Il motivo di queste due righe nasce da un profondo credo in quella dimensione imprescindibile cui un sistema si trova al fine della sua vita.
Mi riferisco al dominio della funzione, precursore di una fisiologia sistemica che, solo nel rispetto di quella necessaria efficacia, può esser mantenuta. A fianco di tutto ciò però, vi è anche la netta amarezza di vivere, o meglio convivere, in un ambito che poco intravede il suo perchè in una dimensione ed ottica comune, ma che al contrario trova nei diversi e pluralistici sensi di identificazione il suo sviluppo. Mi riferisco all’Osteopatia, logicamente, ambito di cura ancora nel baratro delle più svariate strumentalizzazioni politiche, sociali e individuali. Tradurre in un atto identificatorio sociale, una sublimazione in termini tecnici, in una professione utile ed indispensabile al “cives”, necessita di un credo comune che prescinda da bisogni troppo personalistici, ma che al contrario si fondi su principi di possibile utilità per chi vive intorno a noi, il prossimo.

L’Osteopatia in Italia, allo stato attuale delle cose, risulta posizionata in quel limbo di attività autogestite, al limite tra l’illegale ed il civile, dove solo l’etica reciproca, il senso di maturità, i bisogni reciproci e tutte le soggettività delle situazione ne danno le norme di gestione. In tale situazione il concetto di anarchia trova tanti parallelismi, tutti appannaggio di un caos il cui fine è solo la (auto)-distruzione.

E’ necessario un cambiamento culturale profondo, dove una comune identità di fondo unisca l’insieme di individui profesionalmente preparati a mettere a disposizione le conoscenze ad essa relativa (conoscenze precise, norme uniche, modelli operativi, metodologie di azione e ricerca, obiettivi riconosciuti); in altre parole quello che manca è un PENSARE ALLO STESSO MODO, IL SENSO CONDIVISO DELLE COSE.



Al momento attuale solo la medicina convenzionale (chi scrive è “fieramente” medico, ma proprio per questo altrettanto promotore della causa osteopatica) trova nella cultura il suo referente alla cura delle persone, ma tale diritto è stato conquistato “sul campo” in un lungo processo di professionalizzazione, ricerca e divulgazione che ha visto il suo punto di forza in un condiviso riconoscimento di intenti individuali, basati, inizialmente, sul bisogno di portare l’aiuto al prossimo.

I cambiamenti culturali, tecnologici in seno al sempre  più attuale ambito globalizzante, diventano il momento propizio per tale cambiamento, spronandoci e portandoci sempre di più ad una revisione della situazione, dove solo un’ identificazione di gruppo (in presupposti caratterizzanti precisi), potrà portare ad una nuova identità sociale professionale.

Nella calda speranza che l’unica osteopatia possa entrare a pieni voti e diritto, come mertita, nella squadra della Sanità, porgo a tutti un carissimo saluto.