Comprendere come gli organi specializzati riescano ad estrarre informazioni percettive dall’ambiente fisico esterno è sempre stato un punto chiave per lo studio dei sensi. Per quanto riguarda la percezione tattile, sappiamo che esiste una determinata popolazione di recettori distribuiti su tutta la pelle, i quali vengono attivati in caso di deformazione meccanica dei tessuti (es.pressione o vibrazione localizzata).

Questi specifici organelli, grazie alla loro conformazione, sono in grado di trasdurre gli input meccanici in informazioni bio-elettriche, e quindi, in sensorialità che, a sua volta, verrà utilizzata nei centri superiori per l’organizzazione della sensienza (percezione cosciente).

La discriminazione percettiva dello stimolo, sarà tanto più accurata quanto più risulterà preciso il meccanismo di trasduzione, coadiuvato a sua volta da fenomeni come l’inibizione laterale (inibizione dei neuroni adiacenti ai neuroni stimolati), dall’alta sensibilità dei meccanocettori (bassa soglia di attivazione) e dal loro quantitativo nelle aree stimolate.

Ora, se si approfondiscono le modalità con cui i vari organi di senso trasducono gli stimoli ambientali, si notano di base meccanismi molto simili, come una sorta di passepartout evolutivo e funzionale, adattabile ai diversi contesti di stimolo. Tutte queste variegate modalità di lettura, si adattano alle plurime fonti di stimolo ambientale con l’unico scopo di promuovere la sopravvivenza dell’individuo. Questo aspetto, infatti, non può che giocarsi nella capacità di comprensione della realtà che ci circonda e nella coscienza di una realtà mutevole, che può rivelarsi concorde o discorde al nostro imperativo biologico di auto-conservazione.

Essendo la realtà una ed i sensi diversi, abbiamo la possibilità di ispezionare l’ambiente da diversi punti di vista e con una certa intercambiabilità ed integrazione di informazioni. A quanti sarà capitato, ad esempio, di ammirare una scultura e di sentire l’innefrenabile bisogno di toccare l’opera, assaporandone la consistenza, la rugosità e l’andamento delle linee?

O a quanti sarà capitato di ripete metafore sinestetiche, parafrasando la necessità di “ascoltare con il cuore” (metafora sinestetica figurativa in cui si uniscono costrutti uditi e viscerocettivi) oppure di “vedere con le mani” (associazione sinestetica figurativa di input visivi e informazioni del sistema somatosensoriale).

La mano: il “secondo occhio” dell’osteopata

Ad esempio, nel mondo osteopatico, dove la capacità discriminativa palpatoria è fondamentale ed è portata al massimo della sua espressività, si tende a parlare spesso di “osservazione” o di “visualizzazione” manuale, riferendosi alle notevoli ed ultrafini informazioni di ingresso sensoriale provenienti dalla mano, tali da garantire la ricostruzione cosciente di quanto esperito dall’interazione palpatoria con il sistema corporeo del paziente.

Esattamente come l’intestino viene indicato dai più come “secondo cervello”, la mano è stata indicata da alcuni autori come un “secondo occhio”, e non tanto per la possibile lettura del Braille (capacità permessa dall’alta concentrazioni di corpuscoli di Meissner e dischi di Merkel nei polpastrelli), ma in quanto la ricerca scientifica sta evidenziando potenzialità percettive tattili inimmaginabili fino a qualche decennio fa, al punto da farci riconsiderare la semplice dicotomia fra sensibilità epicritica (sensibilità fine altamente discriminativa) e sensibilità protopatica (sensibilità primitiva, generica e grossolana). Ma andiamo per gradi.

Pelle e corpuscoli sensoriali

La superficie corporea dei mammiferi è ricoperta da due tipi di pelle strutturalmente e funzionalmente differenti: pelle glabra e pelle pelosa. La pelle glabra non contiene peli, ha uno spesso strato epidermico, è ristretta in zone come i palmi delle mani o le superfici plantari dei piedi ed è caratterizzata da un elevato tocco discriminativo (es. percezione della forma, dimensione e consistenza degli oggetti). La pelle pelosa, invece, copre più del 90% della superficie corporea, ha uno strato epidermico sottile ed è fortemente associata ad un altro tipo di percezione, ovvero, il tocco affettivo.

