L’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità – ha pubblicato lo scorso novembre le Linee guida per la formazione in Osteopatia, ponendo di fatto un input importante e generando tra gli “addetti ai lavori” una grande attesa per il riconoscimento dell’osteopatia anche in Italia, esattamente come già avvenuto in diverse Nazioni europee, prime fra tutte, Francia, Inghilterra, Malta.
Il dato certo, così come riportato in un documento a firma del Roi dal titolo Considerazioni di merito sull’abuso di professione, è che “l’osteopatia si è inserita nel tessuto sociale italiano ed europeo con un gradimento altissimo della popolazione”.
A supporto di tale dichiarazione, i dati emersi da un sondaggio europeo curato dall’Associazione dei Consumatori “Altro Consumo”, e ripresi dall’osteopata e referente legale del Registro degli Osteopati d’Italia Iginio Furlan, nel documento sopracitato in cui si legge: “nelle considerazioni di merito sull’abuso di professione – (su un campione di tremila questionari), l’osteopatia ha riscosso apprezzamento dal 97 per cento degli intervistati che l’hanno sperimentata direttamente, riconoscendone un’elevata qualità di competenze e gestione professionale”.
E’ peraltro la Consulta delle Professioni non Riconosciute, istituita dal CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) a riconoscere, già nel 1999, l’identità professionale della disciplina osteopatica, definendola “un’articolazione dei saperi che impongono il riconoscimento di identità professionale propria ed autonoma”.
Il quadro attuale risulta abbastanza chiaro, diviso cioè su due piani certi, seppur discrepanti: se da un lato l’osteopatia si è inserita nel tessuto sociale italiano ed europeo con un gradimento altissimo della popolazione (così come dimostrato dallo studio di Altro Consumo già citato), dall’altro si trova in un “limbo” non essendo riconosciuta giuridicamente, sebbene “dal 1986 – si legge nel documento firmato da Iginio Furlan – la professione osteopatica italiana ricerca, in collaborazione con la politica istituzionale, europea, nazionale e regionale, le normative dell’esercizio professionale osteopatico, collezionando, in quantità industriali, disegni di legge, audizioni in commissioni parlamentari, progetti di legge quadro, collaborazioni istituzionali etc., utili al principio, ma inconsistenti ai fini pratici”.
Ad oggi è il Registro degli Osteopati d’Italia, riconosciuto giuridicamente dal Ministero di Grazia e Giustizia e presso la prefettura di Parma, con il CSdo, il punto di riferimento e di consultazione da parte delle Istituzioni Parlamentari, svolgendo da venticinque anni le attività per assicurare il buon esito del percorso di riconoscimento e normativa della professione osteopatica.
Leggendo l’articolo che descrive l’assenza di risultato nella pluriennale battaglia per il riconoscimento dell’Osteopatia, ipotizziamo alcune possibili ragioni di tale insuccesso come puro esercizio logico e contributo al dibattito volto ad indicare soluzioni per uscire da questa situazione di stallo.
– Il R.O.I. non rappresenta esclusivamente professionisti che svolgano la sola professione di osteopata, bensì medici, fisioterapisti, chinesiologi, etc, che nella maggior parte dei casi esercitano la loro professione primaria pur utilizzando la loro competenza osteopatica;
– Il R.O.I., non ha compiuto una chiara opzione in favore del corso di studi a tempo pieno che ha consentito in Francia e Inghilterra il riconoscimento dell’Osteopatia, accogliendo invece al proprio interno la maggior parte di corsi a Tempo parziale per professionisti. Ovvero, gli iscritti al R.O.I. presentano tra loro caratteristiche assai disparate per configurarsi come un corpo professionale omogeneo;
– Il R.O.I. non incoraggia la qualificazione degli Istituti affiliati, di cui solo una esigua minoranza tra questi si è dotato autonomamente di Certificazione di Qualità ISO 9001:2000. Di cosa si tratta? La Certificazione disciplina il controllo dell’Istituto da parte di un Ente terzo in base a una norma reale; ovvero, in assenza di controllo del Ministero dell’Istruzione, la formazione viene controllata da un’altra autorità a cui la scuola si sottopone. Ancora una volta, il ROI raccoglie al proprio interno realtà formative profondamente differenti che aumentano di anno in anno senza acquisire una fisionomia comune, qualitativamente interessante.
