Ho conosciuto Emilio anni fa in occasione del 50° anniversario della morte di Wilhelm Reich durante un convegno all’università Bicocca a Milano. Non mi era mai capitato di ascoltare un discorso così coerente. Emilio mano a mano che parlava rispondeva alle domande silenziose un attimo dopo che si formavano nella mia testa. Mi chiarì nel tempo di un’ora molti dei dubbi che mi avevano tormentato negli ultimi dieci anni. La cosa più sorprendente fu però il fatto che riusciva a chiarire difficili contenuti scientifici con tale semplicità e leggerezza che la sala, strapiena, risuonava di comprensione e risate. Andai a trovarlo nel suo studio in università, una stanzina stretta e lunga con pile di carta disordinate sparse dappertutto. Difficile trovare dove sedersi. Così ho cominciato a conoscere una persona deliziosa, un amico e una insostituibile fonte di ispirazione scientifica e umana.
Non conosceva l’osteopatia ma, poiché i lavori teorici sulla biofisica che stava sviluppando avvalorano alcune pratiche osteopatiche, era attirato dal fatto che, viceversa, queste pratiche avvalorassero i suoi approfondimenti teorici. Così, attraverso la nostra interazione teorica e pratica abbiamo condiviso le nostre domande, esperienze e conoscenze. Può sembrare strano che un fisico teorico prestasse fede alle percezioni che derivano dalla pratica empirica, ma era proprio questa una delle sua grandi qualità: sapeva che le sensazioni, base delle pratiche cliniche, possono guidare la scienza, anche la scienza teorica più rigorosa. Emilio infatti rifiutava, e a ragione, il pregiudizio culturale direttamente derivato dalla scuola fisicalista di Von Helmholtz che presuppone la veridicità delle scoperte cliniche derivate direttamente dalla loro compatibilità con la fisica ortodossa contemporanea.
A tale riguardo ha scritto recentemente un articolo a quattro mani con sua moglie Margherita Tosi (psicoanalista) che sarà pubblicato nell’anno corrente e nel quale tra l’altro si afferma: “Benché sconfitta sul piano della dominanza ideologica, la scuola vitalistica ha tuttavia ispirato numerose acquisizioni scientifiche, come la scoperta del campo morfogenetico ad opera della scuola russa di Gurwitsch e della biodinamica di Rollin Becker (fondatore della osteopatia biodinamica) e ha influenzato lo sviluppo della psicodinamica del profondo iniziata da Freud e che ha trovato la sua più matura espressione nelle concezioni di W. Reich e di sua figlia Eva”.
I messaggi al mondo della clinica e alla teoria osteopatica sono principalmente due: di non indulgere in sclerotizzazioni dogmatiche di tipo conservativo che gli stessi fondatori dell’Osteopatia non avrebbero sottoscritto e nel non cercare di rincorrere affannosamente gli stereotipi, cari alla medicina allopatica, dettati dalla biofisica derivata dallo studio della materia passiva. In una parola, fidarsi senza riserve delle proprie percezioni e delle rigorose acquisizioni tecniche teoriche e metodologiche che ne possono derivare. In relazione a ciò stavamo studiando le modificazioni dell’emissione elettromagnetica all’infrarosso del corpo del paziente sottoposto a trattamenti psicoanalitici, shiatsu e osteopatici. Tutti questi studi possono e devono essere portati avanti dagli attori che già collaboravano con Emilio e da chi vorrà (spero) prenderne in mano i frutti.
Per quel che concerne gli studi più specifici riguardanti la produzione di energia, Emilio da sempre era volutamente rimasto un passo indietro ai sui colleghi (Fleischmann, il suo caro amico Preparata ecc..) per il fatto, ovvio, che qualsiasi nuova forma di energia porterebbe a nuove forme di sfruttamento della stessa. Essendo lui centrato sul tentativo di orientare le coscienze e la ricerca scientifica verso la diminuzione dell’uso dell’energia, una volta soddisfatta la sua curiosità scientifica in ordine al fatto che la fusione fredda è una energia effettivamente sfruttabile, se ne è disinteressato nella speranza che questa, come altre forme di produzione di energia, non venga usata, considerato che l’umanità, a ben vedere, non ne ha alcun bisogno.