La pelle glabra contiene principalmente tre tipi di corpuscoli sensoriali, che hanno proprietà di percezione tattile più o meno specifiche: corpuscoli di Meissner, corpuscoli di Ruffini e corpuscoli di Pacini. A questi, si affiancano complessi sensoriali neurali detti cellule di Merkel che, nonostante non siano corpuscoli sensoriali in senso stretto, possono essere coinvolte nel rilevamento del tocco.

Queste strutture sensoriali sono tutti meccanocettori a bassa soglia (LTMRS), connessi a loro volta con una sottopopolazione di neuroni meccanosensitivi primari, i cui corpi sono localizzati nei gangli dorsali delle radici spinali e nei gangli sensoriali dei nervi cranici.

Le fibre nervose presenti nei LTMR sono di tipo A-beta, A-delta o C a seconda del diametro dell’assone, dal grado di mielinizzazione e dalla velocità di conduzione che le stesse fibre presentano.

Funzionalmente, gli LTMR si dividono in due categorie, i meccanocettori ad adattamento rapido (RA) e ad adattamento lento (SA), ciascuno dei quali ha due varianti: tipo I (se localizzati più i superficie) e tipo II (se profondi e con campo recettivo più ampio).

Potremmo pertanto catalogare i corpuscoli sensoriali in:

  • corpuscoli di Meissner (RAI): esistenti solo nei primati, nei mammiferi e negli umani, deputati al tocco fine, discriminativo ed alla percezione di vibrazioni a bassa frequenza. Si ipotizza un loro possibile ruolo nocicettivo. Questi LTMR sono presenti sotto l’epidermide a livello dello strato papillare del derma, con differenziazione intorno alla 20a settimana di età gestazionale (eg), morfogenesi intorno alla 36a settimana eg e una loro completa maturazione in periodo post natale. Sono caratterizzati dalla presenza di fibre A-beta, con presenza accessoria di fibre C e A-delta;
  • corpuscoli di Pacini (RAII): organelli capsulati che rispondono a stimoli pressori ma anche vibrazioni comprese tra 20-1500 Hz (sensibilità massima compresa fra 200–400 Hz). Iniziano il loro sviluppo intorno alla 13a settimana eg, per definirsi quasi completamente intorno alla 36a settimana eg, raggiungendo una completa maturazione intorno il 4° mese di vita. Contiene soprattutto fibre A-beta, con occasionale presenza di fibre A-delta e C (sensorie o simpatiche post-gangliari);
  • complessi cellulari di Merkel (SAI): corpuscoli sensoriali dall’origine ancora controversa, si teorizza che la loro migrazione, differenziazione e sviluppo si aggiri intorno alla 6a/8a settimana eg. Queste sono cellule dalle diverse ed inaspettate funzioni: endocrina, neurale, nocicettiva ed immunitaria. Solo recentemente è stato discusso il ruolo meccanotrasduttivo, esclusivamente per percezione tattile molto fine e selettiva, mentre per qualche altro autore sono coinvolti nella sensibilità protopatica;
  • corpuscoli dermici di Ruffini (probabili SAII): distribuiti nel derma, nei legamenti e nelle capsule articolari. Nella pelle digitale umana la loro presenza è scarsa, con una densità inferiore a 0,3 corpuscoli/mm2. Considerati inizialmente termocettori e solo recentemente rivalutati nel ruolo di percezione degli stimoli tattili (stiramento, rugosità).

A queste quattro tipologie andrebbero affiancati altri organelli, meno citati, quali i bulbi di Krause, i corpuscoli di Golgi-Mazzoni e di Wagner-Meissner (o pseudo Meissner), la cui funzione è ancora da delineare (forse meccanotrasduttiva e termocettiva).

