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E alla donna ancora disse: io moltiplicherò i tuoi affanni e le tue gravidanze; con dolore partorirai i figli” (Genesi 3,16).
“La donna, allorché partorisce, è in tristezza; perché è giunto il suo tempo; quando poi ha dato alla luce il bambino non si ricorda più dell’affanno a motivo dell’allegrezza, perché è nato al mondo un uomo” (Giovanni 16, 21).

In questi due passi della Bibbia c’è tutto il senso del rapporto della donna con il dolore del travaglio nella nostra cultura.

Riproponiamo uno stralcio dell’abstract della relazione “Analgesia perdurale” del Dr. Wagner, neonatologo, epidemiologo, ex-direttore Regione Europa del “Dipartimento Materno Infantile Organizzazione Mondiale Sanità”, in cui esprime un parere importante di discredito della pratica epidurale:
“Prove scientifiche dimostrano che il dolore del travaglio aumenta in modo significativo per diverse ragioni, in particolare per un travaglio vissuto in un luogo sconosciuto con attorno persone sconosciute che seguono delle pratiche invasive; oppure per l’essere lasciate sole durante il travaglio; o per l’essere sottoposte alla rotture artificiale delle membrane; o ancora all’induzione e accelerazione con farmaci. [ ] Il dolore è l’elemento essenziale del travaglio fisiologico poiché stimola il cervello a rilasciare gli ormoni che a loro volta stimolano l’utero secondo un delicato processo di feedback. Con il blocco epidurale questo processo viene interrotto e il travaglio fisiologico viene rallentato o fermato. Si può tentare di superare l’impasse aumentando la stimolazione dell’utero con dei farmaci, come l’ossitocina. Questo è lo scenario tipico riscontrabile nei parti “medicalizzati” dove un intervento ne richiede un altro per cercare di superare le complicazioni del primo [ ]”.

Il “senso” del dolore del travaglio e del parto

Il dolore, quando non è sedato da farmaci e il travaglio e il parto si svolgono in modo naturale, è anche strumento di comunicazione e di relazione con il bambino subito dopo la nascita per la promozione, o il consolidamento, dell’attaccamento. Grazie al dolore, viene ad essere prodotto un cocktail ormonale importantissimo, non solo per il buon andamento del travaglio e del parto, ma anche per il primo imprinting della relazione subito dopo la nascita. In entrambi, l’ossitocina, un ormone presente anche nell’atto dell’amore, le endorfine, legate all’emozione della gioia, e l’adrenalina, che dà energia  e amplifica l’impatto emozionale, raggiungono un picco eccezionalmente alto, in modo da promuovere in entrambi dei vissuti intensamente emotivi, sovente definiti come “un’esperienza unica, indimenticabile, il momento più bello della mia vita”, per la promozione dell’attaccamento.

Travaglio fisiologico

Verena Schmid, ostetrica e direttrice responsabile della rivista professionale “Donna e Donna, il giornale delle ostetriche”, ne Il Dolore del Parto spiega la funzione specifica del dolore nella fisiologia del parto naturale, apostrofandolo come “necessario”, per stimolare una sufficiente produzione di ossitocina per il travaglio attivo. Per questo, secondo la Schmid, “non si possono applicare i metodi di analgesia farmacologica fin dall’inizio, perchè la produzione di ossitocina si arresterebbe irrimediabilmente”.

Ossitocina

L’ossitocina è una sostanza ormonale prodotta dall’ipofisi. Il suo ruolo nel meccanismo del parto è quello di provocare le contrazioni dell’utero sia nel travaglio che nel secondamento. L’eccessiva medicalizzazione del parto implica che, per indurre o accelerare il travaglio si usi ossitocina sintetica in fleboclisi, pratica diffusissima, che non tiene affatto presente che, essendo un ormone sintetico, il suo dosaggio andrebbe individualizzato. A seguito della immissione di ossitocina le contrazioni diventano forti e ravvicinate, il che può provocare un’interruzione del flusso sanguigno verso la placenta con conseguente sofferenza fetale. Un travaglio indotto inoltre presenta il rischio di prematurità del bambino e quindi di una sua maggiore fragilità.



La risposta fisiologica al dolore è il movimento che, nel caso del travaglio, si traduce nella libertà per la donna di assumere istintivamente le posizioni più antalgiche (per esempio la posizione accovacciata). Una delle caratteristiche più salienti del travaglio fisiologico è la ritmicità. L’aspetto del travaglio che esprime il concetto del ritmo in modo più evidente è il dolore. Il dolore del parto è un dolore intermittente, e nell’intermittenza sta uno dei grandi segreti del travaglio fisiologico.
Per passare al travaglio attivo con le sue contrazioni regolari ed efficaci occorre un’ulteriore stimolo regolare ad una costante e crescente produzione di ossitocina. Questo stimolo è dato dal dolore intermittente. Il dolore mette la donna momentaneamente in una situazione di stress acuto al quale risponde con un picco di produzione di catecolamine, le quali, se prodotti a picco, provocano una risposta ossitocica paradossale e stimolano contemporaneamente la produzione delle endorfine, innescando così un aumento graduale dell’attività contrattile accompagnato da una crescente capacità di tolleranza al dolore

Purtroppo, nella stragrande maggioranza degli ospedali le posizioni durante il travaglio sono “obbligate”, per esempio mantenere la posizione supina, una posizione costrittiva per la mamma e per il bambino. Questa è solo una delle cause di dolore costante e improduttivo durante il travaglio.

