possa condurre ad uno studio scientifico di rilievo e per continuare ad interfacciarsi con l’esperienza ospedaliera estremamente utile per integrare, insieme all’approccio medico, una visione più olistica del paziente e della sua patologia”.
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