Approfondimenti
Per capire la portata mondiale delle scoperte di Del Giudice, vi invito a leggere questo articolo dal titolo L’insabbiamento della fusione fredda.
Molto bella l’intervista di Roy Virgilio al Prof. Emilio Del Giudice dal titolo: Fusione Fredda: una realtà da non farsi sfuggire.
Interessante l’inchiesta di Report, Rai 3, andata in onda il 24 Settembre 1997 “Troppo bello per essere vero”, in cui si fa luce sugli sviluppi della ricerca sulla fusione fredda e sul perchè la scienza ufficiale cerchi di bloccarne lo sviluppo.
Inchiesta firmata Milena Gabanelli, interviste a Giuliano Preparata e ad Emilio Del Giudice.
- “L’auto-organizzazione degli organismi viventi alla luce della moderna teoria quantistica dei campi”. Intervento di Emilio Del Giudice (Istituto di Fisica Nucleare di Milano)
Università degli Studi di Milano “Bicocca” 2010
- “Colloquio col vuoto”.
Intervento di Enrico Chiappini – Università degli Studi di Milano “Bicocca” 2010
Avevo scoperto solo da poco il lavoro di ricerca di Emilio Del Giudice. Ma mi considero comunque molto fortunata e grata che sia potuto accadere. Da biologa/ecologa di formazione e professione, ho sempre subito –direi in buona compagnia della maggior parte dei miei colleghi biologi- la sudditanza scientifica e l’accoglienza acritica delle teorie fisiche “ufficiali” per spiegare la vita.
Indossare gli “occhiali” che Emilio del Giudice ha saputo offrire per rileggere i fenomeni biologici alla luce delle teorie e degli esperimenti suoi e di altri ricercatori considerati eretici dalla scienza ufficiale, spiegati con una chiarezza, una leggerezza e una padronanza delle connessioni tra saperi diversi e considerati lontani tra loro assolutamente uniche, mi ha aperto un mondo, mi ha chiarito perplessità e curiosità insoddisfatte e trascurate da una vita.
E ha contribuito a smascherare definitivamente –se ancora ce ne fosse stato bisogno- la pretesa “oggettività” della scienza…
Spero proprio che altri possano e sappiano continuare il suo lavoro.
Dottor Chiappini carissimo,
carissimo Dottor Chiappini, il suo caldo commento su Emilio del Giudice fa bene al cuore di chi lo ha conosciuto.
Unico appunto è il fatto che campo morfogenetico è un termine originato dal dottor Sheldrake , biologo inglese.
Messo ciò in chiaro (ma forse mi sbaglio io, chissà) devo dire che per un cultore di Reich come sono io, l’approccio di Emilio Del Giudice è il primo vero contributo al lavoro di Wilhelm Reich dagli anni 50 dello scorso secolo. Gesù!… dire che è lo scorso secolo mi fa lo stesso effetto di dire che Emilio Del Giudice è morto.
Non è possibile. Mi sembra una cosa assurda.
Comunque concordo con lei nel pensare che il lavoro di Emilio non debba esser lasciato cadere come fu lasciato cadere il discorso di WIlhelm Reich.
Non so se concordo sul fatto che la "fusione fredda con mezzi economici" (di fatto possibile) e non coll’assurdo dispendio di mezzi delle multinazionali dell’energia sia davvero da trascurare, ma gli argomenti di Emilio restano comunque fortissimi. Non sono da ignorare. Sono da ponderare seriamente.
Io sono uno psicologo energetico taoista e baso come voi osteopati la mia pratica sulla percezione e l’armonizzazione della energia nei miei pazienti, per cui non posso che plaudire al suo scritto.
Mi permetto di esserle vicino con affetto
Luca Terzi
Caro dott. Terzi
Effettivamente è un vezzo di certa cultura anglosassone salutare dall’ultimo piano dimenticandosi di che materia sono fatte le scale e di chi le ha costruite. In effetti il “campo morfogenetico” è la descrizione del modo dello sviluppo embrionale coniato da Alexander Gurwitsch all’inizio del …. secolo scorso.
