Si tenuto lunedì scorso, 15 dicembre, nella Biblioteca del Senato della Repubblica “Giovanni Spadolini” di Roma, il Convegno dal titolo: “I primi 25 annidel ROI: il riconoscimento, la formazione e la ricerca scientifica. Storia di un progetto che ci unisce all’Europa”.
Quello che riportiamo di seguito è il discorso tenuto dal presidente del ROI, Paola Sciomachen.
Siamo arrivati ad oggi, quando il ROI, in seguito alle dichiarazioni del ministero della salute, che ha sollecitato la necessità di arrivare ad una regolamentazione dell’osteopatia come professione sanitaria, si è fatto portavoce di una esigenza già presente all’interno della nostra categoria. Tale esigenza comprende la legittima richiesta di definizione del profilo professionale, che individui le caratteristiche del professionista, a tutela dell’utenza e a vantaggio di tutte le professioni sanitarie, nella definizione di un ambito preciso di intervento, che è complementare e non alternativo o sostitutivo di alcun altra professione sanitaria.
Da 25 anni gli osteopati in Italia gestiscono in modo autonomo i pazienti che vengono alla loro consultazione, individuando su ciascun paziente, indicazioni, limiti e controindicazioni al trattamento osteopatico.
Formulano una diagnosi osteopatica, cioè individuano la disfunzione somatica.
Non fanno diagnosi di patologia.
Non si occupano dell’aspetto riabilitativo della patologia.
Nella gestione però del paziente disfunzionale, vengono a contatto con pazienti che comunque hanno delle patologie, in relazione delle quali formulano la diagnosi osteopatica, il piano di trattamento e la prognosi conseguente. Ormai è chiaro a tutti che l’osteopatia non si definisce per un insieme di tecniche come avviene per la medicina manuale, ma è una professione con una identità autonoma con un approccio clinico basato su diagnosi osteopatica, piano di trattamento con tecniche manuali e prognosi osteopatica. L’osteopatia occupa quello spazio lasciato vuoto dalla medicina allopatica e dalla fisioterapia ed opera fra la patologia e la riabilitazione conseguente alla patologia. L’osteopatia interviene su tutti quei pazienti che normalmente prendono farmaci per sintomi algici che sono da riferirsi alla manifestazione della disfunzione somatica (non a patologia), sulla quale si può intervenire ristabilendo, con specifici interventi manuali, una armonia fra i sistemi che mantengono lo stato di salute.
Per questo noi chiediamo che venga riconosciuto all’osteopata un profilo professionale con competenze, conoscenze e abilità adeguate a svolgere in autonomia una professione sanitaria per la quale si ritiene necessaria una formazione universitaria di cinque anni a ciclo unico.
Tale Richiesta è in linea con le indicazioni dell’OMS, è condivisa dalle associazioni europee, soddisfa quanto scritto dall’OIA nell’ultimo report del 2012, e viene ripresa nel documento CEN attualmente in discussione a Bruxelles e di prossima approvazione. Le professioni sanitarie nell’ordinamento italiano sono tutte quelle professioni i cui operatori, in forza di un titolo abilitante rilasciato/riconosciuto dalla Repubblica italiana, lavorano in campo sanitario.
Esse sono esclusivamente di livello universitario, sono poste sotto la vigilanza del Ministero della Salute, e per esercitare una di esse occorre aver conseguito una laurea.
Le professioni sanitarie definite dal Ministero della salute ad oggi si identificano nelle 5 professioni indipendenti: Medicina e chirurgia, veterinaria, odontoiatria, psicologia e farmacia. Ad esse si aggiungono le professioni ricondotte all’interno di 4 aree specifiche il cui profilo professionale è stato individuato dalla legge 251/2000, (riabilitative, ostetrico infermieristiche, tecnico assistenziali e tecnico della prevenzione).
Accanto ad esse attualmente, vi sono attività comprese in un’area di INTERESSE SANITARIO, (es. massofisioterapisti) con funzioni serventi ed ausiliarie, la cui formazione non avviene in ambito universitario. Esiste poi un ulteriore area per le ARTI AUSILIARIE DELLE PROFESSIONI SANITARIE, in cui vi sono attività come MCB, puericultrice, ottico.
