“Il Trattamento Manipolativo Osteopatico come strumento di prevenzione ai pazienti migranti con disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD)” è il titolo del lavoro condotto da Matteo Pallottini e presentato nella sezione Poster del recente Congresso AISO – Il ruolo dell’Osteopatia nella Prevenzione Sanitaria – che per la prima volta ha affrontato da un punto di vista osteopatico un tema così delicato e quanto mai attuale quale quello dei migranti e della loro particolare condizione spesso caratterizzata da  disturbo da stress post traumatico.

Svolto in collaborazione con la Caritas di Pescara, lo studio è suddiviso in un T0 e un T1 durante i quali sono stati raccolti i dati e analizzati i risultati del questionario SSS-8, (Somatic Symptom Scale) utili a rilevare il carico somatico dei pazienti e ha riguardato 8 immigrati di età variabile dai 2 ai 39 anni, provenienti dalla Nigeria, Pakistan e Marocco, ai quali sono stati somministrati tra maggio e luglio 2022, sette trattamenti osteopatici all’interno della clinica Abaton di Pescara.
Molto positivo l’esito dello studio, il quale ha dimostrato un potenziale effetto della medicina osteopatica in questi pazienti. “Elevati livelli di disturbi somatici in pazienti con PTSD– spiega l’autore Pallottini possono essere collegati ad alti livelli di interocezione afferente, dove maggiori livelli interocettivi rappresentano il presupposto di processi infiammatori. Molti studi suggeriscono che alcune condizioni difficili post-migrazione (cultura, lingua, luogo di accoglienza) possano essere elementi che aumenterebbero i disturbi da stress post traumatico. Questa condizione quindi porta ad una disregolazione del SNA, a favore di un ortosimpaticotonia. L’OMT agendo sulla regolazione del SNA, può essere un valido strumento per aiutare la salute di questi pazienti”.

Un lavoro originale, orientato ad analizzare dal punto di vista osteopatico, indagandone l’apporto in termini di qualità della vita, su pazienti fortemente segnati da un punto di vista fisico e soprattutto emotivo.

Abbiamo chiesto proprio a Matteo Pallottini il motivo di questa scelta e come sia nata l’idea di approcciarsi a questo specifico contesto con l’osteopatia.

Il sogno di poter contribuire apportando il mio piccolo aiuto verso tanti fratelli e sorelle che vivono nel bisogno – racconta Matteo –  nasce proprio dall’esperienza concreta di vita vissuta (e consumata) all’interno di un centro di accoglienza straordinario in cui ho lavorato per tre anni. Come ripeto spesso, non si può rimanere indifferenti davanti ad un grido di aiuto al quale assistiamo ogni giorno in questa epoca storica, soprattutto, dopo che fai un’esperienza così vicina e difficile come ho avuto la fortuna di farla io.
Potrei raccontare centinaia di storie di ragazzi della mia stessa età, di uomini adulti o di ragazzini minorenni, di ognuno di loro si potrebbe scrivere un libro, realizzare film o realizzarci una serie che tanto vanno di moda oggigiorno. Storie accumunate tutte dallo stesso filo conduttore, ovvero da un’indescrivibile sofferenza, dolore e brutalità al quale si contrappone una voglia altrettanto grande di vita e di speranza.

Sono ragazzi e ragazze, segnati irrimediabilmente sulla pelle, nella mente e nell’anima, dalla cattiveria di altri uomini, le stesse ferite che chiedono cura, attenzione e rispetto.

Contemporaneamente all’esperienza di lavoro nel CAS, iniziavo a muovere i miei primi passi all’interno di questo mondo così misterioso e affascinante dell’osteopatia di cui piano piano mi iniziavo ad innamorare.

Da una parte vivevo giornalmente il dramma di vite ferite e spezzate, visi e sguardi di persone bisognose e sofferenti, all’interno di una società obbligata a correre il più veloce possibile, perché in questo mondo non puoi fermarti, non puoi rallentare, non c’è spazio per l’altro. Parallelamente, nelle aule di classe, fatte di lettini e non più di banchi, risuonavano parole dei tanti professori che ci presentavano e ci spiegavano come l’osteopatia abbia tra le sue nobili caratteristiche, il fatto di poter essere per tutti, così da riuscire ad abbattere ogni barriera in quanto avevamo bisogno solo dell’essenziale: le nostre mani.

