L’allenatore, il preparatore atletico, lo staff medico e gli atleti lo sanno bene: la spalla e il gomito del pallanuotista avrebbero bisogno di più attenzioni. In molti casi necessiterebbero di periodiche manipolazioni.

Per quanto questo sia un dato di fatto, sono ancora pochissimi i club che in Italia si dotano di un osteopata nel proprio staff. Su 16 squadra in serie A1, appena 5 o 6 possiedono un osteopata nel proprio staff.

L’osteopatia sta ancora alla pallanuoto come la psicologia allo sport. Il paragone non è casuale, vista l’esperienza del collega genovese Simone Rigalza,  osteopata, preparatore atletico di pallanuoto, allenatore di nuoto ma anche counselor sportivo. Dal suo largo punto di vista, Rigalza ci racconta di un rapporto tra pallanuoto, osteopatia ed altre discipline che in Italia fatica ancora ad istituzionalizzarsi, vuoi per gli scarsi fondi a disposizione di questo sport, vuoi perché gli osteopati, come categoria, non hanno fatto ancora abbastanza per creare i presupposti per una “reciproca adozione”.

«Faccio un discorso generale. Ho sempre creduto – ci spiega Rigalza – che per poter mettere l’osteopatia al servizio dello sport di eccellenza, non si possa parlare solamente di osteopatia. Dal momento che questa professione abbraccia tante discipline mediche, è doveroso affrontarle, per mantenere un’identità professionale, per conoscere i limiti della nostra arte, per non invadere il raggio di azione delle altre figure professionali. Se non vogliamo apparire degli stregoni, ci corre l’obbligo di studiare altre materie e creare quelle sinergie che, quando si lavora con atleti di alto livello, diventano irrinunciabili. Per questo l’osteopatia è sempre stata la mia base sicura, ma ho cercato i suoi principi in altre professioni».

In effetti ha iniziato la sua carriera con una laurea in scienze motorie. Poi, come molti laureati nelle stesse discipline, si è avvicinato all’osteopatia. Il suo percorso è però andato anche oltre, fino ad abbracciare la psicologia. Ci racconta?

«Mi sono presto reso conto che allenare non mi bastava. L’avvicinamento all’osteopatia è stata quasi una necessità interiore. Dopo aver accompagnato per anni la società ligure di pallnanuoto di serie A1 R.N. Bogliasco, grazie agli studi in osteopatia, ho avuto l’opportunità di poter fare contemporaneamente da preparatore atletico e da osteopata per la squadra montenegrina di pallanuoto Primorac Kotor, con cui abbiamo affrontato due finali coppa dei campioni consecutive e conseguito anche una vittoria. Ho seguito anche la nazionale di pallanuoto del Montenegro, medaglia di bronzo alla World League 2013, medaglia d’argento europea Eindhoven 2012, quarto posto Olimpiadi Londra 2012, medaglia d’argento ai mondiali di  Barcellona 2013. Da qui, è stato tutto un divenire. Dal 2012 al 2016 ho fatto parte dello staff medico di riferimento degli atleti in promozione olimpica, seguendo anche judoka, staffettisti, giocatori di pallamano. L’aver a che fare con paesi serbi – particolarmente radicati nell’espressione corporea e quindi molto esigenti – e il confronto quotidiano con i diversi equipe mediche mi hanno aiutato ad ampliare la visione. Così, quando ho dovuto abbandonare la seconda olimpiade per esigenze affettive e per riprendere le redini del mio studio di Genova, ho deciso di intraprendere anche un percorso di studi di counseling. Questo mi ha insegnato a porre le domande giuste ai miei atleti e ai miei pazienti. Ho ancora oggi la fortuna di collaborare con quattro psicologi: sono stati loro a farmi aprire gli occhi sul fatto che, se è vero che la struttura governa la funzione, il corpo è sempre al servizio del cervello e del cuore. Il fisico meglio allenato e meglio manipolato potrà sempre essere paralizzato dal cervello».

