Argomento fondamentale del dibattito sul riconoscimento dell’osteopatia non solo a livello italiano, ma anche europeo, è proprio l’identità osteopatica. Punto cruciale per l’osteopatia in generale e per gli osteopati è infatti definire “cosa siamo”, “chi è l’osteopata”, affinché si possa superare una volta per tutte la confusione che per tanto tempo si è generata attorno a questa professione e chi la pratica.
“Uno degli obiettivi fondamentali per gli osteopati è quello di riconoscersi come categoria – spiega Paola Sciomachen, presidente del ROI – di sentire l’appartenenza ad un gruppo che ha le stesse caratteristiche e gli stessi obiettivi. Per fare ciò dobbiamo lavorare sulla nostra identità, che significa anche conoscere e condividere le proprie competenze, le stesse che consentono alle persone ed alla società in genere di identificare un professionista, perché sono l’esito del processo di formazione. Dobbiamo quindi fare chiarezza su chi siamo – continua la presidente del ROI – e in base a questo chiedere il nostro riconoscimento”.
A questo proposito Paola Sciomachen ci anticipa di un documento ufficiale e condiviso dall’Europa, la norma CEN, “nel quale – spiega – viene identificata l’osteopatia come professione sanitaria e di primo contatto, e definito il profilo professionale ed il percorso formativo. È nostra intenzione quindi avere maggiori momenti di confronto, di dialogo e di informazione con i soci e gli utenti, per costruire insieme il nostro percorso verso il riconoscimento dell’osteopatia avendo ben chiaro chi siamo e qual è il nostro ruolo e la nostra responsabilità”.
Lavorare sul rafforzamento dell’identità osteopatica significa affrontare il ruolo dell’osteopata a prescidere dai titoli pregressi, nel momento in cui diventiamo osteopati e decidiamo di fare gli osteopati, non siamo più fisioterapisti o altro.
Tra l’altro tutti gli osteopati professionisti che conosco e che si sono dedicati alla professione osteopatica non hanno il tempo – oltre che la convenienza – a fare altro. Ma affinché questo possa accadere bisogna decidere di essere osteopati e crederci fortemente.
A.T. Still diceva: “Ogni volta che metti una cosa che non è osteopatia nel tuo lavoro osteopatico, devi togliere un pezzo di osteopatia”. Questo per dire che è difficile parlare di Osteopatia se poi nella pratica ci si allontana dal suo esercizio “puro”, proponendo ai nostri pazienti riabilitazioni, plantari o rimedi di altra natura. Più noi lavoriamo come osteopati più saremo efficaci e più essa troverà la sua affermazione.
Sin dalla prima stesura del modulo di iscrizione a Tuttosteopatia avevo introdotto tra le domande il campo: “cosa è riportato nella tua carta di identità alla voce professione”, e questo in virtù del rafforzamento identitario osteopatico. Cosa dice la tua carta d’identità non serve solo per essere riconosciuto ma anche per riconoscersi.
“Io sono osteopata” è la base su cui costruire la propria identità. Questo aspetto che sembra formale invece trova sempre più credito nelle conoscenze portate dalla fisica quantistica e dal funzionamento del nostro cervello.
Identità osteopatica al corso di marketing osteopatico etico
Nel corso di Marketing Osteopatico Etico lavoro sulla piramide di Dilts (scopri di più sui livelli logici di pensiero della piramide di Dilts), una struttura utile a comprendere e ordinare le azioni da compiere per raggiungere l’obiettivo, rispettando il principio secondo cui “non conta quanto succede attorno a me, ma il modo in cui si risponde a quello che accade”.
La risposta è sempre dentro di noi. Vi invito per comprendere meglio questo concetto ad ascoltare questo audio che ho registrato qualche anno fa, ma ancora attuale, nel quale pongo l’identità all’apice della piramide di Dilts, dopo l’ambiente, il comportamento, la capacità d i valori. È a partire dal lavoro che possiamo fare dentro di noi, sulla nostra identità, che si possono influenzare i livelli inferiori.
Nel corso che propongo e che terrò a Milano il 5 e 6 marzo (in questa pagina i dettagli e modalità di partecipazione), mi propongo di insegnare ad utilizzare la piramide di Dilts come strumento per evidenziare le criticità, i punti su cui poter intervenire e le azioni da compiere, anche per ottemperare ad un punto importante su cui le nostre scuole di osteopatia spesso sono carenti, ossia quello di lavorare sulla crescita personale degli osteopati.
Se si è “costretti” a fare solo fisioterapia pur essendo osteopati o se si hanno pochi pazienti, vanno compiute delle azioni tese a rafforzare l’identità osteopatica ma anche le proprie capacità, i comportamenti e l’ambiente che, se modificati, cambieranno nettamente la situazione.
