Per comprendere la reale efficacia di una terapia occorre affidarsi al metodo scientifico ed all’interno della celebre piramide delle evidenze, gli studi clinici randomizzati (RCT) si prestano ad essere strumenti particolarmente utili per il raggiungimento di questo scopo. Tuttavia, nonostante questi disegni di ricerca vengano utilizzati con grande successo in ambito farmacologico, applicare tali standard nei contesti di ricerca osteopatica potrebbe generare alcune controversie e distorsioni concettuali.

Ad esempio, in questo ambito è davvero possibile realizzare il doppio cieco? O ancora, se la nostra pratica terapeutica tende a differire da operatore ad operatore, è possibile creare un substrato comune di oggettività? Ed infine, quale potrebbe essere la modalità migliore per impostare la sham therapy? Meglio simulare azioni terapeutiche hands-on o limitarsi ad interazioni hands-off?

Come mi è capitato di ripetere spesso in questi anni, ogni oggetto ha la sua modalità di osservazione più idonea, e quello dell’osteopatia e delle terapie manuali in genere è un contesto sicuramente diverso dal mondo delle molecole e dei principi biologicamente attivi. Pertanto, con lo scopo di far luce sull’argomento, approfondiremo la discussione pubblicata su International Journal of Osteopathic Medicine dai ricercatori D’Alessandro G e colleghi (2022). In questo lavoro, gli autori hanno evidenziato cinque problematiche tipiche della progettazione e gestione degli RCT in osteopatia, delucidando aspetti tutt’ora aperti e non chiariti. Un argomento simile era stato già stato affrontato lo scorso anno (vedi: D’Alessandro G, et al.2021), mediante la pubblicazione di un resoconto  circa “cosa fare”, “come fare” e “cosa evitare” nella realizzazione dei trial clinici osteopatici. Vediamo dunque, quali altre nozioni sono state implementate nel nuovo documento.

Le 5 sfide per i trial di terapia manuale

Metodologia del doppio cieco

Nel contesto degli studi sperimentali farmacologici, quella del doppio cieco è una prassi valida e di comprovata efficacia, viceversa, negli studi di osteopatia e terapia manuale la sua attuazione risulta più complicata di quanto si possa pensare. Questa difficoltà non riguarderebbe tanto i soggetti sottoposti ad osservazione, quanto gli stessi operatori eroganti terapia sperimentale o fittizia.

Ad esempio, in una recente revisione sistematica, 86 studi su 311 sono stati individuati come disegni di ricerca in doppio cieco. Eppure, dando uno sguardo approfondito ai lavori in questione, si può notare come siano stati coinvolti nel blinding solo alcuni individui appartenenti al personale tecnico degli studi (es. addetti alla raccolta ed analisi dati). Una simile prassi metodologica non può quindi rientrare nella definizione originale di “double-blind” e sarebbe opportuno cambiare la titolazione dei lavori con il termine “dual blind”.

Diversamente, in alcune ricerche sulla digitopressione, il problema è stato affrontato addestrando alcuni individui (pazienti o parenti) a somministrare l’intervento manuale, reale o simulato, nella popolazione di riferimento. In ogni modo, anche nel caso in cui si riuscisse a strutturare un doppio cieco perfetto, i lavori sperimentali di terapia manuale non sarebbero esenti da problemi ed errori. Gli autori ne forniscono un elenco ben preciso:

a. Problemi di contaminazione: errori verificantesi quando i partecipanti o i loro caregiver, dopo aver scoperto di essere parte del gruppo controllo, riescono ad ottenere o forniscono un trattamento sperimentale al di fuori dello studio;

b. Problemi di co-intervento: verificantesi quando i caregiver forniscono ai partecipanti del gruppo controllo interventi non correlati allo studio ma comunque efficaci;

c. Distorsioni inerenti la risposta alla terapia: verificantesi quando i partecipanti del gruppo sperimentale, per il semplice fatto di essere sottoposti ad una terapia sperimentale, sono portati a confermare con più facilità la riduzione dei sintomi e l’assenza di eventi avversi minori;



d. Problemi legati ai membri dell’equipe dello studio: verificantesi quando il personale di ricerca, nel sospetto o nella certezza di essere al cospetto del trattamento sperimentale, viene portato a minimizzare i sintomi riportati dai partecipanti, enfatizzando i risultati e sottostimando gli eventi avversi.