 

Pelle caratterizzata da peluria:

Come accennato, non esiste solo la pelle glabra ma anche la pelle caratterizzata da peluria. In questa tipologia di epidermide,  non sono presenti solo meccanocettori ma anche terminazioni specializzate per la rilevazione di altri tipi di stimoli. Parliamo in particolar modo, di una sottoclasse di fibre di tipo C, non mielinizzate, a conduzione lenta e denominate fibre C-tattili (CT), le quali non sono adatte per la discriminazione sensoriale ma piuttosto vengono utilizzate per decodificare selettivamente informazioni riguardanti il tocco affettivo (tocco delicato simile a carezze). Le proiezioni di queste fibre coinvolgono il sistema interocettivo, e pertanto, tendono a dirigersi verso le strutture limbiche e la corteccia insulare.

Questo particolare tipo di tocco (similmente al tocco sociale, tocco gentile, tocco sensuale) viene spesso citato in ambito osteopatico, in quanto la sua rilevazione può avere potenziali risvolti in ambito comportamentale, interocettivo e nelle reattività autonomiche della persona percipiente.

La loro presenza, evoluzionisticamente parlando, sembrerebbe derivare dal grooming ovvero da quella classica attività di “spulciamento” e pulizia reciproca con cui gli animali, in particolare i primati, tendono a rafforzare positivamente le proprie interazioni sociali, determinando comportamenti di affiliazione, riduzione delle tensioni sociali e la modulazione dell’arousal e dello stress.

Queste teorie spiegherebbero come mai ancora oggi, negli umani, le coccole o qualsiasi forma di consolazione affettiva di natura “tattile”, sia in grado di innescare meccanismi di rilassamento e affievolimento delle sintomatologie dolorose, con probabile coinvolgimento dei circuiti ossitocina-dipendenti e un aumento dell’attività del sistema vagale.

Sincronizzazione cerebrale, tocco sociale ed analgesia

Secondo il modello bio-psico-sociale, la comprensione sociale e le risposte empatiche indirizzate verso una persona sofferente, possono indurre in quest’ultima effetti positivi sullo stato di sofferenza. Il concetto di tocco sociale, dunque, può incastrarsi nei meccanismi di analgesia e negli effetti neuro-endocrino-comportamentali associati.

Curiosi di capire cosa accadesse nel sistema nervoso di due soggetti coinvolti in un particolare tipo di interazione sociale (condivisione empatica della sofferenza), gli studiosi Pavel Goldstein e colleghi hanno deciso di verificare con l’hyperscanning elettroencefalografico (EEG) se:

1) il tocco interpersonale, durante il dolore, determinasse un incremento della sincronizzazione cerebrale (brain-to-brain coupling)



2) se il brain-to-brain coupling fosse associato all’analgesia, al tocco sociale ed all’accuratezza empatica da parte del partner.

A scopo chiarificativo, è utile precisare che il “brain-to-brain coupling” è un fenomeno paragonabile ad un sistema di comunicazione wireless, in cui due cervelli entrano in sincronia tramite la trasmissione di un segnale fisico (luce, suono, pressione, composto chimico, etc.) all’interno dell’ambiente fisico condiviso. In questo caso, il mezzo principale è stato rappresentato dal tocco sociale (handholding) in un contesto di stimolo doloroso.

Durante l’esperimento, è stata registrata l’attività neurale in entrambi i soggetti ed è emerso dai risultati che il semplice tenere la mano durante stimolo doloroso, aumenti la sincronizzazione cerebrale fra individui e che questa sincronizzazione sia correlata all’entità dell’analgesia ed all’accuratezza empatica dell’osservatore.
Questo studio sembrerebbe in linea con altre ricerche in cui è stato osservata come fenomeni di empatia correlata al dolore fossero caratterizzate dall’imporsi di ritmi alfa nelle regioni fronto-centrali.

Finezza sensoriale

Ritornando alla pelle glabra e ad un discorso con tematica meramente percettiva, in passato sono stati pubblicati studi che hanno dimostrato l’enorme capacita sensoriale tattile degli esseri umani, al punto da poter rendere possibile l’esplorazione del microscopico.

