L’esposizione al fumo di tabacco in gravidanza è associata ad aumento di complicazioni prevenibili della gravidanza stessa (placenta previa, aborto spontaneo, parto prematuro, mortalità perinatale) e della prima infanzia, quali il rischio di sindrome della morte improvvisa del lattante e di patologie respiratorie, cardiovascolari, neurocomportamentali nel neonato e nel bambino.

Uno studio condotto nell’UOS Medicina preventiva dell’età evolutiva, Dipartimento Materno Infantile, ASL Rieti, e pubblicato a gennaio 2013 sul Notiziario ISS Volume 26  numero 1 leggi qui lo studio completo – ha dimostrato come l’allattamento al seno mostri un significativo effetto protettivo rispetto all’abitudine al fumo.

“Sostenere quindi gli sforzi delle madri a mantenere l’astinenza dal fumo dopo la nascita del proprio figlio – si legge nelle conclusioni dello studio – potrebbe aiutare a prolungare la durata dell’allattamento al seno. D’altro canto, la forte associazione evidenziata tra allattamento al seno e abitudine tabagica al 3° e al 5° mese, dimostra anche come la promozione di questa pratica possa avere, a sua volta, un ruolo favorente sul mantenimento dell’astensione dal fumo. Si raccomanda infatti agli operatori sanitari di incoraggiare l’allattamento al seno per indurre le madri a smettere di fumare”.

L’indagine su prevalenza, esclusività e durata dell’allattamento al seno nel territorio di Rieti, ha valutato i cambiamenti del comportamento rispetto all’abitudine al fumo delle donne reatine nei primi mesi del postpartum in previsione dell’avvio di un progetto rivolto alle neomamme, mirante a favorire anche l’adozione di stili di vita salutari, primo fra tutti l’astensione dal fumo di sigaretta.



Come emerge dal Sistema di Sorveglianza PASSI – Rapporto Regionale Lazio 2010, sebbene nel triennio 2008-10 sia segnalata una diminuzione della prevalenza dell’abitudine al fumo in Italia, emerge che nel Lazio la prevalenza di donne fumatrici è più alta di quella di altre regioni (29 per cento), con un divario uomini donne inferiore alla media nazionale, con frequenze più elevate tra le donne nella fascia d’età 18-34 anni, associate a livelli socioeconomici più bassi; inoltre, un quinto dei bambini risulta esposto al fumo passivo dei genitori. Si stima inoltre che circa il 60 per cento delle donne smette di fumare in gravidanza, ma una buona percentuale di madri riprende il fumo subito dopo il parto o nei primi mesi di vita del bambino.

Lo studio conferma difatti come la gravidanza sia associata ad un alto tasso di cessazione dal fumo, seppur inferiore nelle donne che hanno già avuto figli, nettamente più alto tre le donne che allattano al seno. Studi epidemiologici dimostrano che le ricadute nel postpartum possono interessare fino all’85 per cento delle madri e che la ripresa dell’abitudine al fumo spesso avviene entro 2-8 settimane dalla nascita del figlio; le donne fumatrici presentano inoltre un rischio raddoppiato di interrompere l’allattamento al seno nelle 10 settimane successive al parto.

Tra le cause imputabili, quella della scarsa attenzione al problema del tabagismo dopo il parto. “Se infatti le donne sono incoraggiate a smettere di fumare durante le visite prenatali – si legge nello studio – non altrettanto avviene nel postpartum, in cui l’attenzione dei pediatri è rivolta alla salute del neonato e non alle abitudini tabagiche delle madri. Il counselling breve, cioè l’azione strutturata a sostegno del cambiamento comportamentale, in questo momento critico, potrebbe essere un intervento semplice, di basso costo e grande efficacia, soprattutto se effettuato da parte di personale sanitario adeguatamente preparato”.