Dunque, come risolvere queste problematiche? Per poter prevenire l’eterogeneità metodologica, il rischio di bias e garantire la replicabilità della ricerca, i ricercatori dovrebbero documentare chi è stato sottoposto al blinding, le strategie utilizzate per raggiungere il cieco e riportare quale metodo di blinding abbia avuto maggior successo.

Pre-formazione dell’operatore

Come accennato, l’osteopatia e le terapie manuali subiscono una notevole influenza da parte di alcune caratteristiche operatore-dipendente, come ad esempio l’atteggiamento, la formazione, l’esperienza, i valori e le convinzioni di quest’ultimo. A tal motivo potrebbero subentrare variazioni nella modalità di esecuzione delle tecniche fra i diversi clinici coinvolti nel disegno di ricerca. Pertanto, prima che lo studio abbia inizio, occorrerà sottoporre i terapisti ad una fase di pre-formazione che possa uniformare quanto più possibile le differenze inter-operatore. In aggiunta, occorrerà fornire alle piattaforme di divulgazione scientifica tutta la documentazione dettagliata in merito alle modalità di pre-formazione degli stessi. Purtroppo, una recente revisione sistematica ha rilevato come la maggior parte degli studi di medicina manuale non riporti dati in merito all’eventuale formazione dei professionisti aderenti alle ricerche. È altresì necessario che la formazione in questione sia in grado di affrontare tre domande specifiche:

a. In che modo l’operatore stabilisce la specificità del trattamento? È necessario descrivere il paradigma scientifico, l’approccio e le tecniche su cui i clinici aderenti allo studio sono stati addestrati e, se possibile, includere il curriculum formativo del professionista, incorporando questi dati nel materiale supplementare del protocollo;

b. In che modo l’operatore conduce la terapia simulata? Ovvero, quali strategie sono state applicate dai ricercatori per eludere la specificità ed i possibili effetti della tecnica sham? Il praticante assegnato al gruppo placebo deve infatti essere in grado di evitare l’innescarsi di processi terapeutici. Per minimizzare questa evenienza esistono diversi metodi, ad esempio: evitare il coinvolgimento di barriere o aree soggette a disfunzione somatica, concentrarsi su stimoli acustici piuttosto che su stimoli tattili, impegnare l’attenzione dell’operatore in un compito cognitivo (es. contare mentalmente da 120 a 0, utilizzare metodi di sottrazione seriale del 7, etc). È auspicabile che tutti i professionisti coinvolti aquisicano familiarità con queste tecniche. Secondo gli autori è contemplabile anche l’utilizzo di attori, ovvero, persone di pari età e genere ma senza competenze sulla terapia manuale. Questi soggetti terzi potrebbero essere coinvolti nel caso di studi basati su popolazioni non influenzabili dall’aspetto e dallo stile relazionale, come avviene per esempio nelle ricerche su popolazione neonatale. In questi casi infatti, l’immaturità corticale permetterebbe un’assenza di risposte placebo che, in altri individui, potrebbbero innescarsi a partire da meccanismi top-down, di origine prefrontale e determinate da stimoli contestuali;

c. In che modo l’operatore controlla gli effetti non specifici della terapia (effetto placebo)? Come ottimizzare il comportamento e le competenze trasversali con il paziente? Come rispondere alle domande o alle interazioni durante il trattamento? Questi aspetti sono fondamentali in quanto sia la comunicazione verbale sia la comunicazione non verbale possono contribuire a formare un’alleanza terapeutica ed influenzare l’esito di qualsiasi terapia. In questo caso, la formazione di linee guida, procedure o raccomandazioni generali e la garanzia che i professionisti siano formati a gestire simili contesti, ridurrebbe al minimo il rischio di interazioni potenzialmente inquinanti.

