Conoscevo il lotus birth, come operatore nel campo delle medicine complementari, ma solo un mese prima della nascita della nostra terza figlia Elisa, insieme a mia moglie, già precesarizzata due volte, abbiamo approfondito l’argomento e deciso di richiederlo come modalità di nascita.

Il lotus birth è la procedura di nascita in cui il cordone ombelicale non viene reciso e il neonato resta collegato alla sua placenta. Pochi giorni dopo la nascita (dai 2 ai 10, ma di media 3/4) il cordone si separa in modo naturale dall’ombelico del bambino. Il contatto prolungato con la placenta permette al bambino di ricevere tutta la quantità del preziosissimo sangue placentare che è presente alla nascita e che la natura ha previsto per la costituzione del sistema immunitario. E’ un tempo importante per stabilizzare il sistema respiratorio autonomo e gli altri organi (estratto dal sito ufficiale www.lotusbirth.it).

Elisa era candidata a nascere attraverso parto cesareo programmato per il 12 gennaio 2011, nell’ospedale di La Spezia. La poca naturalità della “programmazione necessaria di un parto”, ha rafforzato ancora di più la scelta per il lotus birth, forse proprio nel tentativo di smorzarne le conseguenze.

Sono stato presente in sala operatoria col compito di gestire la placenta, dal momento che in tale struttura non esiste personale preparato e riferito a tale operazione. Al termine del parto, dopo il secondamento manuale della placenta, mi ha particolarmente colpito la valutazione della neonatologa in merito alla pulsazione del cordone: lo ha tenuto pinzato fra le dita e dopo circa tre minuti da quando la placenta è stata rimossa dall’utero ha detto: “non c’è più pulsazione…”

La placenta pulsa anche dopo la nascita

Le sue parole mi hanno richiamato alla mente l’eco di una cultura medica moderna che non ritiene necessario lasciare il cordone attaccato al neonato una volta che ha smesso di pulsare: in alcuni casi la recisione avviene ancor prima della cessazione della pulsazione, in particolare in caso di  raccolta delle cellule staminali.

Una volta che con mamma e figlia sono arrivato in camera, in un clima più riservato e famigliare rispetto a quello della sala operatoria, ho deciso di valutare anch’io se nella placenta non ci fosse più pulsazione, ma non limitandomi alla pulsazione arteriosa, bensì a quello che noi osteopati chiamiamo IRC (impulso ritmico cranico). L’IRC è una “pulsazione” che si impara a misurare manualmente durante la formazione osteopatica; si tratta di un ritmo più lento di quello respiratorio  arterioso, la cui frequenza  si aggira intorno alle 8-12 oscillazioni al minuto, e che è possibile percepire in tutti i tessuti del corpo vivente.

Dopo aver valutato l’IRC sulla bambina, ho provato a sentire se fosse presente anche nella placenta, oramai non più pulsante dal punto di vista arterioso. Con mio grosso stupore, l’impulso ritmico cranico era presente, ed inoltre era identico sia nella frequenza che nella ampiezza e forza di espressione a quello della bambina, come se il corpo della neonata e la placenta fossero un tutt’uno che partecipa allo stesso “respiro”. Ho continuato a valutare l’IRC nei giorni seguenti. Il secondo giorno la placenta aveva un ritmo diminuito, con minore ampiezza e forza rispetto a quello della bambina, e tale diminuzione è continuata fino a che il quarto giorno non ho più avvertito la presenza di IRC nella placenta. E’ stato come se la vitalità lentamente lasciasse quella parte dell’ “unità neonata-placenta” che per 9 mesi l’aveva interfacciata alla madre, le aveva dato nutrimento, per trasferirsi, lentamente e completamente, in quei 4 giorni, tutta verso  il corpo della bambina.

A quel punto mi sono chiesto se valesse la pena continuare a tenere cordone e placenta attaccati a Elisa, visto il disagio di piccole trazioni a livello ombelicale che si generavano durante l’allattamento, i cambi di pannolino e la gestione generale della piccola, oppure non fosse meglio recidere il cordone, oramai mummificato, alla base dell’ombelico. Di fatto, ho pensato che, se per la neonatologa il cordone si poteva recidere 3 minuti dopo il parto, e per l’osteopata 4 giorni dopo, ci possa essere qualche parametro che ancora non siamo in grado di valutare e che un giorno ci dimostrerà che gli scambi tra neonato e placenta avvengono fino al completo naturale distacco, pertanto, insieme a mia moglie, ho deciso di aspettare che madre natura facesse il suo lavoro indisturbata e che il cordone di Elisa si staccasse naturalmente.

Perché è utile il lotus birth

II lotus birth rappresenta una buona scelta di modalità di nascita, utile anche a compensare quelle situazioni, come la nostra, dove si è costretti ad anticipare la venuta al mondo del nascituro.

I bambini nati prematuri

Tale modalità deve essere presa fortemente in considerazione in caso di neonati prematuri e/o forti prematuri, proprio in virtù del più graduale distacco del neonato dalla placenta, fonte del suo nutrimento, di una completa emotrasfusione placentare, di un passaggio meno traumatico ad un’attività cardiopolmonare e gastroenterica autonoma. Il lotus birth può prolungare l’unione del neonato con il tessuto anatomico placentare, che probabilmente più di altri ha trasmesso l’”impulso vitale” per l’intero periodo gestazionale.

L’“unità feto-placenta” prima e, in seguito, l’”unità neonato-placenta” possono rappresentare il trait d’union per la sincronizzazione e l’armonizzazione di tutte quelle frequenze necessarie per sostenere la vita e un buono stato di salute: frequenza cardiaca, IRC ed altre ancora meno facili da percepire.

Quella sopra descritta è stata la mia esperienza, durante la quale, in qualità di operatore e padre, potrei  non aver avuto una prospettiva del tutto neutra, pertanto invito altri osteopati a valutare cosa accade durante il lotus birth, per creare una serie di casi osservati e poter trarre elementi utili per andare avanti nella comprensione di questo sconfinato evento che è la vita.