Osteopatia e arte, un binomio inusuale ma estremamente vero se pensiamo al corpo umano come la massima espressione della bellezza ad opera di Madre Natura. L’osteopata Carlo Conte, non a caso anche appassionato d’arte, ha scritto questo libro proprio a partire da questo parallelismo che ha consentito di analizzare da un punto di vista osteopatico alcune opere pittoriche e scultoree di grande valore intercettando disfunzioni somatiche tipiche, come quelle di Van Gogh, i cui autoritratti si sono prestati ad un’analisi osteopatica delle strutture craniche, rivelando chiavi di lettura interessanti sulla sua vita.

Se Van Gogh avesse avuto un osteopata di Carlo Conte (edito da BioGuida Edizioni) è un’analisi osteopatica dell’opera d’arte, un viaggio attraverso la filosofia dell’Osteopatia e l’ammirazione del corpo umano nelle opere dipinte o scolpite da grandi artisti quali Van Gogh, Glicone – di cui ha analizzato L’Ercole Farnese – o, ancora, Giuseppe Sanmartino, autore della scultura marmorea “Il Cristo Velato”.

Carlo Conte ha sviscerato particolari inaspettati relativi alle opere passando in rassegna il concetto cranico, fasciale, strutturale, biotipologico e fluidico e rivelando quella capacità prettamente osteopatica di cogliere la disfunzione somatica prima ancora di toccare il paziente.

Un’analisi originale che offre una chiave di lettura interessante della vita di uno degli artisti più influenti del XX secolo come Vincent Van Gogh, morto suicida a soli 37 anni probabilmente a causa dei numerosi disturbi di cui soffriva. E se il malposizionamento dell’osso temporale di Van Gogh visibile nei suoi numerosi autoritratti fosse la causa di molti sintomi da cui era afflitto come nausee, vertigini, acufeni?



Lo chiediamo a lui, all’autore di questo libro: come sarebbe stata la vita di Van Gogh se fosse andato dall’osteopata?

Non è facile dirlo, penso che come per ogni paziente che abbia incontrato l’Osteopatia, sarebbe potuta essere una vita migliore. I suoi sintomi devono essere stati molto invalidanti, le vertigini, la nausea, gli acufeni. Chi non vivrebbe meglio senza. Ovviamente hanno influito sulla sua qualità di vita anche le problematiche emotive, l’alcolismo, la vicissitudini che ha attraversato. Egoisticamente al mondo è andata meglio così, perché forse proprio dalla sua sofferenza, sono nati i suoi capolavori.
Per citare Karl Jaspers, l’opera d’arte è come una perla, nasce dalle ferite della conchiglia…

Il senso più profondo di questo libro conduce alla contemplazione, alla capacità di mettersi in ascolto. Anche questa è una prerogativa di chi contempla un’opera d’arte ma anche dell’osteopata. Puoi spiegare questa affinità?

Grazie per averci visto un senso profondo, per me questo libro è stato più un “divertissement”. Quando si analizza osteopaticamente un’opera d’arte, non bisogna prendersi troppo sul serio! Ad ogni modo sia l’artista che l’osteopata, ricercano in fondo la stessa cosa, l’armonia, l’equilibrio, il senso del bello inteso alla greca. C’è sicuramente un’affinità fra le due discipline. Tanto è vero che questo libro è piaciuto molto anche a chi nella vita si occupa d’arte. La frase che mi ha più colpito è stata: “non avrei mai pensato di osservare con tanta attenzione l’Ercole Farnese da dietro, lo si guarda sempre e solo dal davanti!”. Ecco, il cambio di prospettiva è a mio avviso il concetto chiave di questo libro.

Ci aspettiamo che Carlo scriva nuovi libri su altre opere d’arte così da conoscere altri artisti e altre opere da “osservare” in questa chiave culturalmente stimolante e originale.