Torniamo sulla pallanuoto, sport particolarmente duro agli occhi di chi non lo pratica. Cosa significa per un osteopata, seguire un pallanuotista?



«Nuoto e pallanuoto richiedono un impegno psicofisico molto particolare. L’atleta d’acqua di élite, tuttavia, ha una muscolatura molto più morbida di quella di chi pratica altre discipline sportive. La manipolazione è dunque osteopaticamente più semplice, così come è più semplice da rappresentare la ricerca delle disfunzioni. Quello che rende più difficile il compito è la necessità di dare all’atleta l’immediata percezione biologica di una reazione del corpo al trattamento. Serve per questo un’indagine differenziale già in partenza, che renda chiaro subito quali sono le parti in disfunzione e come è più opportuno manipolarle in quel momento. In linea generale, il movimento chiuso e reiterato che compiono nuotatori e pallanuotisti porta a patologie cingolo-scapolo-omerali che sono la causa di contratture semplici e tendiniti. Spalle e gomiti possono anche influire sull’assetto del bacino e a livello lombare».

Ricorda di casi particolarmente delicati che, in assenza di un supporto osteopatico, difficilmente si sarebbero risolti?

«Uno su tutti. Eravamo a Londra, Olimpiadi 2012.  Ricordo che la nazionale femminile di pallamano avrebbe dovuto giocare a giorni alterni per 15 giorni. Una situazione di per sé estenuante. Una giovanissima atleta subì un trauma a seguito di uno scontro con un’attaccante. Diagnosi: stress cervicale. La distorsione provocò una microfrattura ad una trasversa vertebrale, procurandole segni clinici molto importanti. Nonostante la ragazza non fosse in grado di reggersi in piedi, per la vibrazione procurata dalla microfrattura, i medici dicevano che non vi era assolutamente nulla di cui preoccuparsi e che avrebbe potuto giocare con tranquillità. Non sentendosi pronta per affrontare il campo, la ragazza aveva le valigie in mano, quando proposi di trattenerla per altre 48 ore.  Proposi un trattamento non invasivo con tutte le precauzioni del caso. L’atleta recuperò la piena efficienza e fu in grado di contribuire alla vittoria in semifinale e ad un risultato eccezionale in finale. Il caso fece parecchio rumore».

 

 

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Cosa significa invece, essere un osteopata a servizio della pallanuoto, a livello professionale e di sacrifici personali?

Essere nello staff di una nazionale o seguire gli atleti olimpici, vuol dire passare almeno tre mesi all’anno lontano da casa e seguire i ragazzi durante tutti gli allenamenti. Nei mesi restanti, tra visite, allenamenti e incontri con gli altri professionisti, devi mettere in conto di trascorrere almeno cinque giorni al mese lontano dal resto del mondo».    

Qual è oggi la sua giornata tipo?

«Da due anni a questa parte durante la mattina seguo i pazienti non atletici, mentre nel pomeriggio mi dedico ai coaching motivazionali in società sportive di nuoto e pallanuoto o ai trattamenti osteopatici sugli atleti. Collaboro anche con uno studio dentistico e da 10 anni insegno in tre scuole di osteopatia – a Torino, Bari e Roma – a cui sono legato profondamente. Al momento sono proprio gli alunni a darmi la più grande fonte di ispirazione.  Mi insegnano a percepire meglio quello che faccio, a livello emozionale».

A proposito di studenti e giovani promesse dell’osteopatia: qualche consiglio generale?

«Li leggerete nel libro scritto con il socio e amico Massimo Garavaglia, che pubblicheremo il prossimo anno. Nei nostri obiettivi c’è quello di dare alle stampe un testo utile, pratico e innovativo, che possa dare agli operatori una diversa direzione. Un libro rivolto a tutti, operatori e non, che possa dare nuove motivazioni ai colleghi e nuovi strumenti di comprensione a chi ancora cerca in internet “che cosa è l’osteopatia”».