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OMT in ambito SM

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Studi relativi alle applicazioni dell’OMT in ambito SM

Nel 2002 è stato pubblicato uno studio pilota Effetti dell’OMT e dell’esercizio con sforzo massimale concentrico ed eccentrico riguardanti donne affette da SM (Yates et al. 2002).
L’obiettivo dello studio era di valutare gli effetti dell’OMT combinato a esercizi con sforzo massimale (MEE) su forza, coordinazione, resistenza e fatica, su pazienti donne con SM. 8 soggetti con SM hanno partecipato ad uno studio di 12 settimane, che includeva interventi di OMT e MEE due volte la settimana. É stata misurata la forza (sforzo massimale e impulso) con una macchina da esercizi IsoPump, durante le tre fasi del protocollo d’esercizio. In tutti i soggetti si sono riscontrati cambiamenti significativi, tranne in una misura di forza e nella camminata di 25 passi (P<.05). Si sono verificati, inoltre, effetti benefici nelle attività di vita quotidiana prodotti da tale intervento.

Studi relativi alle applicazioni dell’OMT al sistema emo-veno-linfatico-liquorale

Nel 1996 sono stati revisionati studi, attraverso i quali le professioni osteopatiche e mediche hanno riconosciuto un’importanza del sistema linfatico nel mantenimento della salute (Degenhardt et al. 1996). Molte tecniche manipolative osteopatiche hanno lo scopo di trattare i pazienti con congestione dei tessuti e sono basate su nuove ricerche, le quali dimostrano che il flusso linfatico è influenzato dalla compressione mio-fasciale (Degenhardt et al. 1996). Lo stesso trattamento manipolativo del diaframma è stato comprovato quando le pressioni differenziali create dal diaframma toracico hanno dato la prova di influenzare il flusso linfatico (Bockenhauer 2002).

In aggiunta, ricerche correnti dimostrano che una contrattilità mediata anatomicamente e intrinseca al sistema linfatico gioca un ruolo significativo nella propulsione della linfa, supportando l’uso di tecniche manipolative osteopatiche, dirette a influenzare il sistema nervoso autonomo per migliorare la circolazione linfatica (Degenhard et al. 1996).

Uno studio del 2004 (Salamon et al. 2004) ha valutato come i movimenti dei fluidi nei tessuti nervosi e vascolari possano essere stimolati da OMT, dimostrando che la manipolazione causi un considerevole aumento nella concentrazione di Ossido Nitrico nel sangue e nei vasi. Questi dati, combinati con la schiacciante quantità di ricerca sugli effetti benefici dell’Ossido Nitrico, forniscono un dinamico contesto teoretico per spiegare gli effetti dell’ OMT.

Tuttavia, Il discorso sembrerebbe estendersi ad una più ampia applicazione. Uno studio del 2005 ha valutato gli effetti emodinamici dell’OMT immediatamente dopo l’intervento di impianto di bypass coronarico arterioso (CABG) (O-Yurvati et al. 2005). Subito dopo CABG (< o = 2h) un OMT è stato eseguito sui soggetti per alleviare la disfunzione anatomica della cassa toracica, causata dalla sternotomia mediana e per migliorare la funzione respiratoria. Questo trattamento è stato eseguito mentre i soggetti erano completamente anestetizzati. Un aumento dell’impedenza toracica (P < o = .02), nei soggetti trattati con OMT, ha dimostrato che il volume centrale di sangue è stato ridotto dopo OMT, determinando una miglior circolazione periferica, un aumento della SVO2 (P < or = .005) nonché dell’indice cardiaco (P < o = .01).
Un confronto tra le misurazioni effettuate dopo l’intervento sui soggetti trattati OMT e i soggetti di controllo ha rilevato differenze statisticamente significative per la SVO2 (P < or = .005) e l’indice cardiaco (P < or = .02) tra i due gruppi.
Gli autori concludono che l’OMT ha immediati effetti positivi sull’emodinamica dopo CABG (con paziente sedato e farmacologicamente paralizzato).

Il trattamento manipolativo risulta anche un metodo efficace con i pazienti affetti da vertigine cervicale causata da instabilità cervical. L’efficacia sembrerebbe essere correlata al miglioramento del flusso sanguigno nell’arteria cervicale e al ripristino della stabilità cervicale. Nel 2003, uno studio realizzato con ecodoppler transcraniale e radiografia di pazienti con vertigine cervicale, trattati tramite manipolazione in posizione supina, ha osservato i mutamenti prima e dopo il trattamento manipolativo (Zhong Bao 2003). Prima del trattamento, la velocità del flusso principale sanguigno nell’arteria vertebrale era 48.6+/-3.1 cm/s, molto maggiore di quella del gruppo normale (P<0.05); le medie dello spostamento orizzontale di C3-C4 e C4-C5 erano rispettivamente 3.18+/-0.42mm e 3.46+/-0.26mm. Dopo il trattamento, le modificazioni nell’eco doppler transcraniale dell’arteria cervicale vertebrale e nella radiografia della colonna cervicale risultavano diminuite in modo significativo (P<0.05).

