Come molti colleghi sapranno da molti anni, circa 15, mi occupo di Autismo, collaborando in particolar modo con l’Istituto di Ortofonologia di Roma. Il noto “Progetto Tartaruga” diretto dalla Dott.ssa Magda Di Renzo, è ormai conosciuto come DERBBI ovvero Developmental Emotional regulation, Relationship And Body-Based Intervention, si tratta di un Modello evolutivo relazionale a mediazione corporea.
La realtà dell’Istituto di Ortofonologia credo sia unica nel suo genere in Italia, poiché si tratta di una valutazione integrata da diverse figure professionali come Neuropsichiatra infantile, psicoterapeuta dell’età evolutiva, logopedista, psicomotricista e osteopata, che contestualmente in modo del tutto complementare osservano il bambino a 360° condividendo contestualmente una diagnosi e stabilendo il miglior percorso terapeutico secondo una scala di priorità.
Il vissuto di un bambino passa sempre dal corpo, lasciando una traccia che possiamo identificare attraverso dei test manuali.
Nel corso di questi anni, ho molto studiato il “tocco” nei bambini con autismo, cercando di comprendere come potermi relazionare con loro proprio attraverso il corpo. Forse ancora oggi è opinione comune che un bambino autistico non può essere toccato perché rifiuta il contatto! Mi sento di poter smentire tale concetto, e di sottolineare al contrario l’importanza del contatto corporeo quale contenitore, modulatore e mediatore di una possibile relazione.
Ho potuto trattare circa 700 bambini di età compresa fra i 18 mesi e i 18 anni, raccogliendo per ciascuno di loro molti dati, comprendenti le disfunzioni osteopatiche riscontrate con l’indagine palpatoria.
Più volte , grazie alla pazienza e passione infinita della Dott.ssa Di Renzo abbiamo cercato di incrociare questi dati con i risultati dei test eseguiti dall’Istituto di Ortofonologia come ad esempio l’ADOS. Purtroppo è difficile venirne a capo, poiché ogni bambino è diverso dall’altro, mi spiego meglio: durante ogni visita cerchiamo di raccogliere tutte le informazioni possibili attraverso questionari che integrano una dettagliata anamnesi dal concepimento al momento della visita. Aumentando il numero dei dati a disposizione possiamo tracciare al meglio una traiettoria di sviluppo, inoltre riusciamo a definire una diagnosi più attenta, che tenga conto del vissuto del bambino e non solo dei suoi sintomi. Per tali ragioni sarebbe opportuno poter parlare di “autismi” anziché di “autismo”. Questa realtà clinica la condivido come Osteopata anche da un punto di vista etico, poiché il trattamento è specifico per ciascuno di loro, non si può standardizzare; spesso i bambini autistici, come tanti altri bambini presentano molti sintomi organici, che non devono essere giustificati dalla diagnosi, ma che piuttosto rendono il quadro ancora più complesso, talvolta disordinato. In questi casi l’OMT si è rivelato efficace per normalizzare il sonno, ridurre l’ipersensorialità cutanea, tranquillizzare un bambino eccessivamente vivace, aiutare i genitori ad osservare con occhi più consapevoli il proprio figlio.
Il prossimo novembre si terrà presso l’Osteopathic-College di Trieste, al quale sono particolarmente affezionato per la lunga collaborazione di docenza che svolgo, nonché per la stima verso Roberto Pagliaro e gli altri colleghi, il primo postgraduate pratico dedicato all’autismo. Avremo la possibilità di condividere valutazioni cliniche attraverso i numerosi filmati dei trattamenti che ho effettuato nel corso di questi anni. Sarà un’occasione per poter riflettere sull’applicazione dei principi della filosofia osteopatica nell’ambito dei disturbi dello spettro autistico.