Il tatto come l’olfatto, è un senso antichissimo, dotato di potenzialità incredibili fin troppo sottovalutate, soprattutto in una società sempre più abituata all’utilizzo preferenziale di stimoli visivi.

Dando uno sguardo agli studi di Cody W. Carpenter et al., o ancora, alle pubblicazioni di Skedung L, Harris K, Collier ES et al. o al recente articolo pubblicato su Nature da Skedung L, Arvidsson M, Chung J et al. noteremo delle osservazioni sorprendenti: in questi lavori è stato evidenziato come la mano sia in grado di discriminare differenze infinitesimali tra due superfici, addirittura dell’ordine di un singolo strato di molecole (ad esempio, è stato notato come il dito indice abbia la capacità di captare minuscole variazioni di superficie fino a 13 nanometri).

Questi lavori richiamano inevitabilmente alla memoria esperimenti osteopatici come quello di Kasparian H, Signoret G, Kasparian J, dove è stata registrata la capacità, da parte di alcuni osteopati, di percezione dinamica dell’ordine di micrometri.

THE HAND IS THE NEW COCLEA?
Come se non bastasse, un’altra novità pare essersi aggiunta agli studi sulla percezione manuale. Recentemente, è stato evidenziato un nuovo meccanismo percettivo che sembrerebbero accumunare la mano con un un altro organo di senso, ovvero, l’orecchio.

Secondo quanto osservato dai ricercatori Yitian Shao et al., esisterebbe alla base della percezione tattile una funzione ancora poco conosciuta, utile a rendere ancora più discriminativo il senso del tatto. Il suo funzionamento si mostrerebbe molto simile al meccanismo con cui l’organo del corti, all’interno dell’orecchio, è in grado di generare la sensazione uditiva.

L’organo di Corti è una struttura sensoriale specializzata, localizzata nella scala media della coclea e deputata alla trasduzione delle sollecitazioni sonore in informazioni uditive: quando le onde sonore giungono a livello della membrana timpanica, si palesa l’oscillazione di tutta la catena ossiculare (martello, incudine e staffa); quando questi minuscoli ossicini cominciano a vibrare imprimono, attraverso la finestra ovale, sollecitazioni alla peri-linfa cocleare (contenuta all’interno della scala vestibolare e scala timpanica), generando onde fluido-meccaniche in grado di indurre movimenti della membrana basilare e della membrana tectoria, la quale, è in diretto contatto con le cellule ciliate del Corti. Queste cellule, convertiranno il movimento fisico in impulsi nervosi che, trasmessi ai centri superiori attraverso le vie uditive e l’ottavo nervo cranico, serviranno a generare la sensazione uditiva.

Ora, esattamente come accade per l’udito, gli aspetti anatomici e biomeccanici della mano permetterebbero di convertire l’energia meccanica in informazione sensoriale, ma non secondo un esclusivo utilizzo di campi di stimolo locali, piuttosto, mediante la propagazione dello stimolo meccanico lungo le dita e l’intera mano.

Detto in parole semplici, lo stimolo meccanico impresso sulla superficie di un dito (vibrazione o tocco dinamico), determinerebbe la propagazione di un’onda meccanica lungo tutto l’arto, al punto da coinvolgere un numero di recettori molto più ampio di quanto si pensasse. La partecipazione aggiuntiva di meccanocettori (anche distanti rispetto l’area stimolata), garantirebbe in tal modo una maggior accuratezza percettiva. Questi risultati sottolineerebbero i contributi della biomeccanica nelle elaborazioni primitive delle informazioni somato-sensoriali della mano.

Percezione e schema corporeo

Ma non siamo solo sensorialità. Il nostro sistema nervoso è per sua natura dotato di capacità integrative, nonché ricostruttive, delle informazioni sensoriali e multisensoriali.

