Vent’anni fa sarebbe stata vista come una stravaganza. Oggi, quella di avere un osteopata nello staff, è una consolidata abitudine di tutte le squadre di ciclismo professionistico che vogliono mettere i propri atleti nelle condizioni di esprimere al meglio il proprio potenziale.  

In occasione del Giro d’Italia abbiamo voluto intervistare Gianluca Caretta, collega di Parma con una lunga esperienza in ambito sportivo, tra cui cinque olimpiadi e 17 Tour de France. Lo intervistiamo mentre sta “correndo” il suo 10° Giro, a fianco di Vincenzo Nibali e della squadra della Bahrain-Merida, che segue con costanza dal 2017.

All’osteopata delle maglie gialle Lance Armstrong e Fabian Cancellara, che ha attirato l’attenzione dei giornalisti della Gazzetta dello Sport abbiamo chiesto come sia nato questo sodalizio professionale con i grandi ciclisti.

«Sono approdato al ciclismo gradualmente, dopo molti anni al fianco di altri sportivi. Collaboravo con la nazionale di atletica prima ancora di terminare gli studi, poi ho avuto occasione di prestare servizio per squadre di pallavolo professionistiche, fino ad accompagnare la nazionale di volley alle olimpiadi. La prima esperienza con il ciclismo è stata quella con Lance Armstrong, che ho seguito per sette lunghi tour. Il resto è storia. Allora eravamo dei pionieri, mentre oggi nel ciclismo ogni squadra che si rispetti ha uno, se non due osteopati nel suo team. Da tre anni lavoro con Nibali e la sua squadra. Una grande esperienza. C’è un collega osteopata con me, Alessandro Amadio, ma il lavoro è di equipe: medico, massaggiatore e allenatore sono un tutt’uno con gli atleti».

Per raggiungere queste vette, ha dovuto affrontare percorsi di studio particolari?
«La preparazione è quella classica, il resto è invece esperienza sul campo. Una cosa è certa: lavorare a lungo a contatto con lo sport, ti cambia la visione dell’osteopatia. Qui siamo in trincea: gli interventi sono spesso di pronto soccorso e sempre improntati ad accelerare le reazioni del corpo perché i tempi di ripresa devono essere ridotti al minimo. In studio, i ritmi sono completamente diversi. Per nostra fortuna abbiamo a che fare con corpi sempre allenati al meglio e di conseguenza con sistemi neurovegetativi e di vascolarizzazione che rispondono agli stimoli come orologi».



E dal punto di vista privato e professionale, quali rinunce comportano questi impegni sportivi?
«Quando c’è il Giro d’Italia per tre settimane non esiste altro. E poi, tempo un mese, arriva il Tour de France: altre quattro settimane di annullamento dalla vita privata e dalla routine professionale. Quando è in corso un evento così totalizzante devi rinunciare a tutto e chiudere il tuo studio. Puoi limitarti alle consulenze telefoniche e ad indirizzare i pazienti più “urgenti” verso altri colleghi fidati. Dal canto mio ho una fortuna: mio figlio ha scelto di seguire le mie orme e a breve finirà i suoi studi. Sarà lui a tenere in vita lo studio in mia assenza o chissà, ci daremo il cambio sul campo».

 

Può l’osteopatia fare la differenza, per un atleta, tra una gara vinta ed una persa per un pelo?
«Non ho la presunzione di far vincere i ragazzi, ma quella di alleggerirli. Se la tecnologia permette di tarare precisamente l’assetto di un telaio, dei registri, della sella e dei pedali, solo la mano umana può rimettere in equilibrio l’assetto del ciclista, lavorando, se non ci sono particolari esigenze legate ad un trauma, sull’allineamento della colonna vertebrale, sull’equilibrio del diaframma e del sistema cranio-sacrale e sulle componenti vascolari. Noi, come equipe, prepariamo il terreno, ma sta all’atleta seminare e raccogliere come meglio può».

 

Quali sono le casistiche di intervento più frequenti nell’ambito del ciclismo?
«Sicuramente quelle legate alle frequenti cadute, che richiedono un intervento immediato. Ricordo quando nel 2003 Lance Armstrong cadde rovinosamente a pochi chilometri dal traguardo. Un trauma importante. Ero a casa, in studio. Mi chiamarono e nel giro di poche ore, dopo aver attraversato la Francia, ero lì a soccorrerlo: non avevamo un minuto di tempo da perdere. L’indomani, nonostante i punti di sutura e vari acciacchi, Armostrong avrebbe corso. E vinto.
In questi giorni, al Giro, è invece capitato che di dover sollevare i ragazzi dagli effetti del maltempo. Correre sotto la pioggia, con il vento laterale mentre affronti continui saliscendi per 200 Km al giorno, determina vincoli muscolo – fasciali che possono pregiudicare il funzionamento di tutto l’apparato locomotore. Uno degli atleti della squadra, ha dovuto correre due tappe con 39° di febbre. E questo significa, al di là delle condizioni meteorologiche e dello sforzo compiuto, intervenire su una importante retrazione dei tessuti».

 

Oltre agli interventi post gara e più in generale post trauma, lavorate anche in termini di prevenzione?
«Naturalmente si ed è la gran parte del lavoro. La routine quotidiana riguarda il mantenimento dell’equilibrio, tramite interventi di verifica e di attivazione craniosacrale. Lavoriamo sulle capacità del corpo di ascoltarsi e rigenerarsi. Poi a volte ci occupiamo, in supporto al massaggiatore, delle componenti vascolari, intervenendo sulla zona addominale, sulla messa in equilibrio dei diaframmi e residui di tensione che, per forza di cose, uno sport così intenso provoca».

 

Pensa che chiunque si affacci al ciclismo, a prescindere dal fatto che sia un amatore o un professionista, debba ricorrere all’osteopatia in termini preventivi?
«Partiamo dal presupposto che si è atleti a prescindere dalle finalità professionistiche o amatoriali e che ciò che conta è l’impegno, rapportato alle proprie capacità. Chiunque pratichi sport con una certa assiduità è dunque un atleta. E un atleta in equilibrio è un atleta in grado di esprimersi al meglio. A prescindere dai risultati raggiunti, l’organismo viene sotto stress l’organismo per arrivare al condizionamento. Non è un caso che gli amatori spesso siano più attenti dei campioni al proprio stato di salute e frequentino spesso uno studio osteopatico, traendone beneficio. Dunque la risposta è si. Senza alcun dubbio».