Strategie di reclutamento

Altro fattore cruciale da considerare è il modo in cui i campioni vengono reclutati negli studi. Anche se la letteratura manca di studi che affrontino il problema del reclutamento, gli autori ritengono che su questo tema ruoti parte della critica metodologica della ricerca. Effettivamente, numerose sperimentazioni in questo ambito tendono ad includere partecipanti provenienti da contesti universitari e, sebbene questa fonte di iscrizione sia un modo conveniente per aumentare la dimensione del campione, introduce diversi rischi, ovvero:

a. esiste una maggiore probabilità che professionisti e partecipanti si conoscano e possano discutere della ricerca;

b. gli studenti potrebbero discutere dello studio tra di loro;

c. gli studenti potrebbero accorgersi con più facilità se il trattamento ricevuto sia una terapia fittizia o reale.

Di conseguenza, i ricercatori non dovrebbero limitare i loro studi agli studenti universitari sani o con una specifica condizione clinica, piuttosto dovrebbero reclutare un campione rappresentativo della popolazione generale, condividendo ampiamente l’invito mediante annunci pubblicitari (es. e-mail, social media, passaparola, poster, opuscoli). Il reclutamento all’interno di un’ampia popolazione permetterebbe infatti di rappresentare adeguatamente la popolazione generale, garantendo la comprensione delle decisioni più giuste ed applicabili nel mondo reale. Al fine di raggiungere la rappresentatività della popolazione target, potrebbero altresì essere coinvolti medici e specialisti della ricerca, i quali potrebbero collaborare ad identificate i potenziali partecipanti, soprattutto quando sono presenti condizioni cliniche non comuni.

Obiettivi e risultati

Grazie al loro basso costo ed alla versatilità d’uso, le misurazioni incentrate sui riscontri dei pazienti (PROMs) sono andate diffondendosi nei contesti di ricerca osteopatica e MT. Tali strumenti possono essere d’aiuto per diverse ragioni, come ad esempio, per comprendere il miglioramento della qualità della vita in pazienti con patologie croniche. Tuttavia, per supportare e validare i risultati della sfera soggettiva della persona, non bisognerebbe mai dimenticare di integrare questi mezzi con misurazioni oggettive strumentali. Le PROMs infatti, sono sensibili all’effetto placebo e questo è stato dimostrato in svariate condizioni: dolore, emicrania, insonnia, sindrome dell’intestino irritabile, disturbi gastrici e disturbi genito-urinari.

Anche il tipo di disturbo può essere considerato importante, poiché i pazienti neurologici e psichiatrici mostrano risposte placebo significativamente più elevate rispetto ad altri tipi di pazienti. A tal motivo, utilizzare i PROMs come risultato primario di un RCT, soprattutto in assenza di blinding, è una strategia rischiosa e caratterizzata dall’alto rischio di bias.

Effetto placebo reale o apparente?

Negli studi controllati possono subentrare fenomeni indipendenti dalla terapia sperimentale e dall’effetto placebo, ma comunque conducenti a migliori risultati clinici. In questi casi si tende a distinguere fra effetto placebo apparente e reale. Bisogna porre attenzione a possibili eventi come la remissione spontanea dalla malattia, il decorso naturale, le caratteristiche di progressione e la tossicità del verum. Inoltre è necessario considerare i possibili artefatti statistici e metodologici. In tal senso, sono stati descritti i bias di selezione, ovvero errori nella modalità di selezionare i soggetti da arruolare in uno studio (es. reclutare soggetti con sintomi incoerenti), il problema dell’abbandono dei pazienti non rispondenti al placebo (aspetto che aumenterebbe la risposta media dell’effetto placebo), la presenza di co-interventi, gli errori di giudizio (ambiguità di rilevamento e falsi positivi) ed il bias di risposta, ovvero, quella tendenza dei pazienti a riferire miglioramenti sintomatologici anche quando i miglioramenti non si sono verificati.