Sicuramente, in molti avranno sentito parlare del motto che schermidori, pittori o artisti orientali di shūfǎ (arte cinese della calligrafia), sono soliti ripetersi in continuazione: “per diventare virtuosi nella disciplina, occorre che lo strumento utilizzato (ndr. sia esso spada o pennello), diventi un’estensione del proprio corpo”.

Se volessimo tradurre con termini neuroscientifici questa asserzione, potremmo dire che il discente deve raggiungere una familiarità talmente elevata con lo strumento manipolato, al punto da far innescare nel sistema nervoso il fenomeno dell’embodiment (incorporazione), ovvero, l’acquisizione di un oggetto esterno nel proprio schema corporeo.

Questo fenomeno, in realtà, è più comune di quanto si pensi e sembrerebbe far parte della nostra quotidianità. Il nostro cervello infatti, attraverso la dinamica neurale della corteccia somatosensoriale primaria e dalle regioni parietali posteriori, è in grado di introiettare uno strumento manipolato, all’interno della propria mappa corporea, alla stregua di una parte del corpo e con precisione sensoria simile a quella di un arto.

Questo fenomeno è stato ampiamente discusso in letteratura, ad esempio i ricercatori Miller LE et al. hanno evidenziato come il semplice manipolare un oggetto (es. bastone) ci renderebbe in grado di discriminare, in maniera molto precisa, informazioni percettive in aree poste al di la della mano.

Basta interporre l’oggetto fra l’area percepita e l’organo percipiente (la mano) ed il nostro SNC si attiva, ricostruendo con incredibile precisione l’informazione sensoria. Similmente, è stato osservato come durante la manipolazione di un bastone, l’impatto a diverse altezze dello strumento, determinasse una capacità discriminativa millimetrica dell’area colpita (quando si dice “percepire al di là delle mani”).

In altri casi questa capacità integrativa, nonché ricostruttiva, diviene talmente complessa da innescare fenomeni percettivi illusori e resi celebri da esperimenti bizzarri come quelli della Rubber Hand Illusion (RHI o illusione della mano di gomma).

In questo caso, il sistema nervoso si attiva nel percepire ed unire, in maniera quasi “sinestetica”, le informazioni tattili con le informazioni visive (integrazione visuo-tattile), integrando nel proprio schema sensoriale corporeo oggetti esterni al nostro corpo (es. una finta mano di gomma), percependo stimoli impressi a questi come fossero i propri.

Il fenomeno dell’embodiment e dell’ integrazione visuo-tattile è talmente forte da evocare sensazioni percettive anche in caso di stimoli localizzati nello spazio peripersonale, a parecchi centimetri di distanza dal corpo (40cm).

L’evoluzione ci ha dotato dell’incredibile capacità di integrare nel nostro schema corporeo, oggetti appartenenti alla realtà esterna (arnesi, protesi, arti finti, etc). Sarà forse frutto della nostra appartenenza ad una specie animale che fin dalle origini ha manifestato notevoli capacità prensili-manuali?

Sensorialità empatica

Questo aspetto di inclusione di oggetti esterni nel nostro schema sensoriale corporeo, richiama alla memoria quanto scritto da Ramachadran VS nel suo bellissimo libro “L’uomo che credeva di essere morto”.

Nel capitolo dedicato ai neuroni specchio e all’empatia, l’autore descrive gli esperimenti su un nuovo tipo di neuroni mirror, di tipo sensitivo, scoperti per caso da ricercatori dell’università di Toronto e definiti da Ramachadran stesso “neuroni Gandhi”.

Questi neuroni mirror si attiverebbero quando vediamo un’altra persona provare dolore fisico (l’autore fa l’esempio della puntura di un ago), esattamente come se anche noi, in quel momento, venissimo punti.

Ma perché non ci accasciamo a terra urlando, ogni volta che vediamo una persona soffrire? Secondo Ramachadran, l’aspetto che ci separa dagli altri è proprio la mancanza di feedback sensoriale dai nostri recettori della pelle, aggiungendo fra le righe che: “forse, l’unica cosa che separa la nostra coscienza da quella degli altri è la pelle” (cit.).