L’osteopatia è efficace. Questo è il princìpio base da cui partire, pertanto tutti gli osteopati che lavorano bene ed esercitano la professione osteopatica pienamente guadagnano la fiducia dei pazienti che vi si rivolgono per svariate problematiche e disfunzioni, anche diverse rispetto a quelle che li hanno spinti dall’osteopata la prima volta. Per cui non ci resta che fare bene gli osteopati per avere successo.
Prossimo corso 5 e 6 marzo al Milano Business Center – via Mauro Macchi 8
Per info: clicca qui
oppure scrivere a info@tuttosteopatia.it o tel allo 080 396 81 15
Per approfondire l’argomento, leggi anche
- I livelli logici di pensiero: uno strumento per il Marketing Osteopatico Etico
- Corso di Marketing Osteopatico Etico: i livelli logici di pensiero
La formazione è poco omogenea tra le diverse scuole italiane. Ci vorrebbe un programma comune e condiviso,ma soprattutto noi osteopati dovremmo uniformarci maggiormente. Ad esempio:quanti di noi somministrano il note forma soap ai propri pazienti. Se ci vogliamo far accettare dalla comunità scientifica è necessario fornire delle garanzie di metodologia pratica. Poi dovremmo produrre più studi di tipo scientifico per cercare di togliere quel velo di mistero che copre le nostre tecniche.
Credo che prima di ogni altro aspetto occorra approfondire i concetti di responsabilità professionale, tanto in sede formativa che di esercizio. E che dire della responsabilità delle Associazioni che dovrebbero avere anche l’onere di controllare l’effettivo esercizio dell’osteopatia?
Statuti e Codici deontologici delle associazioni professionali rappresentano gli strumenti trasparenti che definiscano obblighi e responsabilità degli osteopati in esercizio.
Di conseguenza, nel caso in cui si intenda realmente promuovere una nuova identità osteopatica, nessuno impedisce l’adeguamento di questi strumenti e la verifica attenta delle prescrizioni contenute.
E’ importante parlarne, ma chi ne ha responsabilità può soprattutto agire. Per esempio, adeguando lo Statuto associativo ai contenuti della norma CEN.
Personalmente, ho contribuito alla stesura dell’uno e dell’altra, in proprio e per conto dell’Associazione professionale degli osteopati.
Per tale ragione, credo di poter affermare che l’esercizio dell’osteopatia debba essere dichiarato e documentato.
Inoltre, ritengo che le Asssociazioni di osteopati che siano in favore dell’esercizio esclusivo dell’Osteopatia debbano prevedere l’associazione dei soli osteopati che possano dimostrare tale requisito. Altrimenti, potremmo chiederci provocatoriamente per quale ragione lo Stato dovrebbe riconoscere l’osteopatia, se noi stessi preferiamo operare sotto altre vesti, negando in tal modo la necessità di una regolamentazione della disciplina.
Penso che sia finito il tempo in cui si possano "tenere i piedi in due scarpe" e che non basti più limitarsi a parlarne.
La fortuna, si dice, premia il coraggio.
Quando due mesi fa sono andato al municipio per rinnovare la carta di identità mi sono definito "osteopata" e l’operatrice alle sportello mi dice: "questa voce non esiste!"
"Va bene", penso io, forte della mia partita iva: "Scriva libero professionista", ma lei di nuovo: "questa voce non è più contemplata!"
Risultato? Alla voce occupazione ci sono delle righe che sbarrano la casella…
Lunga la strada per affermare la nostra identità…
Buongiorno Antonio, se può servirti io e altri colleghi possiamo inoltrarti copia della nostra C.I., in cui risulta la definizione di "Osteopata D.O." alla voce "Professione", come indicato da diversi Comuni italiani.
Allo scopo, ti consiglio di presentare il tuo certificato di attribuzione di Partita IVA in qualità di Osteopata, a dimostrazione che se paghi le tasse come tale, hai pieno diritto di essere definito allo stesso modo nel documento di identità.
In caso di ulteriore diniego, potrai anche giungere a porre Istanza al Sindaco della tua città, ai sensi della legge.
Ti invito a non arrenderti e a percorrere con chi di noi crede realmente all’autonomia degli osteopati la strada a cui fai riferimento. Unione e solidarietà sono la migliore risposta a chi vuole l’osteopatia nel formulario terapeutico di altre competenze.
E voglio ribadire che anche le Associazioni dovrebbero svolgere ruolo di coordinamento e indirizzo degli iscritti al riguardo, visti gli obiettivi dichiarati circa la comune identità professionale. Ad esempio, nella fattispecie, inoltrando lettera formale ai Sindaci dei Comuni che si rifiutano di indicare la nostra professione nelle Carte d’identità, dandone ampio risalto pubblico. Dal mio punto di vista non ci sarebbe modo migliore per spendere i soldi delle quote associative e utilizzare le competenze legali di riferimento.
