Dopo aver parlato di masticazione e prima di iniziare una disamina di diversi cibi (il primo sarà la cipolla, i cui principi attivi quercetina e apigenina stanno venendo studiati per essere usati come veri e propri farmaci, il che dà davvero ragione alla frase “Fa che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo” di Ippocrate), è importante chiarire un paio di cose preliminari ad ogni buona alimentazione.

“Bisogna mangiare un po’ di tutto”: è proprio così?

La massima “bisogna mangiare un po’ di tutto” non sembra proprio il miglior consiglio. Un articolo pubblicato il 30 ottobre 2015 su PLoS One dal Dr. de Oliveira Otto e colleghi dal titolo “Everything in moderation” (tr. “Tutto in moderazione”), seguendo la dieta di 5160 persone, ha riportato che mangiare un po’ di tutto implica sì aumentare il consumo di cibi protettivi come frutta e verdura, ma anche spesso di fattori negativi quali acidi grassi trans e carboidrati raffinati (sotto forma di dolci, bevande dolcificate o cibi “spazzatura”) con un aumento della circonferenza vita e peggioramento dei parametri metabolici. Chi invece seguiva una dieta più “monotona” ma che comprendeva cibi tendenzialmente salutari (verdura, frutta, cereali integrali, legumi, pesce) aveva un rischio minore di diabete di tipo 2.

Pertanto, mangiamo anche di tutto, ma prediligendo quei cibi che sappiamo ci sostengono ed aiutano, e soprattutto ampliando i nostri orizzonti: chi mangia vari tipi di frutta, verdura, cereali integrali, legumi, etc., può tranquillamente superare 100 (per stare bassi, molto bassi) cibi diversi all’anno. Alla faccia del “Cosa mangio!?”.

Cibi o integratori?

In tema di nutrizione è sempre poi presente un eterno dilemma: meglio i cibi o gli integratori? Benché sia necessario esaminare ogni caso per sé stesso, in quanto gli integratori si possono rivelare molto utili (esempi ne siano le ricerche sull’utilità terapeutica degli acidi grassi ω-3 o della vitamina D in molteplici situazioni: malattie autoimmuni, depressione, autismo, etc.; come dell’acido folico nel primo trimestre di gravidanza), diverse ricerche sono a favore dei cibi: una dieta ben organizzata è superiore all’integrazione di singoli fattori.
Per citare alcuni studi, meglio mangiare pomodoro che non assumere integratori di licopene per proteggere il sistema cardiovascolare (Burton-Freeman & Sesso 2014. Qui l’articolo completo), ed è meglio una dieta equilibrata contenente pesce rispetto all’integrazione di ω-3 in gravidanza per evitare problemi di pre-eclampsia (Allen et al. 2014. Qui lo studio pubblicato su “Obstetrics & Ginaecology”).

Dall’altro lato, molti studi che si sono occupati di valutare l’efficacia di singole vitamine (studi riportati anche nei classici testi di biochimica) hanno mostrato pochi se non ridotti risultati. Il motivo? Nel nostro organismo nulla agisce da solo, ma necessita di cofattori: ad esempio, la vitamina C non esiste da sola negli agrumi, ma si trova assieme ai bioflavonoidi, e viceversa la vitamina C è necessaria per una buona azione della vitamina E.
Un altro esempio? Tralasciando per un attimo l’importanza estrema di capire l’effettiva causa del problema, per la salute delle ossa è poco utile integrare singolarmente la vitamina D (tra l’altro spesso integrata a dosi talmente basse da essere inutili) o il calcio (che spesso non è in sé carente in caso di osteoporosi, bensì non viene fissato nelle ossa): serve integrare assieme vitamina D, calcio, magnesio (minerale cofattore in centinaia di reazioni organiche, spesso proprio assieme al calcio) e la vitamina K (fondamentale per permettere alle cellule ossee di produrre i loro naturali ormoni).