La nostra pelle, dunque, non è solo la sede della percezione somatosensoriale ma diventa un memorandum della nostra individualità e del nostro essere separati dagli altri.

Implicazioni per le terapie manuali

Le osservazioni sull’elevata capacità epicritica e discriminativa del tatto, sono un vero e proprio guanto di sfida per le moderne critiche sull’affidabilità della valutazione manuale in contesti clinici.

Forse, più che parlare di affidabilità della mano in contesto clinico, andrebbe compreso quanto il sanitario sia allenato al potenziamento di tale discriminazione e quali strategie abbia attivato per non cadere nella trappola di artefatti illusori percettivi o nella focalizzazione di aspetti poco utili per la diagnosi.

Le mani, infatti, sono sicuramente “sensori” dalla potenzialità altamente sofisticata, ma possono essere limitate dalla nostra esperienza nonché dalla nostra qualità di apprendimento ed addestramento. Il loro utilizzo è pertanto  dipendente dal grado di neuroplasticitá acquisita.

In ogni modo, le osservazioni riportate potrebbero delucidare la ragione di alcuni fenomeni esperiti in corso di trattamento osteopatico, come ad esempio, del perché siamo in grado di avvertire schemi cinetici tissutali nel corpo che si estendono ben oltre la nostra mano, o ancora, del perché a volte avvertiamo la sensazione che le nostre mani siano un tutt’uno con il paziente (da sempre considerato un segno di elevata interazione terapeutica con quest’ultimo).

Probabilmente, questi avvenimenti, non dipendono solo dall’alta capacità sensoriale dell’osteopata ma anche dalla capacità integrativa e ricostruttiva del SNC.

Durante la terapia il paziente può diventare realmente estensione del nostro io, nella stessa modalità con cui una protesi o un oggetto esterno viene inglobato nel nostro schema corporeo (embodiment).

Per citare alcuni autori, siamo dotati di una capacità discriminativa molto più sviluppata di quanto pensassimo, tale da permetterci di percepire nelle giuste condizioni, dinamiche a distanza rispetto l’area palpata, esattamente “come un ragno  percepisce la presenza di una preda, a distanza, mediante le vibrazioni e le tensioni della tela sotto il proprio corpo” (per queste citazioni si veda: Miller LE et al 2018, 2019 e Martel M et al 2018).

Il “tocco osteopatico”

Francesco Cerritelli et al., in uno straordinario studio del 2017, hanno dimostrato che non solo il toccare, ma anche lo stato cognitivo di chi sta amministrando il tocco, sia in grado produrre cambiamenti nella connettività funzionale cerebrale dei soggetti che sono sottoposti al tocco. Un fenomeno a dir poco elettrizzante, soprattutto per chi è nel campo delle terapie manuali.

Se lo stato cognitivo dell’operatore, mantenuto nel tempo, è in grado di suscitare effetti significativi sui modelli di connettività funzionale dei soggetti che vengono toccati, coinvolgendo aree corticali che elaborano il valore interocettivo e attenzionale del tatto, si possono ipotizzare effetti centrali inaspettati nei pazienti sottoposti a terapia manuale. Primo fra tutti, verrebbe a confermarsi il principio secondo il quale l’osservatore sia in grado di influenzare l’oggetto osservato. In secondo luogo, sarebbe interessante approfondire altri due aspetti:

  1. comprendere cosa succede nel sistema nervoso quando si eseguono tecniche manuali differenti. Infatti, in base alla tecnica scelta, il riferimento cognitivo dell’operatore potrebbe mutare e spostarsi verso riferimenti percettivi corporei differenti (es. schemi di movimento fasciale, dinamiche fluidiche, MRP, barriera articolare, etc.);
  2. comprendere cosa succede al SNC di entrambi i soggetti (osservatore ed osservato), quando si manifestano fenomeni di apparente continuità fra le mani dell’operatore ed il corpo del paziente.

Insomma, la percezione manuale ed il tocco non finiscono mai di sorprenderci, con aspetti che sembrano andare al di là della nostra comprensione e della nostra stessa mano.

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