Mai come in questo momento di grande cambiamento per l’osteopatia italiana, segnato dall’introduzione dei nuovi corsi di laurea, è fondamentale salvaguardare e proteggere il messaggio originario trasmesso da Still. Il principale rischio che corriamo è che l’ingresso dell’osteopatia nell’università possa stravolgere il suo approccio filosofico, quello stesso approccio che la distingue nettamente dalle altre discipline sanitarie e che ha contribuito alla sua ampia diffusione e all’affermarsi come terapia efficace.

La distribuzione degli insegnamenti nelle logiche universitarie porterà in cattedra per la quasi totalità docenti non osteopati, i quali, non avendo mai praticato né vissuto l’osteopatia, non saranno in grado di trasmetterne la filosofia e i princìpi. Come già stava accadendo in alcune scuole dove ormai insegnavano docenti con poca esperienza osteopatica, il possibile rischio è che l’osteopatia perda la sua peculiarità e che si riduca alla ricerca della protrusione, dell’ernia o del plantare risolutivo, se non peggio ancora, del farmaco o dell’integratore di turno. L’osteopatia è altra cosa e per sapere cos’è, è indispensabile ripartire dalla storia di Still e dell’osteopatia. I princìpi dell’osteopatia un osteopata non solo ha il dovere di averli studiati, ma anche “vissuti”, perché solo l’esperienza crea l’apprendimento.

Lavorare da osteopata porta almeno ad alcune di queste osservazioni:
– che la cura viene da dentro e non c’è nessun terapeuta che cura, e che la terapia è rendere il paziente libero dal terapeuta,
– “l’unità del corpo” ci fa capire che il sintomo è un segnale spesso di un adattamento, e che per interpretare questo segnale dobbiamo essere ossessionati dalla domanda “perché”, e quando la diagnosi porta alla sentenza di un’ernia discale, domandarsi sempre “perché” si è presentata, “perché” da quel lato, e non rifugiarsi nella semplificazione della condizione di stress o al lavoro o, peggio ancora, allo sport praticato (a proposito di stress, vi invito a leggere un mio editoriale specifico a questo link).
– L’assunto “l’arteria è suprema” significa che dobbiamo ridare movimento a organi, articolazioni e ossa per ridare la giusta circolazione e innervazione.
Per comprendere bene l’osteopatia dobbiamo quindi ripartire dalla storia (osteopedia.com) dove scopriremo che anche in America si sono attraversati gli stessi passaggi storici che stiamo vivendo qui, ma soprattutto ci potrà servire per scoprire cosa era in grado di curare l’osteopatia ai tempi di Still, le sue potenzialità evidenti sin dalla sua origine a cui si sono aggiunte le conoscenze di questi 150 anni  di ulteriore arricchimento.

Per darvi solo un’idea, prima ancora che Still la chiamasse “osteopatia” nel suo biglietto da visita si definiva “lightning bone setter”, e dall’altro lato del bigliettino scriveva:

“Ho scoperto che molte malattie decretate incurabili sono causate dalla parziale o completa dislocazione delle ossa del collo, del torace, della colonna vertebrale o degli arti. Di seguito un elenco parziale: mal di testa, debolezza e indolenzimento degli occhi, tonsille ingrossate, catarro, mal d’orecchie, lacrimazione degli occhi, perdita della voce, sanguinamento dei polmoni, asma, polmonite, disturbi cardiaci, consunzione, paralisi della faccia, della colonna vertebrale o degli arti, gozzo, emorroidi, vene varicose, dolore agli arti, leucorrea e tutte le malattie delle donne, costipazione, flux [influenza emorragica?], diarrea, convulsioni, piedi e arti freddi, prostrazione generale, dispepsia, gotta, reumatismi a tutte le parti dell’organismo, malattie del fegato e tutte le malattie renali, ecc”.

Spero che in tutti gli osteopati brilli il fuoco della curiosità indispensabile per attivare la parola magica “perché” e che nelle università almeno si riesca ad accenderlo.