A dicembre 2016 la rivista PNEI NEWS – organo d’informazione della Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia – ha ricordato con un numero interamente dedicato allo stress, gli ottanta anni dalla pubblicazione del celebre report di Hans Seyle, che segnò la storia della medicina e consacrò il ricercatore a “padre dello stress”.
Qui di seguito proponiamo uno degli articoli comparsi in PNEI NEWS, che riteniamo di particolare interesse osteopatico, per gentile concessione della SIPNEI

La reazione di stress coinvolge in modo significativo il sistema miofasciale (SMF) e le ossa tant’è che, in situazioni di stress cronico, si possono manifestare molte patologie a carico di queste strutture anatomiche. Le terapie manuali possono però ripristinare l’assetto organico riequilibrando la reazione di stress.

di Marco Chiera – Filosofo, master in PNEI Università dell’Aquila
Nicola Barsotti – Osteopata D.O., fisioterapista
Diego Lanaro – Osteopata D.O., biologo sanitario PhD

Dallo stress al corpo: il sistema miofasciale e le ossa

Per sopravvivere ad eventi avversi l’organismo attua la reazione di stress con il rilascio di noradrenalina, adrenalina e glucocorticoidi (in particolare cortisolo). Queste molecole permettono di avere le energie (in particolare glucosio) necessarie per sopravvivere e influenzano l’assetto e l’attività dei singoli tessuti.
Selye distinse un adattamento locale e uno generale: il primo coincide con la risposta adattativa tissutale e metabolica locale capace di determinare un’alterazione funzionale della zona coinvolta, mentre il secondo è caratterizzato da risposte sistemiche che toccano tutti gli organi, compresi sistema endocrino, immunitario ed encefalo1,2. Entrambi gli adattamenti coinvolgono il SMF.

Questo sistema è formato dal tessuto muscolare e dalla fascia, tessuto connettivo (TC) che avvolge tutto l’organismo, esternamente ed internamente suddividendosi in fascia pannicolare (adipe sottocutaneo), fascia assiale (muscoli del tronco e arti), fascia viscerale (organi interni) e fascia meningeale (meningi)3.

Funzione del SMF è sostenere l’organismo permettendogli di adattarsi agli stimoli meccanici ambientali, tenuto conto che il TC è l’ambiente extracellulare in cui le cellule vivono, da cui traggono nutrienti e in cui riversano gli scarti, oltre ad essere il campo di azione del sistema immunitario e dell’infiammazione.



Proprio per questi motivi, il SMF permette di combinare gli aspetti meccanici e quelli chimico-biologici dell’organismo: non a caso negli ultimi anni è nata la meccano-biologia, branca che studia come le cellule trasducono stimoli meccanici recepiti dalla membrana cellulare in cascate biochimiche culminanti nel rilascio di ormoni, neurotrasmettitori e citochine, se non in vere e proprie marcature epigenetiche.

Una prima azione del cortisolo nel SMF è la stimolazione dell’immunità umorale Th2, diretta proprio verso l’ambiente extracellulare. In acuto l’immunità Th2 è antinfiammatoria: i macrofagi ripuliscono il TC da tossine o microbi extracellulari, i mastociti degranulano rilasciando fattori infiammatori necessari per la protezione ambientale (es.: punture di insetti) oltre che gli enzimi triptasi e chimasi, uno dei cui compiti è la degradazione del TC per rimodellarlo4.

Per capire pensiamo a come dobbiamo “scaldarci” prima di una prestazione fisica: l’aumento di temperatura indotto dal sistema ortosimpatico, dall’attivazione del metabolismo muscolare e il rilascio degli enzimi citati rendono il SMF malleabile e pronto ad eseguire sforzi. Se questo rimanesse rigido e “freddo”, ogni movimento sarebbe molto difficile. Il cortisolo aiuta poi muscoli e ossa nel loro rimaneggiamento, che come sappiamo è indotto da stimoli meccanici: nei muscoli esso stimola la degradazione delle proteine, mentre nelle ossa attiva gli osteoclasti, le cellule che “mangiano” la materia ossea. Questo parziale degrado fornisce all’organismo la possibilità di adattarsi ai nuovi stimoli, ricostruendosi più forte di prima dopo ogni stress acuto5,6.

Nel cronico però la reazione di stress diventa deleteria. L’immunità Th2 diventa fortemente infiammatoria: gli osteoclasti aumentano la loro attività favorendo l’osteoporosi e facilitando così le fratture. Sempre nelle ossa, aumenta la secrezione del “fattore di crescita dei fibroblasti 23” (FGF23), necessario per mantenere in equilibrio la quantità ematica di fosforo, ma che in eccesso può portare problematiche renali, cardiovascolari, atrofia del timo e astenia. Inoltre viene impedita la produzione di osteocalcina, ormone osseo vitale per il buon funzionamento di testosterone e insulina6. I mastociti rilasciano molti fattori infiammatori, alterando il rimodellamento del TC4. Vengono infatti prodotti gli enzimi metallo-proteinasi o MMP che hanno il compito di degradare il TC, ma che sono fortemente infiammatori: si ritrovano infatti elevati in caso di obesità, malattie peridontali e tumori (questi sfruttano le MMP e i macrofagi per farsi strada nell’organismo)7.
Si può avere così un duplice risultato:

  • il TC di sostegno (la fascia) viene “mangiato”, diventando fragile e permeabile. Non a caso i glucocorticoidi causano l’atrofia dei tendini (attenzione quindi ad iniettarli nei tendini doloranti! È più utile un semplice riposo “attivo”8);
  • il TC interno agli organi diventa estremamente duro e fibrotico, impedendo il loro buon funzionamento. Le catecolamine poi stimolano i fibroblasti a proliferare e a secernere sempre più collagene che riempirà i tessuti. L’eccesso di stress e di infiammazione inducono anche l’apparizione degli adipociti e l’accumulo di grasso viscerale ed intramuscolare, il quale ostacola il funzionamento organico e provoca a sua volta infiammazione9.