È singolare che le verdure a foglie verdi raccolgano, in un certo senso, tutti questi elementi: contengono infatti clorofilla, molecola simile alla nostra emoglobina contenente il magnesio invece del ferro, vitamina K e calcio (a parità di calorie, verdure a foglie verdi come i cavoli sono fonti di calcio nettamente superiori rispetto al latte, cfr. Titchenal & Dobbs 2007). Non contengono la vitamina D ma, permettetemi l’analogia, il verde di questi cibi deriva dalla fotosintesi clorofilliana, ossia dal sole, la principale fonte di vitamina D. Se quindi stiamo al sole e facciamo un’attività fisica che solleciti le ossa (o le usiamo o le perdiamo: così funziona il nostro organismo), il gioco è fatto.

Infine, come già accennato, ogni cibo ha le sue proprietà, che si manifestano a livello organico, tissutale ed epigenetico (modificano la lettura del DNA, a conferma di come la genetica non determini affatto la nostra salute, ma tutto dipenda dall’interazione con l’ambiente), proprietà derivanti dalle molecole che contiene, siano esse antiossidanti, macronutrienti (carboidrati, proteine e grassi), micronutrienti (minerali e vitamine), microbi (fermenti) o altro (Szarc vel Szic et al. 2010. Qui l’abstract dello studio su PubMed).

Gli stessi cibi non vanno sempre bene per tutti

Ne segue che pensare che a tutti quanti vadano bene gli stessi cibi in ogni situazione fisiologica o patologica diventa un non senso: se alcuni cibi possono aiutare sempre (come ad esempio le nostre erbe di campo: cicoria, ortica, tarassaco, borragine e così via), altri possono diventare controproducenti.
Un esempio basato su me stesso: le crucifere (broccoli, cavoli, verze, etc.). Ottimi cibi, molto studiati per le loro proprietà antinfiammatorie e antitumorali, favoriscono la diuresi: tuttavia, quando mi è capitato di avere la tosse, il loro effetto diuretico mi “asciugava” dandomi così una tosse estremamente secca, la quale mi dà molto fastidio. Cosa ho fatto? Semplicemente per quel periodo non mangiavo crucifere, e le ho reintrodotte in seguito.

Questo è il bello e il brutto dell’alimentazione: conoscere i cibi, ma anche conoscere sé stessi al fine di trovare la propria alimentazione, il proprio giusto mezzo e la propria salute.

Tenuto conto che non bisogna confondere l’attenzione per l’alimentazione con l’“ossessione” per l’alimentazione, perché altrimenti ci sia crea stress controproducente! È il caso delle diete ipocaloriche: è meglio cambiare la propria alimentazione imparando ad ascoltare il proprio corpo e i propri segnali di fame-sazietà piuttosto che imporsi un’eccessiva restrizione calorica iper-stressante, che fa riguadagnare il doppio del peso perso una volta che si “sgarra” (Cadena-Schlam & López-Guimerà 2015. Scarica qui la ricerca).

Masticare fa molto bene, ma fissarsi sul contare le masticazioni fatte fa solo impazzire. Eliminare gli zuccheri aggiunti (e i dolcificanti “fintamente” sostitutivi) è sempre utile, ma se capita di mangiare una pizza con farina 00 non succede nulla. Se poi è la pizza della nostra pizzeria di fiducia, che abbiamo scelto per prove ed errori perché buona come sapore, che ci sazia ma non ci gonfia, che viene ben smaltita dell’intestino (non dà né stitichezza né diarrea), allora è davvero difficile che ci saranno problemi. E non bisogna diventare ossessivi anche perché altrimenti il “voler” mangiar sano diventa una vera e propria malattia!

Mangiare è un grande piacere, soprattutto se si mangia quando si ha fame (è importante seguire la fame di “stomaco”, non di “testa”, più che i ritmi e gli orari imposti dalla società) e in compagnia (credo che tutti abbiano provato come mangiare in compagnia e in un buon ambiente faccia digerire anche i sassi): diventare consapevoli di sé stessi e del cibo diventa qualcosa in grado di unire l’utile al dilettevole.

Bibliografia