Era un embriologo, al pari di Blechschmidt (c’è una intervista su questo sito a Raymond Gasser che ne parla) e mi sono trovato spesso a parlare con Emilio Del Giudice sulla relazione tra il “campo morfogenetico” relativo alla radiazione mitogenetica descritta da Gurwitsch e i campi “biodinamici” descritti da Blechschmidt. Per gli osteopati (che purtroppo non studiano Gurwitsch e neanche Reich) è un argomento piuttosto centrato. Pensi ad esempio se un problema di sviluppo derivasse da un mancato accordo tra un “campo” di fase elettromagnetica e un “campo” di rimodellamento biodinamico di matrice materiale. Se conoscessimo di più sul modo di relazione tra lo sviluppo materiale e il campo di fase potrebbero aprirsi varchi teorici che confermerebbero quanto si insegna nella tecnica biodinamica sulla relazione tra il “corpo fluidico” e la sua espressione “potenziale”. Due modi di dire la stessa cosa? Un’altra espressione di questi movimenti a un livello diverso del “frattale” potrebbe essere lo sviluppo dello psichismo? Insomma tutto materiale che porterebbe ad allargare la visione teorica osteopatica fino a toccare quella psicologica o psicosomatica in modo finalmente congruente.
Gli studi di Gurwitsch sono stati ripresi e approfonditi anche da Picardi che lei conoscerà e attualmente, tra gli altri, da Vladimir Voiekov, fisiologo moscovita che lavorava con Emilio. Se vuole le mando la documentazione.
… E speriamo in un futuro privo di spazzolini lampade penne e coriandoli a “fusione fredda”.
La ringrazio molto per la sua vicinanza.
Enrico Chiappini
Ogni volta che ascolto un intervento di Emilio Del Giudice (è tutt’ora possibile, grazie a
youtube) ho la sensazione che le sue parole vadano a riempire quei vuoti percepiti davanti
ai libri di fisiologia chimica o biologia, leggendo i quali mi sembra
di studiare sequenze di eventi separati, frammentari, senza un’armonia che leghi gli
eventi tra loro…la spiegazione della vita senza la vita..
La stessa percezione l’ho avuta leggendo il testo di Enrico Chiappini: alla fisica si aggiunge la
psicanalisi, la biodinamica…e molto altro..
Si tratta più che altro di intuizioni e non di reale e profonda comprensione, per raggiungere la
quale avrei bisogno di conoscenze in questi campi, che mi mancano.
Questo mi fa pensare che sarebbe interessante imparare fin dall’inizio del percorso scolastico
a rapportarsi con la conoscenza vista come una rete di saperi, di modelli e di pratiche diversi nella
“zoomata” specifica, ma in rapporto di interdipendenza nel determinare e spiegare il sistema
complesso della vita.
Sono sempre stata incuriosita dalla relazione tra psiche e malattia e pur avendo incontrato, sia come
paziente che come studentessa, molti medici fisioterapisti e osteopati che riconoscono l’importanza
della psiche del paziente nel rapporto terapeutico, mi ha sempre stupito come si limitino poi a
considerarla un elemento marginale nella propria pratica quotidiana. Da fisioterapista e studentessa
di osteopatia lo comprendo, sia perché non fa parte dei nostri riferimenti teorici formativi e quindi
abbiamo il timore di invadere impropriamente campi di competenze altrui, sia perché credo esista
la tendenza da parte dell’ osteopatia a privilegiare un approccio più tipicamente “scientifico” e
riduzionista, più “accreditato” come rigoroso dalla scienza ufficiale.
Ma se con l’esperienza e l’intuizione si ammette la relazione tra psiche e malattia…perché si
continua a ragionare in modo settoriale e miope?
Perché non possiamo approfondire, da osteopati, conoscenze psicoanalitiche che ci
permetterebbero di indagare più a fondo il concetto di salute/malattia e relazionarci in modo
più “completo” con il paziente?
Brava Giuli, prendi esempio da Wilhelm Reich!
