È in fase di sviluppo al Meyer di Firenze l’innovativo studio che analizza l’approccio osteopatico durante gli interventi neurochirurgici.

Da tempo l’ospedale pediatrico fiorentino si presta ad essere luogo di integrazione fra medicine con particolare attenzione alle potenzialità dell’osteopatia nel trattamento di molte problematiche dell’età pediatrica e non.
Non a caso è proprio al Meyer che nasce nel 2011 il primo ambulatorio di osteopatia pediatrica in regime di convenzione.

Ed è grazie a questo percorso virtuoso instauratosi da tempo tra osteopati e medici che si è aperta per i giovani osteopati della [p2p type=”cat_id” value=”381″>scuola di Osteopatia Pediatrica SIOP la possibilità di poter accedere in sala operatoria per osservare le reazioni tessutali durante l’intervento in risposta all’atto chirurgico.

«All’inizio del percorso è stato importante per noi e per i giovani studenti imparare a stare in sala operatoria – spiega l’osteopata Tommaso Ferroni – ma col tempo la presenza degli osteopati formati in sala operatoria è passata dalla mera osservazione, alla possibilità di poter sostenere attivamente i pazienti durante l’atto chirurgico».

Le sale operatorie del Meyer sono dotate di apparecchi in grado di rilevare l’attività di nocicezione, che misurano il grado di sofferenza dei tessuti. Lo studio che è in fase di sviluppo permetterà di monitorare la variazione relativa alla nocicezione mentre il paziente è sostenuto a livello osteopatico.

«L’interesse del trattamento osteopatico durante la procedura chirurgica è dato dal fatto che in anestesia generale il paziente presenta una ipofunzione della corteccia cerebrale» spiega Lorenzo Genitori, neurochirurgo dell’AOU Meyer «In questo stato l’attività osteopatica non ha l’effetto placebo che potrebbe avere in un paziente cosciente. Si tratta di uno studio preliminare che andrà consolidato sulla base di dati scientifici, che potrebbe aprire le porte ad una nuova validazione del trattamento osteopatico».

La sperimentazione in corso al Meyer è “una vera bomba nel mondo della medicina”, dice Francesca Garofalo, docente SIOP, “una rivoluzione sull’approccio ai tessuti a tutto tondo, un’altra perla di innovazione sulla procedura neurochirurgica che non tarderà a risuonare negli ambienti”.

Grandissimo l’entusiasmo degli studenti della scuola, a cui è stata offerta questa grande opportunità di imparare di più sull’opera dei professionisti del AOU Meyer e di poter offrire il massimo sostegno alla salute dei bambini prima e dopo l’operazione.

«In sala operatoria c’è la concreta possibilità, grazie a chirurghi dalle capacità grandiose, di conoscere ed osservare realmente come stanno le cose dal punto di vista anatomico, ci dice Mattia Cervato. Ci si rende conto della reale composizione dei tessuti e dei sistemi anatomici che prima, solo su carta potevi osservare. E qui l’emozione è grande, ti rendi conto solo sul vivo di una sala operatoria di quanto il sistema sia complesso e meraviglioso. Dal momento che si entra nel blocco operatorio si respira a pieni polmoni la grande dedizione fisica e mentale di tutti i professionisti, e la cosa coinvolge a tal punto che senza accorgersene ci si trova immersi in questo mare di “quiete dinamica”. Le loro operazioni chirurgiche non durano mia meno di un’ora, se non di più, la loro concentrazione è massima per tutto il periodo che operano sul bambino, interventi che durano anche 3-4 ore consecutive, operazioni che variano da un momento all’altro dalla chirurgia invasiva fatta di frese pinze di ogni tipo e dimensioni, divaricatori, bisturi, a operazioni fatte di microscopio e piccoli attrezzi chirurgici che anche solo il tenerli in mano merita una scuola».

La neurochirurgia pediatrica del Meyer si conferma luogo di grande apprendimento e sperimentazione per l’osteopatia italiana, un esempio di integrazione e interdisciplinarietà di grande importanza nel panorama italiano della salute, soprattutto in questo momento storico, in cui l’osteopatia è stata riconosciuta professione sanitaria con l’approvazione del ddl Lorenzin lo scorso 22 dicembre.

«L’esperienza in sala – chiarisce Florinda Fracchiola, professoressa SIOP – ci ha aperto le porte alla possibilità di osservare le modificazioni strutturali conseguenti ad una alterazione patologia. Grazie a queste importantissime possibilità, anche i nostri potenziali terapeutici si fanno sempre più grandi… si parlava di supportare il paziente prima e dopo l’intervento chirurgico, si fa sempre più forte la possibilità di farlo durante ed a supporto di tutta l’equipe coinvolta in interventi sempre più complessi, per gravità e per durata».