Queste parole scuotevano la mia mente e il mio cuore, rappresentando quella speranza che cercavo affinché nessuno potesse rimanere fuori, poiché se l’osteopatia è per tutti, allora è anche per loro, per il “diverso”, per tutte quelle persone di altra cultura, di altra religione, lingua e tradizione. Finalmente tutti eravamo sulla stessa barca. Da quel momento ho custodito dentro me questo sogno.



L’Osteopatia è per tutti, dici giustamente. Quindi com’è partita la tua idea di studio?

L’idea di utilizzare l’osteopatia come strumento di sostegno e di prevenzione per la salute psicofisica del migrante è nata nell’osservare le diverse difficoltà riscontrate dalle figure professionali che operavano all’interno del centro.

Infatti, le diverse barriere linguistiche, etniche e culturali rappresentano un grandissimo ostacolo per le varie figure presenti all’interno del centro, in particolar modo per gli operatori socio-sanitari e soprattutto per gli psicologi e psicoterapeuti.

E’ evidente che il nostro sistema di cura, improntato rigidamente su una cultura occidentale, non può essere utilizzata per sostenere la salute di persone provenienti da altri contesti, diversi dalla nostra società.

In questa situazione, proprio per le difficoltà sopra menzionate, il corpo diventa ancor di più l’elemento chiave con il quale il migrante entra in contatto con il mondo esterno.

Il corpo come tramite per comunicare ciò che la mente e la parola non riescono a fare.

L’osteopatia, utilizzando il corpo come canale per la cura della persona, risulta, soprattutto in questa dimensione, ancor di più uno strumento unico ed essenziale per superare le barriere che ostacolano la salute del migrante.

Era evidente, che l’osteopatia, con le sue specifiche potenzialità e possibilità di sostegno alla salute delle persone potesse giocare un ruolo centrale per il benessere del migrante.

Da queste considerazioni nasce questo lavoro di tesi al quale ha fatto seguito un vero e proprio progetto che, attualmente, insieme all’AIOT stiamo portando avanti nel territorio della Provincia di Pescara.

Sarebbe davvero bello, se un giorno questo progetto, fosse accolto anche da altre scuole del nostro paese, affinché riuscissimo ad arrivare a tante più persone che attendono il nostro aiuto.

Come è stata accolta la tua idea nel gruppo di studio?

Temevo di non essere compreso o che il tema sembrasse distante e eccessivamente utopistico, in realtà questi timori sono stati immediatamente cancellati, ricevendo fin da subito accoglienza, sostegno e appoggio da parte della mia scuola: l’AIOT e del Dipartimento di ricerca.
Credo che questo progetto abbia portato una crescita umana e professionale per tutti coloro che hanno partecipato, in quanto ha posto particolare attenzione rispetto ad una categoria di pazienti, che molto spesso per le varie barriere socio-culturali, sono messe ai margini, come i migranti.

Tanti sono stati i momenti belli vissuti durante lo studio, in particolar modo mi piacerebbe condividere e testimoniare due aspetti che mi porto nel cuore. Il primo riguarda le relazioni che sono nate tra le varie figure coinvolte.

Tanti gli studenti che si sono messi in gioco per accorciare le distanze tramite la partecipazione a momenti di sensibilizzazione e formazione rispetto alla dimensione del migrante al fine di poter offrire un miglior sostegno possibile. Personalmente ritengo questo aspetto davvero molto importante, in quanto se ci fermassimo solo un attimo ad osservare le città in cui viviamo, ci accorgeremmo presto che sono sempre più città multietniche e multiculturali, ragione per cui credo che figure professionali nell’ambito sanitario, nel quale ritroviamo anche l’osteopatia, dovrebbero iniziare ad avviare canali di formazione e sensibilizzazione al fine di poter offrire la nostra professionalità anche a pazienti di altre culture.
L’altro aspetto che vorrei sottolineare riguarda l’integrazione, infatti questo studio oltre ad aver apportato un benessere psicofisico tramite i trattamenti osteopatici manipolativi, è risultato un utile veicolo per promuovere e aiutare l’integrazione dei migranti, soprattutto all’interno di un contesto, come quello sanitario, essendo esso un luogo in cui spesso, il migrante, vive le più grandi difficoltà nel non riuscire a comunicare e trasmettere il proprio stato di malessere.