Si è tenuta il 10 ottobre scorso davanti al Presidente XII commissione della Camera dei Deputati Mario Marazziti, l’audizione informale del Comitato Promotore per la Formazione delle Competenze dell’Osteopata (CPO) sull’esame del ddl 3868 – iniziato a settembre 2015 – alla presenza di Paola Sommaiuolo e Paolo Zavarella, rispettivamente vicepresidente e consigliere del CPO, da sempre impegnato a sostegno del processo di riconoscimento dell’osteopatia come professione e sotto il profilo della formazione, a fronte di “un  vuoto normativo presente da oltre trent’anni – spiega  Zavarella – che non aiuta le persone che scelgono di rivolgersi all’osteopatia cercando complementarietà e promozione della salute”.

Sono due i fattori su cui si è fatta luce in sede di audizione affinché il riconoscimento possa salvaguardare la professione di osteopata così come delineata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e senza alcuna sovrapposizione a nessuna delle professioni attualmente presenti: da un lato la salvaguardia della formazione osteopatica e del profilo professionale dell’osteopata in linea con le linee guida OMS; dall’altro tutela degli osteopati già diplomati e di quelli in corso di formazione.



Entrambi i punti si rifanno al modello delineato dalle Benchmarks Oms pubblicate nel 2009, che riconosce il profilo professionale dell’osteopata “in un modello razionale di indagine e trattamento manuale orientato alla promozione della salute e alla valutazione e rilancio dei meccanismi intrinseci di autoguarigione e di adattamento omeostatico e allostatico presenti nel corpo”.

Quanto al secondo argomento di discussione, il CPO ha indugiato sulla necessità di tutelare con una norma transitoria adeguata alla sanatoria diretta o un percorso proporzionato alla riqualificazione del titolo, gli osteopati già diplomati e di quelli in corso di formazione “tenendo conto – chiosa Zavarella in corso di audizione – che la maggior parte di questi non è in possesso di laurea sanitaria pregressa, essendosi formato nelle scuole qualificate nazionali o internazionali che adottano il modello “tipe 1” definito dall’OMS, ossia l’ordinamento tempo pieno”.