Occorre, quindi, che noi per primi richiediamo esempi di coerenza e opere concrete ai rappresentanti degli osteopati, stimolandoli ad agire nel nostro interesse, non solo parlando nei Convegni a noi dedicati.
Le battaglie di altre categorie insegnano che "fare bene gli osteopati" è condizione necessaria ma non sufficiente per ottenere il rispetto della nostra dignità. Qualcuno di noi ha già cominciato a farlo.
Buongiorno Antonio, se può servirti io e altri colleghi possiamo inoltrarti copia della nostra C.I., in cui risulta la definizione di "Osteopata D.O." alla voce "Professione", come indicato da diversi Comuni italiani.
Allo scopo, ti consiglio di presentare il tuo certificato di attribuzione di Partita IVA in qualità di Osteopata, a dimostrazione che se paghi le tasse come tale, hai pieno diritto di essere definito allo stesso modo nel documento di identità.
In caso di ulteriore diniego, potrai anche giungere a porre Istanza al Sindaco della tua città, ai sensi della legge.
Ti invito a non arrenderti e a percorrere con chi di noi crede realmente all’autonomia degli osteopati la strada a cui fai riferimento. Unione e solidarietà sono la migliore risposta a chi vuole l’osteopatia nel formulario terapeutico di altre competenze.
E voglio ribadire che anche le Associazioni dovrebbero svolgere ruolo di coordinamento e indirizzo degli iscritti al riguardo, visti gli obiettivi dichiarati circa la comune identità professionale. Ad esempio, nella fattispecie, inoltrando lettera formale ai Sindaci dei Comuni che si rifiutano di indicare la nostra professione nelle Carte d’identità, dandone ampio risalto pubblico. Dal mio punto di vista non ci sarebbe modo migliore per spendere i soldi delle quote associative e utilizzare le competenze legali di riferimento.
Occorre, quindi, che noi per primi richiediamo esempi di coerenza e opere concrete ai rappresentanti degli osteopati, stimolandoli ad agire nel nostro interesse, non solo parlando nei Convegni a noi dedicati.
Le battaglie di altre categorie insegnano che "fare bene gli osteopati" è condizione necessaria ma non sufficiente per ottenere il rispetto della nostra dignità. Qualcuno di noi ha già cominciato a farlo.
Credo che prima di ogni altro aspetto occorra approfondire i concetti di responsabilità professionale, tanto in sede formativa che di esercizio. E che dire della responsabilità delle Associazioni che dovrebbero avere anche l’onere di controllare l’effettivo esercizio dell’osteopatia?
Statuti e Codici deontologici delle associazioni professionali rappresentano gli strumenti trasparenti che definiscano obblighi e responsabilità degli osteopati in esercizio.
Di conseguenza, nel caso in cui si intenda realmente promuovere una nuova identità osteopatica, nessuno impedisce l’adeguamento di questi strumenti e la verifica attenta delle prescrizioni contenute.
E’ importante parlarne, ma chi ne ha responsabilità può soprattutto agire. Per esempio, adeguando lo Statuto associativo ai contenuti della norma CEN.
Personalmente, ho contribuito alla stesura dell’uno e dell’altra, in proprio e per conto dell’Associazione professionale degli osteopati.
Per tale ragione, credo di poter affermare che l’esercizio dell’osteopatia debba essere dichiarato e documentato.
Inoltre, ritengo che le Asssociazioni di osteopati che siano in favore dell’esercizio esclusivo dell’Osteopatia debbano prevedere l’associazione dei soli osteopati che possano dimostrare tale requisito. Altrimenti, potremmo chiederci provocatoriamente per quale ragione lo Stato dovrebbe riconoscere l’osteopatia, se noi stessi preferiamo operare sotto altre vesti, negando in tal modo la necessità di una regolamentazione della disciplina.
Penso che sia finito il tempo in cui si possano "tenere i piedi in due scarpe" e che non basti più limitarsi a parlarne.
La fortuna, si dice, premia il coraggio.
Quando due mesi fa sono andato al municipio per rinnovare la carta di identità mi sono definito "osteopata" e l’operatrice alle sportello mi dice: "questa voce non esiste!"
"Va bene", penso io, forte della mia partita iva: "Scriva libero professionista", ma lei di nuovo: "questa voce non è più contemplata!"
Risultato? Alla voce occupazione ci sono delle righe che sbarrano la casella…
Lunga la strada per affermare la nostra identità…
La formazione è poco omogenea tra le diverse scuole italiane. Ci vorrebbe un programma comune e condiviso,ma soprattutto noi osteopati dovremmo uniformarci maggiormente. Ad esempio:quanti di noi somministrano il note forma soap ai propri pazienti. Se ci vogliamo far accettare dalla comunità scientifica è necessario fornire delle garanzie di metodologia pratica. Poi dovremmo produrre più studi di tipo scientifico per cercare di togliere quel velo di mistero che copre le nostre tecniche.