L’immobilità forzata durante il travaglio può causare nella mamma:

  1. contrazioni più dolorose e meno efficaci perché l’utero non è in asse con il canale del parto;
  2. maggiore ricorso a ossitocina e farmaci;
  3. lacerazioni del corso dell’utero;
  4. compressione dei grandi vasi con conseguente ridotta circolazione placentare;
  5. difficoltà di assecondare le spinte espulsive;
  6. lesioni perineali e ricorso all’episiotomia con rischi di infezioni, ematomi e ridotta possibilità di interazione con il neonato, difficoltà nell’allattamento.

Fonte: Il Dolore del Parto

Controllo del dolore con strumenti non farmacologici?

Ci sono varie cose che possono aiutare a ridurre il dolore, cioè:

  • rispettare il ritmo individuale della donna;
  • creare un ambiente intimo, sedativo;
  • avere libertà di  movimento, lasciare che la donna si metta nella posizione a lei più comoda, e poter muovere il bacino;
  • avere libertà di espressione comportamentale e verbale;
  • una conduzione ostetrica conservativa, protettiva e rispettosa;
  • può aiutare un massaggio, che libera le endorfine; un bagno caldo che rilassa la muscolatura, poter ascoltare la sua musica preferita.
    (Fonte: Maria Grazia Terreni e dispensa “Il parto Indolore”  del servizio dell’Azienda ospedaliero-universitaria dell’Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi)

Gli ormoni che creano un’analgesia naturale: le endorfine

Gli ormoni che creano un’analgesia naturale nei confronti del dolore sia della mamma che del bambino sono le endorfine. La comunicazione affettiva con il bambino durante il rilassamento tra una contrazione e l’altra fa aumentare la produzione di endorfine. Il dolore intermittente provoca uno stress acuto intermittente che a sua volta determina un picco di catecolamine le quali provocano una produzione di ossitocina paradossale e la produzione di endorfine  e di prostaglandine. Le endorfine alzano la soglia di tolleranza al dolore, e le prostglandine aumentano l’attività contrattile dell’utero. Il dolore intermittente è stimolato da un’equilibrata alternanza tra dolore e rilassamento. (da La Comunicazione e il Dialogo dei Nove Mesi, di Gabriella A. Ferrari, ed. Mediterranee).

Travaglio indotto

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, così come spiegato nelle “Raccomandazioni per la nascita” del 1985, “Il processo di parto non deve essere indotto per comodità: l’induzione del travaglio dovrebbe essere riservata solo in quelle situazioni dove vi sono specifiche indicazioni mediche. Nessuna regione geografica dovrebbe avere un tasso di travaglio indotto più alto del 10 per cento”.
L’induzione al travaglio dovrebbe avvenire intorno alla 41^ settimana, non prima. Secondo alcuni ricercatori della Scuola di Medicina presso l’Università di Rochester (Usa) “per 25 travagli indotti intorno alla 39ma settimana ci sono almeno due tagli cesarei che potrebbero essere evitati in attesa del parto naturale”. Ad incrementare, inoltre, il rischio di contrarre infezioni, ledere organi e causare emorragie o coaguli di sangue. La ricerca è stata condotta su 38mila donne presso tredici ospedali della contea di New York, Finger Lakes. I dati si riferivano ai parti condotti a termine dal gennaio 2004 fino al marzo 2008. Dalla lista sono state escluse le donne che avevano già partorito mediante taglio cesareo e quelle che avevano avuto una rottura delle membrane. I risultati della ricerca hanno indotto i ricercatori a suggerire che sarebbe opportuno attendere il parto naturale e ricorrere a interventi di riserva solo quando i rischi per mamma e bambino superano i benefici.
Fonte: La Stampa.it

Sempre un articolo pubblicato nella sezione Benessere de “la Stampa.it”, ha reso nota un’altra ricerca, questa volta condotta in Olanda, che rivela come il travaglio indotto non riduca peraltro i rischi d’infezione nel nascituro. Secondo un team di ricercatori olandesi, coordinati dal dottor David van der Ham della Maastricht University Medical Center, Obstetrics & Gynecology, GROW School for Oncology and Developmental Biology, di Maastricht (Paesi Bassi), non vi è alcuna differenza nel rischio di infezione nel neonato, problemi respiratori o nei tassi riguardo i tagli cesarei.

Affinché un parto sia “veramente naturale”, è necessario che non si ricorra a farmaci o ad interventi strumentali, sin dal travaglio. Ecco cosa significa Partorire naturalmente: leggi la pagina.

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