“Le nostre bisnonne lo hanno sempre saputo: se il buon Dio avesse voluto che i divezzi mangiassero carne avrebbe fatto loro crescere i denti”. 

Franco Berrino

Franco Berrino, ne Il cibo dell’uomo, usa questo antico detto per sfatare il luogo comune secondo il quale i bambini, dopo lo svezzamento, debbano mangiare omogeneizzati o liofilizzati di carne con lo scopo, stando a decenni di “insegnamenti” pediatrici, di prevenire l’anemia e la carenza di ferro.

Questa però non sarebbe una legge assoluta. A dirlo proprio il dott. Franco Berrino, direttore del Dipartimento di Medicina Predittiva e per la Prevenzione della Fondazione Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Milano. Come spiega nel suo libro, Il cibo dell’uomo (di cui ci siamo già occupati in altri due articoli: leggi articolo 1 e articolo 2), se i bambini nascono in condizioni “normali”, se non sono quindi prematuri e con scarsissime riserve di ferro nei muscoli e nel fegato, “non hanno bisogno di una dieta carnea allo svezzamento”.



Secondo il dott. Berrino “i neonati e i divezzi hanno ben altre risorse di quelle che credono i pediatri e il loro intestino è capace di assorbire molto più ferro dal latte e dalle pappe di verdure e cereali”.

 

Il messaggio lanciato nel libro è che, sebbene la carne sia un ottimo alimento, è anche vero che l’aumento smisurato del consumo della stessa, in particolare di carni rosse, “è uno dei fattori che ha contribuito a far aumentare l’incidenza di molte malattie frequenti nelle popolazioni occidentali, come l’arteriosclerosi, l’ipertensione, il cancro all’intestino”.

Via libera dunque a cereali, verdure, legumi e, come fonte di grassi, olio d’oliva. Questo l’ammonimento più volte espresso dal dott. Berrino nel suo libro, un interessante studio sull’alimentazione e sulle abitudini alimentari, volto da un lato a sfatare alcuni luoghi comuni fortemente radicati, dall’altro a suggerire le buone abitudini per una nutrizione quanto più sana, basata sulla dieta mediterranea che, come ha dimostrato uno studio epidemiologico iniziato negli anni ’50 in sette paesi del mondo, “si associa a bassi livelli di colesteloro nel sangue e rappresenta un fattore di protezione dall’angina pectoris e dall’infarto”.

Per approfondimenti, leggi la sezione sull’alimentazione di Tuttosteopatia.it