Ai sensi della legge n. 43 del 2006 art 2 comma 1, alle Regioni è consentita la possibilità di individuare e formare operatori DI INTERESSE SANITARIO NON riconducibili alle professioni sanitarie già esistenti, la cui formazione professionale è di livello secondario e non terziario. Ad esse ovviamente non spettano le competenze previste ad una professione sanitaria. La formazione regionale prevede corsi per acquisire competenze su attività specifiche non corsi di abilitazione ad una professione sanitaria.
All’inizio del nostro percorso ci siamo impegnati sugli emendamenti al DDL Lorenzin, all’interno del disegno di legge sulla riforma delle professioni sanitarie. Strada non consueta ma nella quale ci siamo inseriti perché c’era la volontà da parte del governo di comprendere anche l’istituzione della osteopatia come nuova professione sanitaria.
Oltre all’emendamento governativo ne è stato presentato un altro da parte di Lettieri, entrambi, sul profilo professionale e sulla formazione, soddisfacevano le nostre richieste.
Successivamente l’on Binetti ha presentato una proposta di legge per la regolamentazione dell’osteopatia sempre come professione autonoma, sanitaria con una formazione quinquennale. Questi eventi hanno scatenato le reazioni delle professioni sanitarie che hanno duramente attaccato gli osteopati in quanto temono impropriamente che gli vengano tolti degli spazi e non vedono di buon occhio una nostra possibile autonomia nel panorama delle professioni sanitarie.
Purtroppo le polemiche che hanno suscitato pubblico clamore all’interno della nostra categoria, hanno prestato il fianco ai fisioterapisti che hanno cavalcato il discorso dell’osteopatia come sanitaria e quindi riservata a professionisti già sanitari come medici e fisioterapisti, facendo leva sulla pericolosità e sulle competenze. Questo attacco trova terreno nel momento in cui colleghi Osteopati dichiarano pubblicamente di non voler essere riconosciuti come professione sanitaria e di non avere le competenze e la formazione adeguata.
Ora viviamo un momento molto difficile dove dopo i primi successi, a fronte di un panorama così teso, la relatrice del ddl 1324, senatrice De Biasi, ha fatto una proposta di riformulazione dell’emendamento sull’osteopatia, demandando la questione ai ministeri competenti (sanità ed istruzione) suggerendo di risolverla all’interno della legge 43/2006 art. 5 comma 1,2,3,4. Questa modifica non è ancora stata votata. Si legge comunque l’intenzione di inserire l’osteopatia fra le professioni sanitarie, con il suggerimento però di indirizzarla all’interno delle 4 aree sanitarie ( riabilitative, assistenziali, infermieristiche ostetriche, tecnico assistenziali e tecnico della prevenzione), all’interno della quali noi non riusciamo a riconoscere la nostra identità a discapito quindi di una chiara suddivisione di competenze con i fisioterapisti con i quali vorremmo avere un rapporto di collaborazione e non di competizione.
Questo potrà avvenire solo nel momento in cui ci saranno definiti ruoli e competenze, chiarendo l’identità e la specificità di ciascuna delle due professioni che si differenziano anche a livello di mercato, cosa che purtroppo ora in molti casi non avviene.
Quale strategia pensiamo dunque di perseguire per il prossimo futuro.
Sicuramente la volontà di camminare insieme, di rivendicare la nostra professionalità, di sensibilizzare l’opinione pubblica, di produrre materiale scientifico a sostegno delle nostre richieste, di stimolare un dialogo costruttivo e non polemico con le professioni sanitarie, di rivendicare la nostra cultura e la nostra formazione che ci ha permesso di essere fino ad oggi un riferimento importante per giovani, bambini ed anziani che hanno trovato nell’osteopatia una risposta al loro bisogno i salute.
Non siamo ancora riconosciuti come professione sanitaria ma da tempo ci occupiamo in modo cosciente e responsabile, della salute dei pazienti che vorremmo fossero tutelati e sostenuti nel loro diritto di scelta.