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Osteopatia

Michael Patterson

di

Dove è nato?
M.P.
Sono nato nell’Iowa nel 1942 e cresciuto in un piccolo paesino dove mio padre è stato osteopata per 51 anni. Ho frequentato l’università a Grinnel nell’Iowa, ho proseguito con un dottorato di ricerca in Neurofisiologia e in Learning and Motivation (Apprendimento e Motivazione) e ho concluso i miei studi nel 1964. In un primo momento mi sarebbe piaciuto seguire le orme di mio padre, diventando osteopata, ma quando ho terminato il mio dottorato volevo approfondire la mia ricerca e svolgere un periodo di tirocinio. Quindi mi trasferì alla University of California, ad Irvine, e lì trascorsi 2 anni. Stavo per diventare docente dell’università ma Sted Denslow, che era il mio tutor, mi chiese di insegnare per l’università di Kirksville.
Così nel 1971 ero a Kirksville. Qui iniziai ad imparare più cose sull’osteopatia seguendo dei corsi con Paul Kimberly, un grande insegnante.
Io invece insegnavo neurofisiologia agli studenti di osteopatia, e in quegli anni risale il mio incontro con Irvin Korr. Il suo ufficio era proprio accanto al mio e insieme si parlava molto.
Poi nel 1977 mi sono trasferito all’Ohio University College of Osteopathic Medicine, dove per 16 anni sono stato Direttore di ricerca. Avevo studenti dottorandi e due grandi laboratori dove lavoravamo sulla funzionalità della spina dorsale e sul Learning and Motivation.
Poi un mio amico divenne preside della Facoltà di Medicina osteopatica alla Kansas City University of Medicine e mi chiese di collaborare alla ristrutturazione del corso di studi, quindi mi spostai con la mia famiglia a Kansas City e mi fermai lì per 7 anni.
Successivamente lui divenne preside di facoltà di Medicina Osteopatica alla Nova Southeastern University in Florida. Lo seguii per altri 8 anni.
Sono andato in pensione lo scorso giugno in modo da poter trascorre più tempo con i miei nipoti, e poter girare il mondo per promuovere la ricerca osteopatica.
Ecco, vi ho raccontato il mio viaggio.
Posso dire che sono molto contento di essermi ritrovato in un contesto osteopatico piuttosto che in uno strettamente universitario, perché l’osteopatia mi ha dato una prospettiva completamente diversa su quello che faccio e su come funzionano le cose. L’osteopatia è stata quindi una meravigliosa opportunità.
Penso che aver seguito i corsi con Paul Kimberly e aver imparato la palpazione e la manipolazione mi abbia  fornito una valida prospettiva che altrimenti non avrei avuto.
L’osteopatia ti dà una visione che il solo parlarne non ti potrà mai dare.

Quindi in pratica lei non ha mai lavorato come osteopata?
M.P.
Non ho mai praticato l’osteopatia, non posso farlo legalmente perché non ho una laurea in osteopatia e neanche una licenza. La posso insegnare ma non la posso praticare. Mio padre era un osteopata, quindi ho provato su me stesso sin da bambino le manipolazioni osteopatiche

Chi sono stati i suoi mentori osteopatici?
M.P.
Ovviamente mio padre, ma anche mia madre che era un’infermiera. Mio padre mi trattava, quindi conoscevo l’osteopatia ma non la sua filosofia.
Quando arrivai a Kirksville fu Irvin Korr il mio mentore principale. Lui era ciò che la maggior parte di noi considerano il maggiore filosofo della medicina osteopatica del XX secolo. Non era osteopata, era un PHD, ma aveva una conoscenza molto approfondita dell’osteopatia, sia per il suo lavoro di ricerca che per la collaborazione con Sted Denslow. Anche lui ebbe una profonda influenza su di me.
Paul Kimberly mi fece seguire i suoi corsi, e assistendo alle sue lezioni riuscì a comprendere la palpazione e la manipolazione.
Sted Denslow fu invece il mio riferimento per gli aspetti scientifici dell’osteopatia. Certamente io conoscevo la teoria e la logica della sperimentazione, ma Sted arrivò a dei livelli altissimi con il suo lavoro.
Quindi, confermerei queste tre persone che ho nominato, Korr, Kimberly e Denslow. Sono queste le persone che considero miei maestri.
A questi devo aggiungere anche Viola Frymann. Il suo lavoro è molto efficace nel diffondere l’osteopatia in giro per il mondo e la ringrazio per avermi coinvolto in questo progetto.