Il discorso non sembrerebbe però limitarsi al flusso sanguigno soltanto. Dal punto di vista osteopatico, interessanti evidenze sembrano correlare manipolazione cranio-sacrale e lavoro fluidico con risposte adattative globali mediate da diversi fattori.

Uno studio pilota su una tecnica osteopatica craniale (CV4), pubblicato nel 2005, ha valutato come la manipolazione osteopatica craniale possa cambiare il periodo di latenza e l’attività del sistema nervoso autonomo (SNA), a livello muscolare, in individui in salute (Cutler et al. 2005). Durante le prove della tecnica CV4, il cambiamento dell’attività del SNA, prima e dopo lo stillpoint, era differente se confrontato con la tecnica CV4 simulata e le prove di controllo (P>0,8). Il periodo di latenza durante la prova della tecnica CV4 era diminuita, quando veniva confrontato con la tecnica CV4 simulata o solamente con le prove di controllo (P < 0,05). Inoltre, l’attività del SNA, quando la tecnica CV4 corrispondeva con la sensazione palpatoria dell’operatore di rilascio delle tensioni tissutali, era diminuita rispetto a quella che c’era precedentemente ad esso (P < 0,01).

La tecnica CV4 è una procedura manuale e non invasiva che influisce sull’impulso ritmico craniale (IRC): un fenomeno riconosciuto in ambito osteopatico che risulta essere concomitante con le oscillazioni Traube-Hering (TH) a bassa frequenza nella velocità di flusso sanguigno. Nelson nel 2006 esamina la tecnica CV4 e i suoi effetti sulla velocità di flusso del sangue (Nelson et al. 2006). Soggetti umani sono stati accoppiati con 28 medici (osteopati) per l’applicazione della tecnica CV4, mentre veniva registrata la durata dell’applicazione. Sono stati ottenuti tracciati registrati del tratto flussometrico, 20 dei quali utilizzabili per un confronto tra i gruppi. Segmenti di queste registrazioni (controllo, trattamento, risposta) sono stati analizzati mediante trasformata di Fourier. Lo spettro della trasformata di Fourier è stato sottratto da uno all’altro e confrontato con il risultato della differenza dello spettro. La media della durata della procedura della tecnica CV4 era di 4.43 +/- 2.22 minuti; la media registrata della frequenza della forma d’onda TH visibile nella flussometria era di 7.10 +/- 2.07 cpm. Dopo l’applicazione del CV4, l’ampiezza della frequenza dell’onda TH 0,10 Hz è aumentata [misure relative all’area: differenza controllo-trattamento (0.08010 unità) confrontata con differenza controllo-risposta (-0.03358 unità); P = .011]. Questo studio dimostra che la tecnica CV4 ha un effetto sulla componente in frequenza del TH della velocità del flusso sanguigno.

Tuttavia, anche il flusso linfatico sembrerebbe esercitare un’influenza sullo stesso IRC. Nel 2007 è stato pubblicato l’articolo Drenaggio linfatico del nevrasse nella Sindrome da Fatica Cronica (SFC): un modello ipotetico per l’Impulso Ritmico Cranico (Perrin 2007). In questo studio si evidenzia, oltre all’importanza delle tecniche manuali raccomandate per i pazienti affetti da SFC, la primarietà del drenaggio linfatico del nevrasse.

Altre tecniche manuali (ad es. la pompa toracica ed addominale) e la tecnica di linfodrenaggio di Vodder hanno lo scopo di accelerare un circolo linfatico lento. Sebbene la presenza di valvole prevenga un circolo retrogrado della linfa, sembra che questa protezione biomeccanica non sia presente nei pazienti affetti da SFC.

In questi pazienti, infatti, il reflusso linfatico conseguente alla disfunzione valvolare provocherebbe la formazione di varici palpabili dei vasi linfatici, occasionalmente visibili sulla superficie cutanea. Tuttavia, ogni trattamento che stimoli il flusso linfatico presenta il rischio di indurre un flusso linfatico retrogrado. Ecco perché la modalità di trattamento indicato propone una stimolazione diretta del drenaggio linfatico, utilizzando effleurage mirato verso le vene succlavie e contro il reflusso. Tant’è vero che il miglioramento dei principali sintomi della SFC coincide con il miglioramento del drenaggio linfatico centrale, accompagnato da un IRC più vitale ed equilibrato. Infine, questi segni supportano l’ipotesi che il flusso neurolinfatico descritto in questo articolo sia identico all’IRC.