– Il ROI ascolta alcuni rappresentanti di Istituti di formazione, promuovendone il coordinamento mediante la Commissione didattica. Azione meritoria, ma insufficiente ai fini del riconoscimento della formazione professionale che necessiterebbe di scelte ben più incisive;
– Probabilmente un’Associazione di professionisti non rappresenta il soggetto più idoneo per conseguire l’ambizioso risultato, per quanto lodevole possa apparire il proprio operato. Né un migliaio di iscritti può rappresentare il biglietto da visita appetibile per il legislatore che viene condizionato da lobby potenti come quelle dei medici e del farmaco;
– I buoni risultati citati dal sig. Furlan in riferimento al gradimento di un campione di pazienti può esercitare una “captatio benevolentiae” del lettore , ma non di certo la soluzione del problema. Che dire infatti della molteplicità di sedicenti osteopati che esercitano senza avere una formazione adeguata? Se intervistassimo un campione di pazienti di questi ultimi forse i risultati sarebbero diversi;
– I dati ISTAT più recenti, pubblicati dai quotidiani, affermano che gli Italiani che si rivolgono alle medicine non convenzionali non sono più così numerosi come negli anni passati, molto probabilmente a causa della mancanza di una normativa che riconosca precise prerogative formative e professionali per gli osteopati veri;
– Se non identifichiamo al più presto tali prerogative, il vuoto legislativo penalizzerà sempre di più questi osteopati a beneficio degli “aggiusta ossa” e dei professionisti stranieri che, protetti dalle leggi dei Paesi europei di provenienza, lavoreranno liberamente in Italia.
Leggendo l’articolo che descrive l’assenza di risultato nella pluriennale battaglia per il riconoscimento dell’Osteopatia, ipotizziamo alcune possibili ragioni di tale insuccesso come puro esercizio logico e contributo al dibattito volto ad indicare soluzioni per uscire da questa situazione di stallo.
– Il R.O.I. non rappresenta esclusivamente professionisti che svolgano la sola professione di osteopata, bensì medici, fisioterapisti, chinesiologi, etc, che nella maggior parte dei casi esercitano la loro professione primaria pur utilizzando la loro competenza osteopatica;
– Il R.O.I., non ha compiuto una chiara opzione in favore del corso di studi a tempo pieno che ha consentito in Francia e Inghilterra il riconoscimento dell’Osteopatia, accogliendo invece al proprio interno la maggior parte di corsi a Tempo parziale per professionisti. Ovvero, gli iscritti al R.O.I. presentano tra loro caratteristiche assai disparate per configurarsi come un corpo professionale omogeneo;
– Il R.O.I. non incoraggia la qualificazione degli Istituti affiliati, di cui solo una esigua minoranza tra questi si è dotato autonomamente di Certificazione di Qualità ISO 9001:2000. Di cosa si tratta? La Certificazione disciplina il controllo dell’Istituto da parte di un Ente terzo in base a una norma reale; ovvero, in assenza di controllo del Ministero dell’Istruzione, la formazione viene controllata da un’altra autorità a cui la scuola si sottopone. Ancora una volta, il ROI raccoglie al proprio interno realtà formative profondamente differenti che aumentano di anno in anno senza acquisire una fisionomia comune, qualitativamente interessante.
– Il ROI ascolta alcuni rappresentanti di Istituti di formazione, promuovendone il coordinamento mediante la Commissione didattica. Azione meritoria, ma insufficiente ai fini del riconoscimento della formazione professionale che necessiterebbe di scelte ben più incisive;
– Probabilmente un’Associazione di professionisti non rappresenta il soggetto più idoneo per conseguire l’ambizioso risultato, per quanto lodevole possa apparire il proprio operato. Né un migliaio di iscritti può rappresentare il biglietto da visita appetibile per il legislatore che viene condizionato da lobby potenti come quelle dei medici e del farmaco;
– I buoni risultati citati dal sig. Furlan in riferimento al gradimento di un campione di pazienti può esercitare una “captatio benevolentiae” del lettore , ma non di certo la soluzione del problema. Che dire infatti della molteplicità di sedicenti osteopati che esercitano senza avere una formazione adeguata? Se intervistassimo un campione di pazienti di questi ultimi forse i risultati sarebbero diversi;
– I dati ISTAT più recenti, pubblicati dai quotidiani, affermano che gli Italiani che si rivolgono alle medicine non convenzionali non sono più così numerosi come negli anni passati, molto probabilmente a causa della mancanza di una normativa che riconosca precise prerogative formative e professionali per gli osteopati veri;
– Se non identifichiamo al più presto tali prerogative, il vuoto legislativo penalizzerà sempre di più questi osteopati a beneficio degli “aggiusta ossa” e dei professionisti stranieri che, protetti dalle leggi dei Paesi europei di provenienza, lavoreranno liberamente in Italia.
Apprezzando pur sempre il lodevole operato del ROI, al quale non possono essere negati importanti raggiungimenti, mi ritrovo comunque in accordo con Robi. La causa comune credo interessi marginalmente a che opera in tale settore a mezzi di altri titoli (laurea in medicina o fisioterapia). A tal proposito andrebba maggiuormente incoraggiato il tempo piano nelle scuole.
Apprezzando pur sempre il lodevole operato del ROI, al quale non possono essere negati importanti raggiungimenti, mi ritrovo comunque in accordo con Robi. La causa comune credo interessi marginalmente a che opera in tale settore a mezzi di altri titoli (laurea in medicina o fisioterapia). A tal proposito andrebba maggiuormente incoraggiato il tempo piano nelle scuole.
ciao "Robi", visti i contenuti del tuo scitto, avresti almeno dovuto firmare con il tuo nome e cognome. Citi statistiche ed altro, ma quali le fonti? Sei sicuro di quello che affermi? Ricorda: "primum scire, deinde philosophari".
ciao "Robi", visti i contenuti del tuo scitto, avresti almeno dovuto firmare con il tuo nome e cognome. Citi statistiche ed altro, ma quali le fonti? Sei sicuro di quello che affermi? Ricorda: "primum scire, deinde philosophari".