In relazione ai quesiti di Giulia Massa e anche della dottoressa Setti, che ringrazio, osservo che, per quanto lentamente, qualcosa si muove in direzione della “filosofia della complessità”. Niente al confronto di Reich o della semplice fantasia di un bambino, però qualcosa c’è. Il fatto è che purtroppo, non appena si aprono spiragli alla fantasia si perde la capacità di rigore metodologico consequenzialità e profondità storica (mi riferisco a Lowen); d’altro canto, il rigore scientifico porta a frenare enormemente la capacità di indagine sulle relazioni complesse (penso ai lavori di Lurija sulla scorta di Freud).
Caro dott. Terzi
Effettivamente è un vezzo di certa cultura anglosassone salutare dall’ultimo piano dimenticandosi di che materia sono fatte le scale e di chi le ha costruite. In effetti il “campo morfogenetico” è la descrizione del modo dello sviluppo embrionale coniato da Alexander Gurwitsch all’inizio del …. secolo scorso.
Era un embriologo, al pari di Blechschmidt (c’è una intervista su questo sito a Raymond Gasser che ne parla) e mi sono trovato spesso a parlare con Emilio Del Giudice sulla relazione tra il “campo morfogenetico” relativo alla radiazione mitogenetica descritta da Gurwitsch e i campi “biodinamici” descritti da Blechschmidt. Per gli osteopati (che purtroppo non studiano Gurwitsch e neanche Reich) è un argomento piuttosto centrato. Pensi ad esempio se un problema di sviluppo derivasse da un mancato accordo tra un “campo” di fase elettromagnetica e un “campo” di rimodellamento biodinamico di matrice materiale. Se conoscessimo di più sul modo di relazione tra lo sviluppo materiale e il campo di fase potrebbero aprirsi varchi teorici che confermerebbero quanto si insegna nella tecnica biodinamica sulla relazione tra il “corpo fluidico” e la sua espressione “potenziale”. Due modi di dire la stessa cosa? Un’altra espressione di questi movimenti a un livello diverso del “frattale” potrebbe essere lo sviluppo dello psichismo? Insomma tutto materiale che porterebbe ad allargare la visione teorica osteopatica fino a toccare quella psicologica o psicosomatica in modo finalmente congruente.
Gli studi di Gurwitsch sono stati ripresi e approfonditi anche da Picardi che lei conoscerà e attualmente, tra gli altri, da Vladimir Voiekov, fisiologo moscovita che lavorava con Emilio. Se vuole le mando la documentazione.
… E speriamo in un futuro privo di spazzolini lampade penne e coriandoli a “fusione fredda”.
La ringrazio molto per la sua vicinanza.
Enrico Chiappini
Avevo scoperto solo da poco il lavoro di ricerca di Emilio Del Giudice. Ma mi considero comunque molto fortunata e grata che sia potuto accadere. Da biologa/ecologa di formazione e professione, ho sempre subito –direi in buona compagnia della maggior parte dei miei colleghi biologi- la sudditanza scientifica e l’accoglienza acritica delle teorie fisiche “ufficiali” per spiegare la vita.
Indossare gli “occhiali” che Emilio del Giudice ha saputo offrire per rileggere i fenomeni biologici alla luce delle teorie e degli esperimenti suoi e di altri ricercatori considerati eretici dalla scienza ufficiale, spiegati con una chiarezza, una leggerezza e una padronanza delle connessioni tra saperi diversi e considerati lontani tra loro assolutamente uniche, mi ha aperto un mondo, mi ha chiarito perplessità e curiosità insoddisfatte e trascurate da una vita.
E ha contribuito a smascherare definitivamente –se ancora ce ne fosse stato bisogno- la pretesa “oggettività” della scienza…
Spero proprio che altri possano e sappiano continuare il suo lavoro.
Dottor Chiappini carissimo,
carissimo Dottor Chiappini, il suo caldo commento su Emilio del Giudice fa bene al cuore di chi lo ha conosciuto.
Unico appunto è il fatto che campo morfogenetico è un termine originato dal dottor Sheldrake , biologo inglese.