Ci può raccontare l’episodio più simpatico che è avvenuto durante la sua carriera? Un aneddoto divertente?
M.P.
Penso che la cosa più ridicola che io ricordi sia accaduta a Kirksville.
Paul Kimberly, che ho nominato come uno dei miei mentori, aveva un leggero disturbo di portamento. Camminava in modo strano, come se trascinasse il piede.
Avevamo assunto un nuovo assistente. Era un PHD e non conosceva assolutamente l’osteopatia. Gli interessava capire cosa fosse l’osteopatia quindi gli dissi di venire ad ascoltare alcune delle lezioni di Paul, e lui lo fece.
Il mio ufficio era vicino al suo. Un giorno passando davanti al suo ufficio, lo vidi che cercava di imitare la camminata di Paul Kimberly. Mi fermai e gli chiesi “ma cosa stai facendo?” E lui rispose: “beh, ho ascoltato le lezioni di Kimberly e lui parlava dell’importanza della postura e dell’andatura. Ho pensato che lui aveva capito la postura giusta e stavo cercando di imitarlo”.
Sapete, ad oggi non ho ancora capito se fosse sincero o se, sentendomi arrivare, lo avesse fatto per prendermi in giro.



Qual è secondo lei il futuro dell’osteopatia?
M.P.
Innanzitutto, mentre osservo la situazione dell’osteopatia nel mondo, sono molto compiaciuto nel vederne gli sviluppi. Si sta diffondendo, e sta letteralmente diventando un movimento a livello mondiale. Prevedo un futuro molto positivo.
In America il quadro è un po’ complesso, nel senso che molti osteopati americani non praticano l’osteopatia. Possono esercitare solo come MD – dottori in medicina.
D’altro canto esiste in America una crescente accettazione e diffusione di ciò che chiamiamo pratiche mediche “alternative”. E sicuramente la manipolazione ed il trattamento osteopatico vengono classificati come trattamenti “alternativi”.
La filosofia osteopatica trova consensi, ma il sistema sanitario americano rende sempre più difficile la sua pratica a causa del suo sistema di pagamento.
Dal punto di vista internazionale, penso si debbano affrontare due grandi problemi: il primo è che le organizzazioni osteopatiche dei diversi Paesi devono lavorare insieme, formare un gruppo unificato per poter spingere politicamente la causa del riconoscimento. La gente accetta l’osteopatia, ma ci sono molti ostacoli nella comunità medica, e quindi anche nella comunità politica che, di conseguenza, fa molta fatica ad accettarla.
Accanto ai processi che avvengono in ogni Paese in cui l’osteopatia si sta affermando, è necessario che ci sia la formazione di un’organizzazione unificata che possa agire politicamente. E’ una cosa che non si può ignorare.
L’altra cosa è assicurarsi che i vari movimenti nei diversi Paesi si stiano attenendo e stiano veramente seguendo i principi base dell’osteopatia, cioè che non stiano enfatizzando un aspetto per escluderne altri.
Ci sono state delle sconfitte, per esempio in Francia, con le recenti legislazioni. Questo è stato un risultato diretto del fatto che le scuole francesi non avevano formato un’organizzazione unita che potesse agire politicamente.

Qual è la sua idea dell’osteopatia in Italia?
M.P.
Penso che si stia sviluppando bene. Vedo che il numero di scuole sta crescendo, anche se questo l’ho potuto solamente osservare negli ultimi due anni e mezzo.
Il pericolo, ancora una volta, è che il movimento rimanga diviso invece di diventare un tutt’uno. E inoltre è opportuno sviluppare standard e registri necessari per assicurare una professionalità sia alle organizzazioni pubbliche che politiche, in modo che le persone che si fanno chiamare osteopati siano veramente qualificate per essere chiamate così.
Se questo non succede, il futuro non è roseo.
Se questo succede, il futuro è senza limiti.

Cosa possiamo fare per migliorare la ricerca nel mondo?
M.P.
La ricerca è un lavoro difficile.
Penso che negli Stati Uniti e nelle aree a vocazione osteopatica stia aumentando e stia anche migliorando. Ci sono studi eccellenti.
Fuori dagli Stati Uniti, ciò che vedo in alcune scuole, è che agli studenti viene richiesto di fare una tesi. Di solito, questi sono progetti piccoli, per limitazioni sia di tempo che finanziarie. Penso che, in generale, sia opportuno divulgare una filosofia sulla comprensione di cosa sia la ricerca e a cosa serva.
In altre parole, dobbiamo dimostrare che stiamo avendo gli effetti e dei risultati.

Grazie mille.
M.P.
Prego.

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