…mi assoccio e condivido il Post del Randazzo.
…mi assoccio e condivido il Post del Randazzo.
In Italia non sono solo le scuole del ROI a preparare bravi osteopati
In Italia non sono solo le scuole del ROI a preparare bravi osteopati
grande robi.purtroppo è ciò che riscontro quotidianamente. purtroppo il mio giudizio è di parte essendo medico, docente di viscerale e di osteopatia ginecologica, ma ciò che sfornano le scuole in italia…mah!!!
mmmmmmmmmmmmm
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ciao "Robi", visti i contenuti del tuo scitto, avresti almeno dovuto firmare con il tuo nome e cognome. Citi statistiche ed altro, ma quali le fonti? Sei sicuro di quello che affermi? Ricorda: "primum scire, deinde philosophari".
In Italia non sono solo le scuole del ROI a preparare bravi osteopati
Apprezzando pur sempre il lodevole operato del ROI, al quale non possono essere negati importanti raggiungimenti, mi ritrovo comunque in accordo con Robi. La causa comune credo interessi marginalmente a che opera in tale settore a mezzi di altri titoli (laurea in medicina o fisioterapia). A tal proposito andrebba maggiuormente incoraggiato il tempo piano nelle scuole.
Leggendo l’articolo che descrive l’assenza di risultato nella pluriennale battaglia per il riconoscimento dell’Osteopatia, ipotizziamo alcune possibili ragioni di tale insuccesso come puro esercizio logico e contributo al dibattito volto ad indicare soluzioni per uscire da questa situazione di stallo.
– Il R.O.I. non rappresenta esclusivamente professionisti che svolgano la sola professione di osteopata, bensì medici, fisioterapisti, chinesiologi, etc, che nella maggior parte dei casi esercitano la loro professione primaria pur utilizzando la loro competenza osteopatica;
– Il R.O.I., non ha compiuto una chiara opzione in favore del corso di studi a tempo pieno che ha consentito in Francia e Inghilterra il riconoscimento dell’Osteopatia, accogliendo invece al proprio interno la maggior parte di corsi a Tempo parziale per professionisti. Ovvero, gli iscritti al R.O.I. presentano tra loro caratteristiche assai disparate per configurarsi come un corpo professionale omogeneo;
– Il R.O.I. non incoraggia la qualificazione degli Istituti affiliati, di cui solo una esigua minoranza tra questi si è dotato autonomamente di Certificazione di Qualità ISO 9001:2000. Di cosa si tratta? La Certificazione disciplina il controllo dell’Istituto da parte di un Ente terzo in base a una norma reale; ovvero, in assenza di controllo del Ministero dell’Istruzione, la formazione viene controllata da un’altra autorità a cui la scuola si sottopone. Ancora una volta, il ROI raccoglie al proprio interno realtà formative profondamente differenti che aumentano di anno in anno senza acquisire una fisionomia comune, qualitativamente interessante.
– Il ROI ascolta alcuni rappresentanti di Istituti di formazione, promuovendone il coordinamento mediante la Commissione didattica. Azione meritoria, ma insufficiente ai fini del riconoscimento della formazione professionale che necessiterebbe di scelte ben più incisive;
– Probabilmente un’Associazione di professionisti non rappresenta il soggetto più idoneo per conseguire l’ambizioso risultato, per quanto lodevole possa apparire il proprio operato. Né un migliaio di iscritti può rappresentare il biglietto da visita appetibile per il legislatore che viene condizionato da lobby potenti come quelle dei medici e del farmaco;
– I buoni risultati citati dal sig. Furlan in riferimento al gradimento di un campione di pazienti può esercitare una “captatio benevolentiae” del lettore , ma non di certo la soluzione del problema. Che dire infatti della molteplicità di sedicenti osteopati che esercitano senza avere una formazione adeguata? Se intervistassimo un campione di pazienti di questi ultimi forse i risultati sarebbero diversi;
– I dati ISTAT più recenti, pubblicati dai quotidiani, affermano che gli Italiani che si rivolgono alle medicine non convenzionali non sono più così numerosi come negli anni passati, molto probabilmente a causa della mancanza di una normativa che riconosca precise prerogative formative e professionali per gli osteopati veri;
– Se non identifichiamo al più presto tali prerogative, il vuoto legislativo penalizzerà sempre di più questi osteopati a beneficio degli “aggiusta ossa” e dei professionisti stranieri che, protetti dalle leggi dei Paesi europei di provenienza, lavoreranno liberamente in Italia.
…mi assoccio e condivido il Post del Randazzo.
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