Continuiamo il nostro racconto di storie di osteopati italiani all’estero. Storie di successo, ma anche di ostacoli, come quella raccontataci da Claudio Colombi, osteopata milanese trapiantato in Danimarca da più di vent’anni dove ha ricoperto anche cariche importanti, affrontando con grande coraggio e determinazione condizioni avverse in un Paese che a inizi 2000 contava solo 5 osteopati, provenienti da Inghilterra e Australia, e dove l’osteopatia era pressoché sconosciuta.

“Nel 1998 ero al 5° anno della scuola di osteopatia in Italia e una volta in Danimarca – ci racconta Colombi raggiunto al telefono – ho fatto richiesta di permesso di soggiorno al Ministero degli esteri in qualità di massofisioterapista, che era il titolo in mio possesso, ma non riconosciuto in quel Paese”.

Un inizio tutt’altro che semplice per Claudio, che qualche anno dopo avrebbe addirittura ricoperto la carica di presidente della prima associazione di categoria danese, Danske Osteopater, che poi sarebbe diventata membro del FORE (ora EFFO), ma solo dopo un periodo di adattamento in un Paese molto chiuso e con molti pregiudizi verso un italiano con una professione misconosciuta, che non gli avrebbe permesso in alcun modo di ottenere il permesso di soggiorno necessario per vivere e lavorare in Danimarca, pur con la sua brillante formazione ed esperienza, e malgrado esercitasse già in Italia nella sua avviatissima clinica milanese in collaborazione con osteopati, chiropratici, medici, fisioterapisti, dentisti e ginecologi.

“Ho lottato parecchio – racconta l’ex presidente dell’associazione Danske Osteopater – inizialmente mi hanno addirittura suggerito un inquadramento come pizzaiolo per poter ottenere subito un permesso di soggiorno quinquennale, ma dopo ho potuto ottenere un permesso di 6 mesi dimostrando di avere abbastanza denaro per autosostentarmi al quale è seguito, per i successivi 6 mesi, un altro permesso semestrale concessomi dopo l’avvio del mio primo studio. All’inizio è stato abbastanza sconfortante al netto delle imposte molto alte in Danimarca e di un inizio da libero professionista in uno studio che dividevo con un medico biopata che mi ha aiutato molto, guadagnavo in 6 mesi ciò che in Italia guadagnavo in un giorno!”.



Ma non ha demorso, e con tenacia e caparbietà ha continuato a perseguire la sua strada lavorando solo come osteopata libero professionista, lasciando definitivamente la clinica in Italia nel 2001.

È rientrato in qualità di presidente nell’associazione degli osteopati danese – che a quel tempo contava solo 15 membri – solo qualche anno dopo, nel 2008, lasciando la carica ben 10 anni più tardi, nel 2018, anno in cui l’Osteopatia è stata riconosciuta professione sanitaria in Danimarca. Nel 2010 dopo diversi meeting ha portato l’associazione a far parte del FORE (ora EFFO) seguendo passo passo tutto l’iter politico che si è concluso con il riconoscimento della professione osteopatica. “Abbiamo organizzato in Danimarca il primo meeting osteopatico del FORE e contattato il portavoce dell’allora ministero della salute che ha preso a cuore la nostra causa dando il via a tutto il processo che ha portato al riconoscimento dell’osteopatia il primo luglio 2018”.

Una bella storia quella di Claudio, che ci dice molto in termini di passione per questa professione, malgrado le difficoltà che inevitabilmente si incontrano in una terra straniera ma che aiutano anche ad apprezzare maggiormente le qualità del proprio Paese di origine. Alcune di queste, secondo il suo punto di vista, sono da ricercare nella qualità della formazione italiana in ambito osteopatico, pur con le innegabili difficoltà di tipo organizzativo che caratterizzano in generale molti aspetti pratici del nostro Paese e che, in ambito osteopatico, si traducono per esempio nel ritardo dei decreti attuativi alla legge Lorenzin, attesi da oltre due anni.