Per lungo tempo occultata, questa patologia urinaria, mal espressa, mal vissuta, e talvolta invalidante, ha trovato soluzioni in scelte difficili e non sempre soddisfacenti, come l’intervento chirurgico, la pazienza e la rassegnazione.
Una migliore conoscenza dei fenomeni relativi alla minzione ha portato negli anni alla comparsa e allo sviluppo di una rieducazione uro-dinamica che ha ridotto in misura notevole la percentuale delle problematiche legate all’incontinenza urinaria.

L’Osteopatia, per la sua concezione, può dare una risposta più globale ai molteplici fattori che favoriscono questa patologia, ed essere complementare ad un’azione terapeutica troppo segmentaria.

L’incontinenza urinaria detta “da sforzo” è la forma d’incontinenza più frequente nella donna.

Essa viene classicamente definita come una perdita di urina che si manifesta in seguito a qualsiasi attività fisica che aumenti la pressione addominale, come tossire, starnutire, fare sforzi fisici in attività sportiva, sollevamento di pesi anche modesti  o cambiare improvvisamente di posizione. Nella maggior parte dei casi è dovuta al parto, oppure ad una condizione ereditaria (o acquisita) di lassità del tessuto connettivo, età avanzata, obesità, lavori pesanti, stipsi, farmaci (alcuni ansiolitici e antidepressivi alterano il controllo vescicale; l’incontinenza può comparire in seguito ad anestesia) etc.

A seconda dell’intensità dello sforzo che la determina, si classifica l’incontinenza urinaria in tre gradi di severità crescente:

  1. stadio I: tossire, starnutire, ridere;
  2. stadio II: sollevamento di un peso, cambiamento di posizione, marcia rapida, discesa dalle scale, saltare;
  3. stadio III: il più piccolo sforzo.

La continenza è assicurata dal mantenimento di un gradiente uretro-vescicale detto pressione di chiusura (PC = PUretra – PVescica) se questo resta  positivo, cioè PU > PV.
La fuga o perdita di urina sopraggiunge quando le forze di espulsione risultanti dalla spinta addominale o dalla contrazione del detrusore superano le forze di ritenzione dell’uretra. In questo caso il gradiente uretro-vescicale risulta invertito (PV > PU) e la continenza non è più garantita.

I dati attuali indicano due fattori principali determinanti nella comparsa dell’incontinenza urinaria:



  1. la perdita del supporto anatomico dell’uretra e del collo della vescica e difetto di trasmissione delle pressioni intra-addominali all’uretra prossimale;
  2. l’alterazione del meccanismo sfinterico uretrale.

Questi due meccanismi possono coesistere nella stessa paziente.

Normalmente, quando vi sia uno sforzo (tosse per esempio), l’aumento della pressione addominale determina un aumento della pressione vescicale che viene in misura uguale trasmessa all’uretra. A questo si aggiunge la contrazione riflessa precoce dello sfintere striato che precede la variazione della pressione vescicale di 250 millisecondi contribuendo all’aumento della pressione nell’uretra. In questo modo il gradiente di pressione uretro-vescicale è conservato, e la continenza assicurata.

Nell’incontinenza urinaria è presente un’alterazione di questa trasmissione delle pressioni sotto sforzo, per cui la pressione intravescicale diventa maggiore delle pressioni intrauretrali.
Fisiologicamente, durante uno sforzo, il diaframma pelvico si appiattisce.
Per effetto della spinta addominale la vescica e la vagina si spostano in dietro ed in basso. Il collo uterino tende ad appoggiarsi sul piano solido del rafe ano-coccigeo. La parte interna degli elevatori contraendosi, si oppone a tale spinta, facendo risalire in alto avanti i visceri, mantenendo uretra e vagina all’interno della fascia manometrica addominale (al di sopra della sinfisi pubica), garantendo la continenza. Se gli elevatori presentano una deficienza congenita o acquisita, in caso di stiramento o rottura o lacerazione ostetrica, la parte inferiore dello stretto della vagina non è più sostenuto, e al momento dello sforzo, le pressioni esercitate sul perineo, non sono più compensate dal lavoro degli elevatori: a questo punto il canale vaginale resta aperto e verticale, favorendo l’inizio di un prolasso genitale, che spesso trascina con sé la parete posteriore dell’uretra.

