“Quando studia ostetricia lo studente dovrebbe familiarizzare con un bacino e un parto normali, perché più del 90 per cento dei casi sono di questo tipo”. Questo scriveva Still nel 1910, così come ha ribadito l’OMS nel 1985: “non c’è nessuna giustificazione in nessuna regione geografica, per avere più del 10-15 per cento di parti cesarei”.

Ad allarmare, invece, i numeri del taglio cesareo in Italia dove, dopo Messico e Portogallo, si registra un tasso di parto cesareo intorno al 40 per cento, che è il più elevato in  Europa. Per intenderci, negli altri paesi europei le percentuali variano da un massimo del 20% in Estonia e Francia a un minimo del 13 per cento in Olanda. L’Italia è oltre il 40 per cento. Una corsa cominciata negli anni ’80, quando le percentuali di cesarei nel nostro Paese si attestavano appena al 12.

I cesarei in Italia: qualche numero

Scorrendo i dati dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali ci si accorge del solito divario tra nord e sud: si va dal 23 per cento del Friuli al 28 per cento del Veneto. Il record è della Campania con il 62 per cento, seguita da Sicilia (53 per cento) e Puglia dove,  solo nel 2007, si è registrato il 49,2 per cento di tagli cesarei (fonte OER Puglia), dato in crescita negli anni a seguire. Emblematico il caso di Foggia, dove nelle case di cure riunite Villa Serena e Nuova San Francesco, istituto privato accreditato, hanno fatto quasi il pieno di parti cesarei: 95,45 per cento. Non sono riusciti a fare di meglio al San Camillo di Taranto, fermi all’80 per cento. E’ sempre OER Puglia a riportare dati interessanti anche su quali sono gli ospedali in cui maggiormente si ricorre al taglio cesareo, ossia proprio quelli privati.

“In uno studio condotto dall’ISS nel 2002 – si legge infatti nell’articolo – è risultato che il ricorso al TC è più frequente nelle strutture private rispetto a quelle pubbliche. Tale risultato è confermato dai dati pugliesi. Infatti nel 2007 sono state le strutture ospedaliere Private Accreditate a far registrare una percentuale maggiore di TC con il 52,3% del numero totale di parti seguite dai Presidi di ASL con il 50,9% e dagli Ospedali Autonomi con il 42,7%.Il ricorso al TC è inoltre più frequente nelle strutture con un numero totale di parti più basso rispetto a quelle con maggiore attività.



Leggi qui il Trimestrale dell’Osservatorio Epidemiologico Regionale (OER) del marzo 2009. L’articolo “Analisi della prevalenza dei Tagli Cesarei attraverso i Certificati di Assistenza al Parto” è a pag. 49. I dati sono relativi al 2007.

La Puglia è dunque tra i peggiori esempi italiani per l’eccessivo ricorso al taglio cesareo. I dati sono allarmanti, come si legge nella suddetta rivista dell’OER, e la percentuale di Tagli Cesarei (TC) rappresenta quasi la metà di tutti i parti avvenuti. E’ maggiore nelle donne che partoriscono oltre i 40 anni, con il 63,3 per cento nel 2007 ma è altrettanto alta, attestandosi al  51,3 per cento, nella classe di età 30-39 anni.

I motivi che spiegano l’eccesso di parti cesarei in Italia sono legati all’annoso problema italiano della gestione del parto, a partire proprio dalla sua eccessiva medicalizzazione. Questo spiega perché laddove il parto è gestito dalle ostetriche rispetto ai ginecologi (nei Paesi del nord Europa), diminuiscono sensibilmente i tagli cesarei. Spesso sottovalutate al momento del parto, sono le caratteristiche ambientali, necessarie per favorire l’attivazione del sistema parasimpatico (ad esempio, luce soffusa, temperatura, privacy, nessuna attivazione della parte cognitiva del cervello). Ai fini di una buona gestione del parto importante eliminare gli “impedimenti meccanici”: uno di questi è senz’altro il parto in posizione distesa. In natura e nei Paesi in cui i parti hanno più successo, difatti, si partorisce in piedi o in posizione accovacciata.

Leggi qui l’articolo sui “tipi di parto”.

A tutti questi motivi va aggiunta anche la cattiva credenza comune secondo la quale dopo il primo cesareo, in caso di altre gravidanze, non sia possibile partorire naturalmente.
Emblematiche a questo proposito le conclusioni della revisione sistematica pubblicata nel marzo 2010, elaborata dall’Agency for Healthcare Research and Quality (AHRQ) e richiamate a pag. 101 delle Linee Guida 2011 del Ministero della Salute, dal titolo “Taglio cesareo: una scelta appropriata e consapevole”. Realizzate su più di 200 studi aventi per oggetto il travaglio e il parto dopo precedente taglio cesareo, l’esito di questa analisi sostiene il parto vaginale  dopo  taglio  cesareo, come scelta ragionevole per la maggior parte delle donne sottoposte in precedenza a taglio cesareo, soprattutto in considerazione dei gravi danni causati dai tagli cesarei multipli.

L’Osteopatia appoggia sostiene la necessità di partorire naturalmente, rimarcando sulla maggiore consapevolezza della donna e sul recupero del suo ruolo di soggetto attivo nel parto, condizioni essenziali per una pratica ostetrica meno invasiva. Tanto più che, come si legge sul portale FNOMCeO, “non sono disponibili prove a sostegno di un’associazione tra il maggiore ricorso alla pratica chirurgica e una riduzione del rischio materno-fetale, né tanto meno di miglioramenti significativi degli esiti perinatali. Al contrario, i dati disponibili, registrati nel documento pubblicato quest’anno dall’Istituto Superiore di Sanità,  riportano una più alta mortalità perinatale nelle regioni meridionali del paese, dove la percentuale di tagli cesarei è più elevata”.

Ciò che gli osteopati giornalmente rilevano sono piuttosto le numerose conseguenze provocate dalle cicatrici del cesareo che aumentano in maniera esponenziale in caso di cesarei multipli.

 

Ci sono donne che chiedono di fare il parto cesareo. A queste donne poniamo una domanda: preferite soffrire molto per poco tempo o poco per il resto della vostra vita?
Prossimamente pubblicheremo degli articoli sulle conseguenze dannose per la salute del taglio cesareo.