L’osteopatia nelle zone più remote del mondo è un’alternativa efficace, sicura e soprattutto economica. Intervista all’osteopata volontaria Luisa Miraglia
L’amore per l’osteopatia dopo un infortunio sportivo, il suo, giocando a pallavolo a livello agonistico. Da lì inizia l’avventura di Luisa Miraglia, osteopata di Modena che come molti suoi colleghi ha fatto di questa disciplina, oltre che il suo lavoro, la sua filosofia di vita.
“Essere complice della SALUTE è il miracolo più bello a cui si possa partecipare – scrive nella presentazione pubblicata sul suo sito studiolemaree.it – è uno scambio, una crescita, una ricerca continua. Oggi mi dedico alle donne nel pre-post parto, ma soprattutto ai neonati e ai bambini. A chi mi chiede il perché di questa scelta amo rispondere: che sono loro ad avermi scelto, e di solito quando una cosa viene così naturale forse è solo perché è la cosa giusta da fare”.
Questa “vocazione osteopatica” l’ha portata in giro per il mondo, in missioni umanitarie dall’India con Ostéopathes et enfants du monde, al Perù con Osteopathy Without Borders, in villaggi per lo più sperduti a servizio di persone bisognose o disagiate portando con sé un unico e indispensabile strumento per aiutarle a stare meglio: le sue mani.
Dal 2019 è direttrice didattica di Hands With Hearth Foundation, un programma di volontariato per bambini disabili che prevede la collaborazione di osteopati, fisioterapisti e optometristi ma nell’ottica di ampliare la gamma di professionisti che possono unirsi alle missioni di volontariato per poter aumentare la gamma di opportunità terapeutiche offerte. L’associazione è attiva in Argentina, Costa Rica e Bali nel difficile ambito della disabilità, dovuto alla mancanza di risorse economiche e di mezzi in zone remote e difficilmente raggiungibili. “In molti casi – spiega l’osteopata Miraglia – la difficoltà è di natura culturale laddove, per esempio a Bali, la disabilità è associata a un discorso di credenze che non prevede la possibilità culturale di intervenire con dei trattamenti che potrebbero andare contro il loro karma“.
La missione della fondazione è quindi non solo quella di fornire assistenza ma di elaborare dei programmi didattici che possano essere fruiti e appresi dai terapisti locali, qualora ce ne fossero, oppure dagli stessi genitori.
I terapisti di Hands With Hearth Foundation sono presenti in questi territori con gruppi diversi dalle 3 alle 4 volte l’anno per circa 15 giorni, consentendo così di poter misurare l’efficacia dei trattamenti eseguiti sui bambini per esempio a livello motorio ma in generale sul miglioramento della qualità della vita. Tra poco più di un mese, precisamente dal 20 al 29 novembre, partirà la nuova missione in Costa Rica, mentre a Bali dal 5 al 14 febbraio.
È possibile candidarsi in qualità di osteopati direttamente sul sito handswithheartfoundation.org.
Il racconto di Luisa è un fiume in piena, tante sono le emozioni che questi viaggi suscitano nei volontari e le esperienze che legano per tutta la vita questi posti e quei pazienti, alle vite dei terapeuti volontari. In questi contesti l’osteopatia può essere una risorsa molto importante perché – ci spiega Luisa – “in molti casi potrebbe rappresentare l’unica alternativa possibile, pur con i suoi limiti, perché praticata solo con le mani senza l’ausilio di strumentazioni di cui molte zone del mondo sono totalmente sprovviste”.
Ma cerchiamo di cogliere più a fondo la sua esperienza direttamente dalle sue parole.
Raccontaci qualcosa in più sulle missioni umanitarie in qualità di osteopata in giro per il mondo. Cosa hanno in comune i posti in cui sei stata?
