Ammonterebbe a 341 miliardi di dollari ogni anno il risparmio di costi sanitari, con la conseguente prevenzione di morti premature e malattie, se l’allattamento al seno fosse prolungato secondo le linee guida dell’OMS. Questa pratica fisiologica e salutare per mamma e bambino può aiutare a prevenire diarrea e polmonite, le due cause principali di morte infantile, e protegge le madri dal cancro alle ovaie e al seno.
A dirlo uno studio condotto in oltre 100 paesi nell’arco di 6 anni, da ricercatori canadesi e asiatici che hanno calcolato il “Cost of Not Breastfeeding”, uno strumento online che ha utilizzato i dati dello studio durato ben 6 anni e supportato dall’iniziativa Alive & Thrive sulla nutrizione materna e infantile negli Stati Uniti.

(Qui lo studio completo pubblicato su Health Policy and Planning, Volume 34, Issue 6, July 2019, Pages 407–417)

Si tratta di un sito Web unico nel suo genere che mira ad aiutare i politici a misurare le perdite economiche nei singoli paesi quando non si supporta l’allattamento al seno, definito da Dylan Walters, esperto di economia sanitaria, che ha condotto la ricerca, “un diritto umano, che salva delle vite e favorisce l’economia sanitaria”. Basta selezionare il Paese di interesse in questa pagina per vedere quanto costa non allattare al seno.

A livello globale, quasi 600mila bambini e 100mila donne muoiono ogni anno a causa di un inadeguato allattamento al seno. Si tratta di decessi (e di enormi spese sanitarie) prevenibili se si seguissero le raccomandazioni OMS di allattare il bambino esclusivamente al seno per i primi sei mesi e di nutrirlo con una dieta a base di latte materno fino ai due anni.



Sempre secondo questo studio si stima inoltre che oltre 974mila casi di obesità infantile possano essere attribuiti al non allattamento al seno secondo le raccomandazioni, ogni anno.

Al livello mondiale, però, soltanto il 40% dei bambini al di sotto dei sei mesi vengono allattati esclusivamente al seno. La prevalenza globale dell’allattamento al seno esclusivo è aumentata dal 36% nel 2000 al 43% nel 2015 e l’attuale prevalenza di allattamento precoce e l’allattamento al seno continuato fino all’età di 2 anni sono rispettivamente del 45% e del 46%. Questo ritmo di crescita della prevalenza dell’allattamento esclusivo al seno non è però sufficiente per raggiungere l’obiettivo stabilito dall’Assemblea mondiale della sanità (WHA) di “aumentare il tasso di allattamento esclusivo nei primi sei mesi fino ad almeno il 50%” entro il 2025 (OMS e UNICEF, 2014).

L’impegno deve necessariamente essere quello di contrastare i fattori che ostacolano l’allattamento al seno: dalla mancanza di strutture alle difficoltà legate ai ritmi di lavoro, dalla spinta commerciale verso il latte artificiale allo stigma che colpisce ancora molte donne che allattano in pubblico.