Se dovessimo indicare in una sola parola l’essenza dell’osteopatia io utilizzerei: “perché”.

Quando le altre professioni si fermano a indicare la causa della lombalgia o della sciatalgia nell’immancabile ernia di turno, l’osteopata si domanda “perché”. E da lì, dal perché del perché, parte la sua indagine ma soprattutto il suo trattamento.

Immagino che se mi mettessi all’uscita di un centro di radiologia, difficilmente troverei qualcuno che non esce con un referto che indica un’ernia, una protrusione, uno scivolamento o, comunque, una disidratazione dei dischi. La prima domanda che mi viene in mente è: da quanto tempo è presente questo quadro rispetto ai sintomi del paziente? E, soprattutto, perché la sintomatologia è improvvisamente peggiorata?

La risposta a questa domanda è tanto semplice quanto spesso ignorata: quando c’è un problema, non c’è mai una sola causa. Il modello di riferimento per tutto ciò che accade in natura è quello delle reti, con nodi di diversa importanza, o più genericamente, il modello della complessità.

Le altre professioni, di fronte al risultato di una costosa risonanza, spesso rispondono con una terapia farmacologica. Tuttavia, questa scelta non si basa esclusivamente sul referto, ma sul quadro clinico complessivo. Anche la decisione di intervenire chirurgicamente non è determinata dalla quantità di dolore, ma da elementi come la perdita di sensibilità o forza, anch’essa frutto di una diagnosi clinica.

L’osteopata in presenza di una lombalgia o sciatalgia si domanda “perché” e generalmente dall’anamnesi, si ritrovano delle motivazioni che giustificano ampiamente il sintomo, ma quello che per noi fa la differenza è trovare con le dita la conferma di quelle che, per esperienza, sono nostre supposizioni.

Nel caso di questo tipo di sintomatologia quasi sempre troviamo delle cause viscerali che da sole esercitano una trazione 24 ore su 24 con prevalenza notturna, quando i visceri sono l’unico apparato che funziona (per cui c’è una recrudescenza del sintomo al risveglio). Lavorando sul contenitore e sul contenuto, non solo rimettiamo il sistema in equilibrio ma siamo in grado di spiegare ai pazienti il perché della loro condizione e cosa possono fare affinché non si ripeta.

Mi piace ripetere anche ai miei pazienti che la vera terapia consiste nel renderli indipendenti dal terapeuta; il nostro obiettivo è mettere il paziente nelle condizioni di non avere più bisogno di noi. Questo ci distingue, ad esempio, dai chiropratici, i quali spesso puntano alla fidelizzazione del paziente attraverso appuntamenti fissi vita natural durante.

In verità questo potrebbe essere anche il nostro futuro nell’ambito della prevenzione, ma con un’ottica decisamente diversa anche solo per il fatto che i chiropratici, non occupandosi di viscerale, non potranno mai essere efficaci sulle numerosissime sintomatologie da loro prevalentemente originate. Noi possiamo arrivare prima, nel senso che un sintomo, prima che si manifesti, manda segnali per mesi – se non per anni – e queste tensioni sono percepibili dagli osteopati molto prima che il sintomo si palesi.

Questo avverrebbe più facilmente se il paziente si ponesse la domanda “perché” fin dal primo segnale e cercasse dall’osteopata la risposta. Mi dispiace vedere quanti giovani osteopati, che evidentemente non conoscono a fondo l’osteopatia, si orientano verso il “circo del trick track”, imitando i chiropratici e cercando in quel contesto lo specchietto per le allodole che attirerà i loro pazienti. Colgo l’occasione per invitarli a tornare a studiare i principi fondamentali di Still, riscoprendo il vero significato dell’unità del corpo e del concetto dell’arteria suprema, di cui parleremo ancora.