Considerato pioniere dell’osteopatia in Italia, Eddy Deforest – divenuto osteopata nel 1980 all’I.W.G.Sutherland di Parigi – è stato direttore dell’Istituto Romano di Medicina Osteopatica.
Tante le cariche ricoperte in trent’anni di carriera: è stato fondatore e primo presidente del R.O.I. nel 1989; direttore della prima scuola italiana di osteopatia, l’I.I.O. di Milano; co-fondatore e direttore pedagogico dell’E.O.P. Roma fino al 2011 e membro d’onore del R.O.F. (Francia) e A.B.O. (Belgio).

Qual è la sua posizione sugli ultimi emendamenti al DDL n.1324, riguardanti la laurea magistrale a ciclo unico in osteopatia, il suo riconoscimento come professione sanitaria?
È sicuramente importante per la “dignità ” della nostra professione avere delle leggi giuste. Se ben pensati e personalizzati per l’osteopatia, gli ordinamenti e le regolamentazioni possono solamente far bene alla nostra professione, che da 30 anni è stata già fin troppo “torturata”.
L’osteopatia è, e resterà sempre una professione particolare nel mondo medicale e sanitario con la sua propria filosofia di pensiero teorico e pratico. Le regolamentazioni permettono anche di controllare i professionisti che praticano e che fanno parte delle associazioni professionali distinguendoli dai “falsi” osteopati, che sono un altro problema della nostra professione e che così saranno automaticamente eliminati. Per il momento qualsiasi persona può infatti chiamarsi “Osteopata”.
La laurea a ciclo unico è per me un problema a livello professionale. Questa laurea sarebbe calcata sui vari “Tempo Pieno” che esistano già nella nostra bella Italia. Molti hanno preso spunti dalle direttive dell’OMS, e non credo che queste direttive siano le migliori (anche se rappresentano sempre un programma minimo). Sono diverse le istituzioni che formano già studenti a tempo pieno e qualche collega già formato sotto questa forma lavora o collabora con me. Sono bravi, l’unico problema, a mio avviso, è che sono troppo “medicalizzati” e che spesso presentano problemi dal punto di vista della manualità. Non dobbiamo mai perdere di vista che la nostra professione è una professione a grande impatto “manuale” e dobbiamo conservare questa qualità ereditata dai nostri maestri. Penso particolarmente a una persona che ha contato molto nella mia formazione e che rimane uno dei miei maestri, Francis Peyralade, un uomo che era venuto dal niente, con mani molto esperte.

Cosa dice invece dell’equipollenza dei titoli?
A questo proposito sembra che questo capitolo del DDL sia il più complicato. Credo che, come hanno fatto in Belgio, bisogna includere tutti i professionisti formati fino a prima della pubblicazione della legge, che siano fisioterapisti o scienze motorie o altri. Per quanto riguarda poi le nuove leve, si seguirà la legge sulla formazione. Dal 1983, abbiamo sempre fatto una grande confusione e una grande “guerra” tra gli osteopati, fisioterapisti, medici e scienze motorie, allorché il primo grado di studio era solamente una condizione per poter affrontare la formazione in osteopatia. Il grosso problema è sempre stato la critica verso i laureati in scienze motorie che anni fa si chiamavano diplomati ISEF, eppure, vi posso dire che uno dei miei migliori studenti, adesso bravo professionista osteopata, è un ex diplomato ISEF.
Da sapere che in Belgio – che rimane sempre una delle prime realtà di riferimento per l’osteopatia in Europa – all’università di Bruxelles la facoltà di osteopatia a “tempo pieno” si trova nella facoltà di scienze motorie.
In ogni caso, spero che questo DDL ci lasci sempre la nostra indipendenza, la nostra libertà intellettuale e professionale, e che non si renda necessario, come in Francia, avere una prescrizione medicale per curare una donna in ambito ginecologico o per normalizzare una colonna cervicale in thrust dirette. Se fosse così, cambierò sicuramente professione.

Osteopatia tra le professioni sanitarie: cosa implicherà concretamente secondo lei?
E’ una domanda complicata, perché la risposta dipenderà dal DDL. Se l’osteopatia passerà come una professione sanitaria di “Prima Intenzione” dove il paziente viene da noi senza passare tramite il suo medico di fiducia, e se l’osteopata avrà il diritto almeno di chiedere certi esami indispensabili per la programmazione del trattamento, sarà perfetto. Ma se saremo obbligati a passare per la prescrizione medica come per certe prestazioni (esempio citato sopra della Francia), allora perderemo l’essenza della vera osteopatia, e rischieremo di diventare una super fisioterapia o qualcosa di questo genere.



Che idea si è fatto del lavoro che sta facendo il neo eletto direttivo ROI?
Il cambiamento spesso può fare bene e forse avevamo vissuto troppo tempo col vecchio direttivo. A un certo momento il cambiamento è quasi obbligatorio e credo che il nuovo direttivo abbia preso le sue cariche con grande energia e volontà di lavorare. Sicuramente siamo in un momento storico per l’osteopatia in Europa, in Italia e le istituzioni professionali devono gestire questo momento in modo concreto e oggettivo, ma non di fretta, rischiando di fare gli errori che si ripercuoterebbero sulle future generazioni di colleghi osteopati.

In qualità di fondatore e tessera n.1 del ROI, che idea si è fatto della strada che stiamo percorrendo?
Credo che la strada purtroppo è sempre troppo lunga e tortuosa e forse più in Italia che in certi altri paesi europei, dove abbiamo un’amministrazione complicata e vecchia. Al livello formativo, purtroppo ho l’impressione che si siano creati tanti insegnamenti, certi ottimi e certi denaturati, e credo che a questo punto dovremo forse tornare un po’ indietro e ripartire dalla nostra osteopatia di base, almeno negli insegnamenti generali di formazione.
Tanti osteopati e colleghi parlano attualmente delle “lingue diverse” e questo non fa bene alla buona osteopatia, che rischia di diventare troppo “medicalizzata”, perdendo la manualità di base che dovrebbe rimanere l’essenza Osteopatica. E’ importante una formazione intellettuale delle scienze mediche, ma è ancora più importante il lavoro manuale, l’educazione della mano in tutti i settori, strutturale, cranio sacrale e viscerale.

Cosa si sente di dire ai giovani che decidono di intraprendere la strada dell’Osteopatia?
Questa è sempre una domanda complicata e la risposta dipende da tanti fattori (formazione, amministrazione, deontologia). La prima cosa è di scegliere e di fare una formazione seria con una scuola seria. In Italia, purtroppo o per fortuna, in 30 anni, sono nate decine e decine di scuole e strutture formative. Molte di queste sono ottime! In seguito, quando questi giovani saranno nel mondo professionale, consiglio a loro di lavorare con passione, coerenza e soprattutto onestà conoscendo i propri limiti.
Un altro punto: rispettare una certa deontologia, rispettare i colleghi ed anche i collaboratori, senza i quali avremmo difficoltà a sviluppare tanti progetti. Infine ricordarsi di elogiare i maestri che hanno fatto grande “l’osteopatia”.

Le altre interviste