Per mitigare e rilevare fenomeni imitanti l’effetto placebo, è possibile includere negli studi un terzo gruppo di comparazione.
Questa modalità è tipica dei cosiddetti “three-arms trial‘, disegni di studio all’interno dei quali è possibile utilizzare la comparazione statistica con tre differenti gruppi: gruppo sperimentale, gruppo controllo placebo e gruppo controllo senza trattamento. Una simile strutturazione potrebbe aiutare a rilevare l’effetto causale del placebo e consentire la stima degli effetti del trattamento sperimentale o fittizio. Fin’ora sono state utilizzate tre metodologie distinte di gestione dei gruppi senza trattamento:

a. Intervento non manuale e non specifico: in cui i partecipanti sono stati esposti a tutti gli aspetti del paradigma della ricerca (es. setting, contatto medico-paziente) ma senza essere toccati (hands off), preservando così tutti gli elementi non manuali e non specifici del placebo;

2) Controllo ecologico: dove i partecipanti vengono inseriti in una lista d’attesa. Questo controllo è privo di tutte le componenti non specifiche del placebo ma garantisce il mantenimento del contesto ecologico;

3) Trattamento come di consueto: quando il gruppo controllo senza intervento è sottoposto a interventi non manuali e non specifici, come nei casi di pazienti che  ricevono cure di routine. Quest’ultima modalità può essere utilizzata soprattutto se tutti e tre i gruppi (sperimentale, controllo-sham e controllo senza trattamento) ricevono cure di routine, preservando così la natura non manuale e non specifica del placebo.

Anche in questo caso, purtroppo, esistono dei rischi associati. Di base, si sa, tutti vorrebbero essere curati o sottoposti a trattamento sperimentale e sicuramente la consapevolezza di essere parte di un semplice gruppo controllo potrebbe portare ad una maggiore probabilità di co-interventi, ad un maggiore tasso di abbandoni e ad aderire a protocolli medici al di fuori del setting sperimentale. Questo tende a verificarsi soprattutto quando si considerano periodi di studio molto lunghi e con sequenza temporale intermittente. Occorre pertanto incentivare le strategie di fidelizzazione dei soggetti aderenti agli studi.

Rispetto ai rischi di co-intervento, si dovrebbe procedere con una specifica raccolta dati tramite questionario, istruendo i partecipanti a rivelare la presenza di co-interventi durante il periodo di studio (es. massaggi, esercizi, farmaci antidolorifici e sostanze farmacologiche, etc…) ed intercettare eventuali esiti relativi al co-intervento (es. comprendere l’incidenza del numero di antidolorifici assunti durante il periodo di studio).

Rispetto al tasso di abbandono, una soluzione potrebbe derivare dalla possibile combinazione del gruppo controllo non manuale e non specifico, con il gruppo di controllo ecologico. Si creerebbe, in questo caso, un gruppo controllo “misto” in cui sarebbe garantita la presenza di elementi placebo legati al contesto ambientale e la contemporanea assenza di interazioni manuali. Sempre all’interno di questo setting, i soggetti potrebbero essere convinti dagli stessi operatori di essere sottoposti a cura sperimentale in  fase postuma. Così facendo, si potrebbe aumentare il tasso di aderenza alla ricerca e verrebbero soddisfatti tutti gli standard qualitativi del trial. Infine, da un punto di vista metodologico, l’utilizzo di uno studio a tre gruppi potrebbe avere un impatto significativo sulla dimensione del campione e sul reclutamento dei pazienti. A tal motivo, potrebbe essere d’aiuto l’utilizzo di un rapporto di allocazione fra i gruppi di tipo 2-2-1.

Per ulteriori approfondimenti è possibile consultare gli articoli di seguito riportati: