Il sistema nervoso centrale è il velocizzatore di TUTTE le funzioni patogenetiche e salutogeniche. In merito alle ultime, è fondamentale comprendere cosa succede da un punto di vista neurobiologico in seguito a trattamento osteopatico. Lo studio apparso il 5 aprile 2019  su Frontiers in Autonomic Neuroscience (qui il lavoro completo) aggiunge un altro pezzetto alla nostra conoscenza. L’articolo è firmato dai colleghi osteopati Federica Tamburella, Barbara Spanò e Marco Tramontano, gli psicologi ricercatori Federica Piras e Fabrizio Piras, tutti della Fondazione Santa Lucia e Tommaso Gili dell’IMT School for Advanced Studies Lucca. Il team di ricerca ha indagato gli effetti del trattamento osteopatico sulla perfusione cerebrale mediante una metodica di RMN con la tecnica ‘Arterial Spin Label’.

La perfusione cerebrale cambia dopo il trattamento manipolativo osteopatico: studio randomizzato controllato con placebo

Lo studio ha riguardato 15 soggetti che  hanno ricevuto il trattamento osteopatico e 15 soggetti sottoposti a trattamento manuale placebo
Il trattamento osteopatico è stato condotto in maniera “black box”, quindi sono state trattate le disfunzioni rinvenute in seguito alla valutazione.
La valutazione con RMN è stata fatta prima dell’intervento, immediatamente dopo e a 3 giorni di distanza.

Risultati

Rispetto al trattamento placebo manuale, i soggetti trattati osteopaticamente mostrano un’immediata diminuzione della perfusione cerebrale a livello della Corteccia Posteriore del Cingolo sinistra che torna alla normalità dopo 3 giorni e una diminuzione della perfusione a livello del Lobulo Parietale Superiore sinistro.

Punti di forza

– A differenza di precedenti studi, in questo caso abbiamo anche un follow up a 3 giorni
– Gli autori hanno utilizzato un ‘quasi perfetto’* controllo del fenomeno placebo sia in merito all’aspetto manuale (che ha escluso quasi tutti gli elementi non-specifici della tecnica), sia di strumenti metodologici per assicurare l’omogeneità fra i gruppi (deblinding questionnaire) cosa che ho molto apprezzato.
– Utilizzo di un outcome oggettivo e riproducibile

Considerazioni degli autori

– Nel corpo dell’articolo gli autori sviluppano un’interessante e completa argomentazione dei risultati speculando sul possibile “significato” di tali risultati, prendendo in considerazione studi simili.
– Come suggeriscono gli autori, sebbene i risultati debbano essere interpretati con cautela, data la dipendenza della modifica vascolare dal Sistema Nervoso Autonomo, questo studio (gratuito e liberamente accessibile) mette in evidenza:
1) l’interdipendenza tra i modelli struttura-funzione ‘biomeccanico’ e ‘neurologico’
2) la “capacità” del trattamento osteopatico di modificare la funzione del sistema nervoso autonomo

Considerazioni personali

1) *Ho scritto ‘quasi perfetto’ perché la mancanza di tecniche articolari placebo non permette alla metodica placebo di “coprire” del tutto le metodiche articolari (es, thrust) utilizzate come forma di trattamento reale.
2) Nella tabella 2 dell’articolo è possibile vedere che il 55% delle disfunzioni sono state rinvenute in territorio cervicale e craniale. Fermo restando che è una percentuale compatibile con la realtà clinica, è possibile pensare a quello che potremmo chiamare “pregiudizio dell’outcome di studio sulla valutazione osteopatica”. Ricordiamo, infatti, che la il tocco valutativo osteopatico è un fenomeno PERCETTIVO e come tale è fortemente soggettivo o “pre-giudizioso”, ovvero che risente dell’elaborazione mentale di alto livello gerarchico (di questo ne abbiamo parlato a Pescara al recente evento Macro regione Centro del ROI). Se questo “pregiudizio dell’outcome di studio” somiglia molto al “pregiudizio clinico” che ha il singolo osteopata durante la sua attività clinica, possiamo dire che questo studio ha un’importante traslabilità clinica. Tuttavia, come osteopati, dobbiamo chiederci se è bene farci influenzare così tanto dal “motivo di consulto” (o “outcome di studio” nella ricerca). La risposta dipende, per usare le parole di un giovane collega durante l’ultimo congresso Quantum, dal fatto che il trattamento sia metaforicamente “OMEOSTATICO” o “ALLOSTATICO”. Se la risposta, come io credo, sia spostata verso “ALLOSTATICO” quindi spostata verso il ‘no, non dobbiamo farci influenzare dal motivo di consulto’, allora come comunità scientifica dovremmo cominciare a valutare l’idea di mantenere gli osteopati coinvolti nello studio “in cieco” rispetto all’outcome di studio.