Messo ciò in chiaro (ma forse mi sbaglio io, chissà) devo dire che per un cultore di Reich come sono io, l’approccio di Emilio Del Giudice è il primo vero contributo al lavoro di Wilhelm Reich dagli anni 50 dello scorso secolo. Gesù!… dire che è lo scorso secolo mi fa lo stesso effetto di dire che Emilio Del Giudice è morto.
Non è possibile. Mi sembra una cosa assurda.
Comunque concordo con lei nel pensare che il lavoro di Emilio non debba esser lasciato cadere come fu lasciato cadere il discorso di WIlhelm Reich.
Non so se concordo sul fatto che la "fusione fredda con mezzi economici" (di fatto possibile) e non coll’assurdo dispendio di mezzi delle multinazionali dell’energia sia davvero da trascurare, ma gli argomenti di Emilio restano comunque fortissimi. Non sono da ignorare. Sono da ponderare seriamente.
Io sono uno psicologo energetico taoista e baso come voi osteopati la mia pratica sulla percezione e l’armonizzazione della energia nei miei pazienti, per cui non posso che plaudire al suo scritto.
Mi permetto di esserle vicino con affetto
Luca Terzi
Ogni volta che ascolto un intervento di Emilio Del Giudice (è tutt’ora possibile, grazie a
youtube) ho la sensazione che le sue parole vadano a riempire quei vuoti percepiti davanti
ai libri di fisiologia chimica o biologia, leggendo i quali mi sembra
di studiare sequenze di eventi separati, frammentari, senza un’armonia che leghi gli
eventi tra loro…la spiegazione della vita senza la vita..
La stessa percezione l’ho avuta leggendo il testo di Enrico Chiappini: alla fisica si aggiunge la
psicanalisi, la biodinamica…e molto altro..
Si tratta più che altro di intuizioni e non di reale e profonda comprensione, per raggiungere la
quale avrei bisogno di conoscenze in questi campi, che mi mancano.
Questo mi fa pensare che sarebbe interessante imparare fin dall’inizio del percorso scolastico
a rapportarsi con la conoscenza vista come una rete di saperi, di modelli e di pratiche diversi nella
“zoomata” specifica, ma in rapporto di interdipendenza nel determinare e spiegare il sistema
complesso della vita.
Sono sempre stata incuriosita dalla relazione tra psiche e malattia e pur avendo incontrato, sia come
paziente che come studentessa, molti medici fisioterapisti e osteopati che riconoscono l’importanza
della psiche del paziente nel rapporto terapeutico, mi ha sempre stupito come si limitino poi a
considerarla un elemento marginale nella propria pratica quotidiana. Da fisioterapista e studentessa
di osteopatia lo comprendo, sia perché non fa parte dei nostri riferimenti teorici formativi e quindi
abbiamo il timore di invadere impropriamente campi di competenze altrui, sia perché credo esista
la tendenza da parte dell’ osteopatia a privilegiare un approccio più tipicamente “scientifico” e
riduzionista, più “accreditato” come rigoroso dalla scienza ufficiale.
Ma se con l’esperienza e l’intuizione si ammette la relazione tra psiche e malattia…perché si
continua a ragionare in modo settoriale e miope?
Perché non possiamo approfondire, da osteopati, conoscenze psicoanalitiche che ci
permetterebbero di indagare più a fondo il concetto di salute/malattia e relazionarci in modo
più “completo” con il paziente?
In relazione ai quesiti di Giulia Massa e anche della dottoressa Setti, che ringrazio, osservo che, per quanto lentamente, qualcosa si muove in direzione della “filosofia della complessità”. Niente al confronto di Reich o della semplice fantasia di un bambino, però qualcosa c’è. Il fatto è che purtroppo, non appena si aprono spiragli alla fantasia si perde la capacità di rigore metodologico consequenzialità e profondità storica (mi riferisco a Lowen); d’altro canto, il rigore scientifico porta a frenare enormemente la capacità di indagine sulle relazioni complesse (penso ai lavori di Lurija sulla scorta di Freud).
Brava Giuli, prendi esempio da Wilhelm Reich!