E’ definita come una diminuzione del tono sfinterico, ovvero una diminuzione della pressione di chiusura endo-uretrale. I fattori che intervengono nel meccanismo di chiusura dell’uretra, tanto a livello del collo che a livello dello sfintere striato, sono numerosi e in stretta connessione (vascolari, neurologici, endocrini). Questi fattori collaborano per mantenere il tono trofismo degli sfinteri e le proprietà visco-elastiche di epitelio e muscose dell’uretra, tutti elementi fondamentali per il meccanismo della contenzione.

Poiché l’incontinenza urinaria da sforzo è il risultato di una somma di lesioni, sarà opportuno, nella nostra visione osteopatica, valutare e trattare metodicamente:

  • quelle che creano un aumento di pressione sulla vescica;
  • quelle che alterano il meccanismo vescico-uretrale.

Da un punto di vista della valutazione è importante conoscere il modo di comparsa del disturbo:

  • sotto sforzo (ridere, tossire, saltare): fa pensare ad un difetto di trasmissione delle pressioni addominali;
  • sotto sforzo ma soprattutto nei cambi di posizione, anche da coricata. La fuga evoca in questo caso una insufficienza sfinterica.

Il lavoro osteopatico si concentrerà quindi su problematiche meccaniche e viscerali con l’obiettivo di:

  • liberare le restrizioni meccaniche esercitate sulle fibre nervose;
  • liberare i tessuti dalle aderenze e far loro recuperare una certa elasticità e mobilità;
  • ridare agli organi il loro schema fisiologico normale;
  • migliorare la mobilità e lo scorrimento degli organi fra loro;
  • facilitare la circolazione dei liquidi: circolazione arteriosa, venosa, e linfatica;
  • rinforzare il tono degli sfinteri del perineo, e dinamizzare le strutture contrattili;
  • ristabilire l’equilibrio ormonale attraverso l’azione sui centri “relais” e attraverso una stimolazione neuro-vegetativa.

In particolare andremo a verificare:

  • gli organi addominali e il peritoneo
  • il diaframma
  • la colonna vertebrale con particolare attenzione ai livelli toraco-lombari e sacrali
  • il bacino osteo-membranoso (sacro, ali iliache, sinfisi pubica, coccige)
  • il pavimento pelvico che deve essere elastico e tonico
  • l’utero. In presenza di una retroversione uterina o di una fissazione dei mezzi di sospensione o di sostegno degli organi pelvici, tutto l’equilibrio e la trasmissione delle pressioni sono rimessi in discussione
  • i mezzi di fissazione e sostegno (legamenti pubo vescicali e pubo-uretrali; ombelico-prevescicali e uraco) e l’aponeurosi pelvica
  • la posizione della vescica rispetto alla cintura manometrica addominale.

Per quanto riguarda le alterazioni del meccanismo sfinterico è importante controllare i distretti  relativi a vascolarizzazione e innervazione, a cui è direttamente collegato anche l’apporto ormonale.
Oltre al trattamento specifico per le aree interessate, è fondamentale considerare l’approccio globale con la valutazione e il trattamento preliminare dell’asse cranio-sacrale, con il riequilibrio dei diaframmi.

Nel trattamento dell’I.U. l’Osteopatia può intervenire a più livelli:

  1. può essere associata con la riabilitazione fisioterapica, pur avendo le due campi d’azione diversi, posto che l’obiettivo dell’osteopatia è di rivolgersi alla possibile causa del fenomeno;
  2. può seguire ad un intervento chirurgico per agevolare i processi di cicatrizzazione dei tessuti, riattivando precocemente sensibilità e propriocezione della zona interessata e, per questo, riducendo i tempi di ripristino della funzione corretta;
  3. può essere un approccio interessante per le incontinenze funzionali che non rientrano nell’ambito della riabilitazione fisioterapica (o quando questa non abbia conseguito i risultati sperati) o della chirurgia.