Studi sul Rapporto tra rilascio delle endorfine e qualità di vita in pazienti affetti da SM

Lo scorso anno è stato pubblicato sulla rivista Neurology un lavoro sull’utilità della meditazione (Grossman et al. 2010) per persone con SM. Tale studio, per numero di persone coinvolte, rappresenta il più grande condotto fino ad oggi in questo ambito. Il tipo di meditazione impiegata è definito mindfulness: una tecnica basata sul miglioramento della consapevolezza dei propri pensieri, azioni e motivazioni.
Lo studio è stato condotto da un gruppo di ricercatori svizzeri su 150 persone con SM recidivante-remittente e SM secondariamente progressiva. Esso fornisce dati importanti sul valore di un trattamento alternativo, come quello della meditazione, per alcuni sintomi della malattia. Sottolinea, allo stesso tempo, l’importanza di dover svolgere studi specifici nell’ottica di migliorare la qualità di vita delle persone con SM. La depressione e la fatica sono, infatti, sintomi frequenti nella SM e possono influire negativamente sulla qualità di vita, come pure sulla sensazione di benessere.
Con queste premesse, i ricercatori hanno valutato se la meditazione potesse migliorare il benessere nelle persone con SM. In particolare, 76 persone hanno partecipato settimanalmente a 2 ore e mezza di sessioni di gruppo di meditazione, per otto settimane complessive, oltre ad una sessione di una giornata intera e ad esercizi da svolgere a casa. Il gruppo di controllo di 74 persone ha invece continuato ad eseguire regolarmente  i trattamenti farmacologici.
Dalla valutazione dei dati ottenuti dallo studio su qualità di vita, depressione e fatica, dopo otto settimane di trattamento, il gruppo sperimentale mostrava miglioramenti significativamente maggiori rispetto al gruppo controllo. Tali miglioramenti sono rimasti significativi nei sei mesi di monitoraggio, anche se in misura minore rispetto a quanto emerso dalla valutazione al termine del trattamento.

Studi sugli Effetti cannabimimetici dell’OMT

Di fatto, i meccanismi terapeutici comunemente correlati al sistema di rilascio delle endorfine sembrano migliorare la qualità di vita dei pazienti con SM, tanto che quest’anno l’associazione Italiana Sclerosi Multipla ha redatto un manuale di revisione della letteratura disponibile DOSSIER: CANNABIS e CANNABINOIDI NELLA SCLEROSI MULTIPLA.

I cannabinoidi endogeni attivano i recettori cannabinoidi nel cervello e provocano effetti di alterazione dell’umore. Sembrerebbe che effetti simili (per es. ansiolitici, analgesici, sedativi) possano essere provocati dall’OMT. In ambito osteopatico, nel 2005, sono stati valutati gli effetti cannabimimetici dell’OMT (McPartland et al. 2005) in 31 soggetti sani. Il controllo randomizzato in doppio cieco ha misurato i cambiamenti in questi soggetti, col punteggio in 67-item della Drug Reaction Scale (DRS). Sono state utilizzate anche la cromatografia [chemical ionization gas chromotography] e la spectrometria di massa, per determinare i livelli di cambiamento nella linfa delle anandamide (AEA), del 2-arachidonoylglycerol (2-AG), e delle oleylethanolamide (OEA). Nei soggetti che hanno ricevuto un OMT, il punteggio DRS nel post-trattamento è cresciuto significativamente per i parametri cannabimimetici quali benessere, euforia, appettito, leggerezza di mente, stordimento. Contemporaneamente, è diminuito in modo significativo il punteggio dei parametri di inibizione, sobrietà e disagio. I livelli medi di AEA (8.01 pmol/mL) nel post-trattamento sono aumentati del 168%, rispetto ai livelli del pre-trattamento (2.99 pmol/mL); i livelli medi OEA sono diminuiti del 27%, mentre non si è verificato alcun cambiamento nei livelli di 2-AG. Infine, nei soggetti del gruppo sham OMT si sono registrati risultati misti secondo la DRS, cioè sia con aumenti che con diminuzioni dei punteggi per i parametri cannabimimetici e non cannabimimetici, ma pur sempre senza nessun cambiamento nei livelli della linfa. Quando i cambiamenti nella linfa AEA sono stati correlati con i cambiamenti di punteggio della DRS, l’aumento dell’AEA si è correlato meglio con un aumento dei parametri di freddo e razionalità e con una diminuzione dei parametri di malessere paranoia e caldo.
Gli autori suggeriscono, quindi, che i meccanismi terapeutici comunemente correlati al sistema di rilascio delle endorfine, come avviene nell’OMT, possano in realtà essere ottenuti per mezzo del sistema endocannabinoide.

 

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