Intorno al parto e all’ostetricia in generale sono tantissime le questioni irrisolte, il numero di parti operativi è sempre alto soprattutto in Italia e ancora di più in alcune Regioni. I dati CeDAP 2020 su gravidanza e parto riferiscono che il “31,12% dei parti è avvenuto con taglio cesareo, con notevoli differenze regionali che comunque evidenziano che in Italia vi è un ricorso eccessivo all’espletamento del parto per via chirurgica”. Sapendo che quando c’è un problema non c’è mai una causa sola, porsi delle domande su quali siano le concause che generano questi numeri è un nostro dovere.

Dal punto di vista prettamente meccanico sappiamo che la dimensione e le proprietà biomeccaniche del tessuto e dello spazio pelvico materno influenzano l’evoluzione del processo del parto. Come osteopati sappiamo che un lavoro articolare o intraosseo sulle ossa del bacino modifica queste dimensioni e per anni l’unico strumento a nostra disposizione per poter misurare questa variazione è stata la nostra percezione palpatoria e visiva su come il trattamento manipolativo osteopatico modifica la Losanga di Michaelis passando dalla posizione in piedi a quella accosciata o alla semiaccosciata.

Grazie all’ottimo lavoro di ricerca fatto da Marco Siccardi e Cristina Valle finalmente abbiamo una misurazione oggettiva replicabile ma soprattutto che ci permetterà di produrre dei dati pubblicabili che andranno ad avvalorare il nostro lavoro.

Lo strumento che consente di fare questa misurazione e di valutare la mobilità della pelvi in gravidanza è il Digital Distance Indicator (DDI), un pelvimetro ostetrico brevettato a marchio CE, che consente di dare una misura precisa del movimento della pelvi rilevando il cambiamento dei piccoli diametri ostetrici esterni attraverso il cambiamento posturale, come in un test di mobilità articolare. Precisamente consente al dito dell’operatore di mantenere un contatto fermo ma delicato sul punto di riferimento osseo anatomico, mentre la paziente cambia posizione.

Il DDI consente dunque di eseguire un test di pelvimetria Esterna Dinamica; di osservare le modificazioni pelviche in gravidanza, diagnosticare la ipo-mobilità pelvica, confortare la donna sulle proprie potenzialità innate, prevenire i danni causati dalla distocia e dal travaglio prolungato nelle donne e nei neonati  e monitorare i progressi della terapia. A dimostrarne l’efficacia, lo studio pilota che ha incluso  70 donne gravide nel terzo trimestre, dal titolo: “Il test di pelvimetria esterna dinamica nella fase avanzata della gravidanza può rivelare un travaglio ostruito e prolungato?” condotto da Marco Siccardi e Cristina Valle con il contributo di Fiorenza Di Matteo e pubblicato nel dicembre 2021 sulla rivista open access Cureus, Journal of Medical Science. La pubblicazione fa seguito ad altre precedenti e successive pubblicazioni e fa parte di uno studio ampio che viene presentato in congressi nazionali e internazionali.



La coorte era divisa retrospettivamente in due gruppi: il gruppo di studio caratterizzato da “travaglio ostruito” e il gruppo di controllo costituito dalle donne che avevano avuto un parto naturale non complicato. Il gruppo di donne con problematiche relative al travaglio e parto è stato definito utilizzando i seguenti esiti ostetrici: aumento con ossitocina dalla prima fase del periodo di dilatazione, manovre di Kristeller, utilizzo di la ventosa (kiwi) o forcipe, taglio cesareo successivo all’inizio del travaglio.

Eseguito presso il Dipartimento di Ostetricia dell’Ospedale San Paolo di Savona, lo studio ha valutato il test di Pelvimetria Esterna Dinamica studiando le posizioni che più facilmente possono essere assunte da tutte le donne e dimostrando come la postura influenza i diametri intra-pelvici e lo spazio del canale del parto.

Le posizioni utilizzate per il test sono state quelle che la letteratura e la pratica clinica hanno evidenziato come le più utili e le più agevoli e ripetibili per una paziente all’ultimo trimestre di gravidanza. La posizione eretta è stata presa come posizione di partenza, dove l’estensione degli arti inferiori impedisce la mobilità pelvica. Per facilitare l’assunzione delle altre posizioni si è considerata la posizione eretta in ginocchio. Da questa la paziente passava alla seconda posizione sui  “4 appoggi”, cioè sostenuta da mani e ginocchia, che è una posizione tipica sia della fase dilatante che della fase espulsiva. La posizione finale era quella di squat in ginocchio, o accovacciata, che viene mantenuta durante il parto e utilizzato in alcuni studi radiologici.

I diametri pelvici esterni utilizzati sono quelli della pelvimetria ostetrica classica. Essi sono i diametri della losanga di Michaelis (che corrispondono allo stretto pelvico superiore), il diametro tra le tuberosità ischiatiche (il diametro trasverso dello stretto pelvico inferiore), la base del triangolo pubico di Trillat (corrispondente al diametro trasversale dello stretto pelvico medio tra le spine ischiatiche), il diametro bi-trocanterico, il diametro tra le spine iliache anteriori superiori, la distanza trasversale tra le creste iliache e infine la coniugata esterna che misura la distanza antero-posteriore tra il pube e la base sacrale.

Le misurazioni ottenute per l’emi-diametro longitudinale di Michaelis, il diametro inter-tuberoso, e la base del triangolo del Trillat erano statisticamente significative in ogni posizione. La differenza nelle misurazioni del diametro trasversale di Michaelis tra la posizione in piedi e quella sui “4 appoggi” e la differenza nelle dimensioni del diametro bi-cristale tra la posizione sui “4 appoggi” e quella accovacciata in ginocchio era risultata statisticamente significativa.

Il Digital Distance Indicator (DDI) è disponibile all’acquisto in questa pagina.