Approccio massimalista: dove nasce?

La pratica del vecchio dottore viene spesso descritta dall’aforisma: “trovala, sistemala e lasciala stare”. Nonostante questa frase sembri descrivere un approccio superminimalista, sappiamo che Still descriveva, oltre alla lesione, differenti condizioni che potevano alterare la postura, mantenere la colonna fuori allineamento, muscoli, legamenti o tessuti connettivi contratti. Per cui talvolta, prima di liberare la lesione occorreva risolvere alterazioni della funzione neurale o fluidica, ristabilire il potenziale energetico della persona, attraverso un processo che poteva durare settimane o mesi: in buona sostanza quello che oggi chiamiamo approccio massimalista.

Valutazione osteopatica della persona e selezione del modello

La valutazione osteopatica dell’andamento della salute della persona, ha l’obiettivo di comprendere quanto capacità adattativa sia idonea o alterata. La decodifica anamnestica e osservazionale delle tendenze costituzionali, dei disturbi attuali e/o ricorrenti, di strutture e funzioni in sovraccarico correlate al motivo di consultazione, rafforzati da test manuali, conducono l’operatore alla valutazione di un sovraccarico di tipo locale o generale di un’unità autoregolatoria (biomeccanica, neurologica, circolatorio-respiratoria o comportamentale/biopsicosociale).
Nei casi in cui la revisione dei dati anamestici, rafforzata dall’osservazione della costituzione del paziente e confermata dall’esito dei test manuali (schema di compenso fasciale e test dei compartimenti fasciali, ad es. fascia appendicolare), fa emergere un alto carico allostatico della persona, l’osteopata potrebbe obiettivare una scarsa rilevanza clinica delle disfunzioni somatiche presenti nella persona. La correlazione tra il motivo di consulto e i disturbi ricorrenti, oltre ad un sovraccarico di strutture e funzioni di marcato carattere biomeccanico, associata ad una positività dei test del controllo posturale (test dell’equilibrio in appoggio monopodalico, pattern crociati di Janda, test dell’attivazione muscolare, ecc.), conduce quindi l’osteopata verso la selezione di un approccio massimalista.

L’obiettivo è quello di abbassare il sovraccarico, in questo caso specifico biomeccanico, per poi trattare le disfunzioni somatiche, se necessario. Una delle possibilità che ha l’osteopata di utilizzare una forza di attivazione biomeccanica per ridurre il sovraccarico allostatico e migliorare il controllo posturale della persona è quella di normalizzare lo schema di compenso fasciale attraverso la tecnica del “Torque Unwinding”.

Tecniche di Torque unwinding

Elaine Wallace, D.O., ha sviluppato le tecniche di Torque Unwinding, osservando il corpo come un insieme di cavità definite dalle aree di transizione, dei cubi che rispondono alle forze compensando attraverso processi di torsione. Quando questa capacità di torsione in risposta allo stimolo viene persa, il tessuto fasciale aumenta lo stato colloidale creando memorie tissutali che si traducono in interruzioni nei compensi dei vettori di forza. Il trattamento introduce pressioni oscillatorie di bilanciamento, ritmiche, dirette centralmente rispetto alle due facce diametralmente opposte di ogni cavità/cubo, con la finalità di neutralizzare le memorie di sovraccarico (o traumatiche) residue.



Immagine tratta dalla Figura 7.1.1 pag. 261 del libro Lunghi C, Baroni F, Alò M, (2017). “Ragionamento clinico osteopatico: trattamento salutogenico ed approccio progressivo individuale”. EDRA edizioni. Milano

Il paziente è sdraiato supino, l’operatore prende contatto con una cavità delimitata tra le aree di transizione, visualizzandola come un cubo. L’approccio prevede il contatto con una cavità alla volta, solitamente iniziando con un contatto della mano craniale sull’area di transizione cranio cervicale, e della mano caudale sull’area di transizione cervico-toracica (a).

Le due mani, posizionate sui due lati opposti del cubo ideale, prendono la forma dei tessuti cui si stanno approcciando. Esercitando una lievissima compressione si ottiene una adesione completa delle mani ai tessuti sottostanti. L’applicazione della forza vettoriale contrapposta di una mano verso l’altra con i gomiti in asse, attraverso la compressione dei tessuti permette un contatto tensionale tra la mano anteriore e quella posteriore in modo tale che l’operatore possa esercitare un leveraggio. Questa condizione viene mantenuta per tutta l’esecuzione della tecnica. L’operatore attraverso l’applicazione di forze vettoriali compressive, ritmiche oscillatorie di uguale entità raggiunge l’equilibrio e normalizza lo schema di inclinazione-rotazione dell’intera cavità. Ripetendo questa procedura nella cavità tra l’area di transizione cervico toracico e toraco-addominale (b), toraco-addominale e addomino pelvica (c) si ottiene una normalizzazione dello schema di compenso fasciale scompensato.