I posti in cui sono stata sono molto diversi, soprattutto a livello culturale, per cui ogni esperienza mi ha lasciato qualcosa di diverso. La prima è quella con Osteopathy Without Borders ad Arequipa, un villaggio peruviano a 2335 metri sul livello del mare rendendo sin da subito abbastanza difficile l’ambientamento proprio a livello fisiologico! L’obiettivo di quella missione era quello di raccogliere fondi per sponsorizzare le associazioni locali e per comprare deambulatori, stampelle sedie a rotelle per queste associazioni. La solidarietà tra le persone è l’aspetto che più mi ha colpito di questa esperienza; in un contesto socio economico difficile esistono delle associazioni che accolgono i bambini con disabilità per sostenere le famiglie meno abbienti pur in una condizione di scarsità del personale molto forte, in cui si conta anche solo un terapista per 100 bambini. Io ho prestato il mio aiuto con l’osteopatia in queste associazioni in un clima di forte relazione fra tutte le parti in campo, compresi i pazienti, a cui abbiamo insegnato dei semplici gesti per aiutarli a fare degli esercizi terapeutici o delle piccole routine di manipolazioni semplici e innocue che potessero aiutare a migliorare la mobilità di questi bambini. Abbiamo lavorato anche in una città per anziani – un sobborgo di Arequipa – in cui vivono per strada tutti gli anziani sfrattati dalle loro famiglie perché per cultura, in quel paese, quando un figlio maschio mette su famiglia i genitori anziani sono costretti a cambiare abitazione o, più frequentemente, a vivere per strada. Malgrado le condizioni gravemente precarie in cui queste persone sono costrette a vivere, è proprio lì che ho respirato un clima di solidarietà e condivisione che non credo di aver più visto e vissuto in seguito.
Esperienze come queste aiutano forse non solo i pazienti ma anche chi si offre loro. Cosa lasciano a te questi viaggi a livello umano e professionale?
Lasciano tantissimo, io dico sempre che parto per dare una mano e torno che sono io ad essere stata aiutata più di tutti sotto ogni punto di vista, sia umano che professionale. Molto forte per me è stata la seconda esperienza di volontariato che è seguita a quella fatta in Perù e che mi ha destabilizzato molto. Prima nel 2017 e dopo nel 2018 sono partita nel sud dell’India con Ostéopathes et enfants du monde per aiutare bambini in orfanotrofio, case famiglie o in rarissimi casi nelle cliniche in cui vivono in condizioni di grande degrado. Parliamo di bambini senza beni di prima necessità quali indumenti e scarpe, con dei calli ai piedi che sembravano dei sassi. In quel momento mi sono messa davvero in discussione e ho pensato di essere inutile in una condizione così estrema e difficile. Come potevo io con le mie sole mani aiutare questi bambini? La risposta è arrivata l’anno dopo con la mia seconda missione nello stesso posto in cui la prima a corrermi incontro è stata una bimba che avevo trattato precedentemente per un problema respiratorio e che mi ringraziava nella lingua tamil per averle tolto, diceva, lo spirito cattivo dal suo torace.
Si tratta di posti caratterizzati da gravi carenze in campo sanitario, in cui mancano anche strumenti diagnostici essenziali. L’osteopatia come può essere utile in questi contesti?
Di fronte a delle situazioni così difficili se fosse anche un solo bambino a poter vivere una condizione migliore grazie all’osteopatia, per me è molto importante. Il semplice tornare a poter giocare, per minori che vivono situazioni di isolamento in strutture come gli orfanotrofi perché abbandonati dai genitori o addirittura portati via dalle famiglie, è fondamentale, perché non poter partecipare alla vita sociale per loro significa essere tagliati fuori, vivere ai margini. Per cui l’osteopatia pur con tutti i suoi limiti perché non può risolvere problemi cronici o patologie gravi, è assolutamente utile perché quello che per me è un piccolo cambiamento, per quel bambino è una grande risorsa e possibilità, quindi vale la pena continuare a fare quella esperienza. In certi posti l’alternativa all’osteopatia è veramente niente; mancando strumentazione diagnostica e ausili medico sanitari l’osteopatia, che non necessita di null’altro se non le mani dell’osteopata, può fare la differenza. Trovo che sia un dovere nostro a livello morale quello di essere a servizio della comunità e di condividere la nostra fortuna, oltre che di divulgare l’osteopatia come un’alternativa efficace, sicura e soprattutto economica.