Cinquantotto bambini in età prescolare su 100, durante l’anno, ricevono almeno un farmaco con notevoli
differenze tra Nord (46 per cento) e Sud (76 per cento). Trattati soprattutto i maschietti sotto l’anno di età (69 per cento contro il 65 per cento femmine). Ad ogni bambino si prescrivono mediamente 2,7 confezioni di medicinali (senza contare i farmaci da automedicazione). I dati allarmanti sono emersi nell’ambito del 68° Congresso Nazionale della Società Italiana di Pediatria (SIP) tenutosi dal 9 all’11 maggio scorso, sulla base di un’indagine frutto di un’osservazione su 1.139.388 bambini da 0 a 13 anni, appartenenti a 28 ASL italiane, afferenti alle regioni Veneto, Liguria, Toscana, Lazio, Abruzzo, Campania, Puglia.
Lo studio ha indagato le caratteristiche della popolazione pediatrica che ha avuto almeno una prestazione sanitaria nel corso del 2010, considerando le prescrizioni farmaceutiche del SSN, i ricoveri ordinari o gli accessi in Day Hospital e le prestazioni specialistiche o diagnostiche.

Smisurato è l’uso di antibiotici, prescritti infatti nel 78 per cento dei casi; di antiasmatici nel 26 per cento dei casi e di corticosteroidi (8,6 per cento). L’effetto che preoccupa è quello di creare resistenze batteriche agli antibiotici, che stanno letteralmente bruciando, uno a uno,  molti antibiotici sui quali un tempo potevamo far conto per il trattamento di un gran numero di malattie infettive.

A questo proposito vi consigliamo di leggere alcuni articoli pubblicati su Tuttosteopatia.it:

Come si legge in una nota stampa divulgata dalla SIP, rispetto al primo report di 13 anni fa, aumenta costantemente l’utilizzo di alcune categorie di farmaci. Cresce l’uso di antisecretivi (antiH2 e PPI), utilizzati nella pratica pediatrica per i sintomi del reflusso gastroesofageo. “Una scorciatoia rispetto a problemi che potrebbero trovare altre soluzioni – ha detto Marisa De Rosa, Direttrice del Dipartimento Sistemi Informativi e Servizi per la Sanità del CINECA – . I disturbi potrebbero essere infatti la “spia” di un malessere legato anche a condizioni socio-ambientali nelle quali vive il bambino: ad esempio cattivi abitudini alimentari o bambini che somatizzano situazioni di stress vissute in famiglia o a scuola”.



Dal punto di vista osteopatico…

Concordiamo con il punto di vista espresso dalla dott.ssa De Rosa riguardo l’importanza di cercare la causa di questi disturbi altrove, non limitandosi a curarne i sintomi. E’ questo peraltro il principio cardine dell’Osteopatia, ossia quello di trovare l’origine del problema e non solo curarne le conseguenze.

In questo caso, i farmaci spesso lavorano sul sintomo e non sulla causa del problema. Dal punto di vista osteopatico, così come ha detto Marisa De Rosa nell’ambito del Congresso SIP, l’alimentazione dei bambini ha un ruolo determinante ed incide in molti disturbi dell’età pediatrica. Per quanto riguarda invece le situazioni di “stress” addotte da De Rosa come causa di problemi nei bambini, dal mio di vista ritengo invece che lo “stress” si manifesti sempre sull’organo che già non funziona. L’Osteopatia è una disciplina da sempre votata al riequilibrio delle funzioni corporee senza l’utilizzo di farmaci, considerando infatti il corpo un’unità funzionale con capacità di “auto guarirsi”. Il ruolo dell’osteopata è sia curativo che preventivo per tutte le fasce d’età. Qui, un elenco di casi che possono esser oggetto di cure osteopatiche.

Dal periodo di gravidanza a quello neonatale, l’osteopata può essere d’aiuto per tutti i disturbi tipici della neonatologia e della pediatria, sia per disturbi pediatrici più comuni, come otiti, dolori addominali, coliche, problemi digestivi, che per quelli meno comuni come la plagiocefalia, dislessia etc.
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