Le MMP diminuiscono anche la presenza dei fattori di crescita neurotrofici (es.: NGF) in aree come l’ipotalamo, poiché essendo enzimi degradanti si “mangiano” i fattori di crescita, rendendoli inattivi. Sia chiaro: questo effetto non si ha a seguito di un stress acuto forte, ma con uno stress moderato cronico!10

La noradrenalina ha poi altri effetti deleteri:

  • causa la produzione di radicali liberi (ROS) che danneggiano il TC11;
  • aumenta la produzione di MMP12 che favoriscono il rilascio tissutale di TGF-β113.ROS e TGF-β1 inducono i fibroblasti a diventare miofibroblasti, cellule connettivali dotate di filamenti di α-SMA (actina simile a quella presente nei muscoli lisci) che rendono il TC contrattile. Se nell’acuto tale contrattilità aiuta la riparazione di una ferita (i due lembi vengono avvicinati), nel cronico favorisce la formazione di fibrosi (i miofibroblasti producono molte citochine infiammatorie), di aderenze tissutali e cicatrici sempre più estese e forti: le contratture dei miofibroblasti sono infatti lente, ma durature e consumanti poca energia. Queste forti contratture generano tensioni meccaniche recepibili da particolari proteine di membrana presenti su tutte le cellule, le integrine, le quali di conseguenza alterano la biochimica cellulare favorendo fenomeni infiammatori e predisponendo alla formazione tumorale14.

Troppo cortisolo, infine, aumenta la miostatina muscolare, causando degradazione proteica e favorendo l’atrofia delle fibre IIx legate alla potenza15.
Tutte queste modifiche tissutali comportano alterazioni percettive: il SMF è infatti sede dei recettori corporei interocettivi (percezione dello stato interno del corpo), i quali portano le loro informazioni ad aree quali il nucleo del tratto solitario (nervo vago), il nucleo paraventricolare ipotalamico (PVN, regolatore dell’asse dello stress) e l’insula (coinvolta nella consapevolezza corporea, nell’integrazione di segnali sensoriali, emotivi e ambientali, nella coscienza e nel dolore). In particolare, i recettori interstiziali legati a fibre lente Aδ e soprattutto C hanno un collegamento privilegiato con il PVN tramite la lamina I, in “salita e discesa”: non solo la lamina I spinale porta i segnali periferici verso le aree cerebrali, ma da queste (PVN in primis) riceve molteplici sinapsi15.

Pertanto forti stress possono alterare le capacità percettive: cortisolo e catecolamine modificano aree quali ipotalamo, insula e amigdala, facendo percepire molti più segnali corporei disordinati che generano ansia (pensiamo all’ipocondria). Inoltre, la forte infiammazione causa la sensitizzazione neurale: in parole povere i neuroni diventano più sensibili ad ogni stimolo, nocivo e non, dando con più facilità dolore ed iperalgesia16.

Dal corpo allo stress: il ruolo delle terapie manuali

Le terapie manuali sono in grado di bilanciare lo stress cronico, ripristinando l’equilibrio organico grazie:

  • alla mobilitazione dei fluidi corporei. Le terapie come l’osteopatia aumentano l’afflusso d’acqua nei tessuti e favoriscono la circolazione di acido ialuronico. Inoltre incrementano la circolazione sanguina e linfatica: il risultato è un aumento dei leucociti circolanti, un maggior afflusso di nutrienti ai tessuti trattati e una rimozione delle citochine infiammatorie17;
  • alla meccano-biologia. Uno stimolo manuale moderato esercitato per meno di 3 minuti induce un profilo antinfiammatorio18, il quale può indurre gli stessi miofibroblasti a “regredire” e a tornare normali fibroblasti, facendo così venir meno le loro forti contratture. Inoltre, lo stimolo manuale stimola tutte le cellule a proliferare e a secernere enzimi che rimodellano l’ambiente tissutale fibrotico19;
  • alla stimolazione del sistema nervoso (SN) data ‘’onnipresenza di recettori nei tessuti corporei. Gli stimoli manuali possono normalizzare l’eccitabilità del SN, riducendo il fenomeno della sensitizzazione20. Tramite le fibre sensoriali Aδ e C che passano per la lamina I, vengono attivate aree quali amigdala, ACC e sostanza grigia periacqueduttale che rilasciano oppioidi e cannabinoidi endogeni analgesici21. Inoltre, soprattutto tramite un tocco gentile, viene indotta l’attivazione del nervo vago, il quale riduce l’infiammazione corporea e ripristina l’equilibrio del SN autonomo. Diminuisce inoltre anche il cortisolo, a vantaggio di ossitocina, serotonina e dopamina22.

Infine, una terapia manuale manifesta importanti effetti sul riequilibrio dello stato fisiologico organico e sul dolore educando il paziente ad una miglior percezione corporea e inducendo stimoli piacevoli. In questa ottica, le discipline corporee basate sul movimento (yoga, tai chi, etc.) rivestono un ruolo fondamentale23.

Bibliografia

Contenuti correlati