Riceviamo e diffondiamo la rettifica all’articolo precedentemente pubblicato dalla redazione di Tuttosteopatia in data 12 giugno 2018, a firma di A. Causi, Segretario AISO; G. Barlafante, Presidente AISO; F. Guolo, Vicepresidente AISO; G. Lo Voi,Tesoriere e consigliere AISO; A. Bergna, Responsabile Ricerca e consigliere AISO; A.R. Cavallaro, Responsabile Didattica e consigliere AISO.

Introduzione

La legge 3 del 2018 dal titolo “Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute” individua l’Osteopatia come professione sanitaria. Sono attinenti alla professione di Osteopata gli articoli 6 e 7 della suddetta legge.

L’articolo 7 recita: nell’ambito delle professioni sanitarie sono individuate le professioni dell’osteopata e del chiropratico, per l’istituzione delle quali si applica la procedura di cui all’articolo 5, comma 2, della legge 1º febbraio 2006, n. 43, come sostituito dall’articolo 6 della presente legge. Con accordo stipulato in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabiliti l’ambito di attività e le funzioni caratterizzanti le professioni dell’osteopata e del chiropratico, i criteri di valutazione dell’esperienza professionale nonché i criteri per il riconoscimento dei titoli equipollenti. Con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, acquisito il parere del Consiglio universitario nazionale e del Consiglio superiore di sanità, sono definiti l’ordinamento didattico della formazione universitaria in osteopatia e in chiropratica nonché gli eventuali percorsi formativi integrativi.

L’articolo 6 (Modifica alla legge 1° febbraio 2006, n. 43 – Individuazione e istituzione di nuove professioni sanitarie) disciplina la procedura relativa all’individuazione e all’istituzione di nuove professioni sanitarie.

L’intervento legislativo è attuato sostituendo l’articolo 5 della legge 43/2006 la cui rubrica viene modificata in “Individuazione e istituzione di nuove professioni in ambito sanitario” (precedentemente ci si riferiva soltanto a “Individuazione”). L’individuazione di nuove professioni sanitarie, che non trovano rispondenza in professioni già riconosciute e il cui esercizio deve essere riconosciuto su tutto il territorio nazionale, avviene in sede di recepimento di direttive comunitarie ovvero per iniziativa dello Stato o delle regioni, in considerazione dei fabbisogni connessi agli obiettivi di salute previsti nel Piano sanitario nazionale o nei Piani sanitari regionali.
Innovando rispetto a quanto previsto, l’individuazione potrà avvenire anche su iniziativa delle associazioni professionali rappresentative di coloro che intendono ottenere tale riconoscimento che, a tal fine, dovranno inviare istanza motivata al Ministero della salute, il quale, entro i successivi sei mesi, dovrà pronunciarsi. In caso di valutazione positiva, il Ministero dovrà attivare la procedura finalizzata all’istituzione della nuova professione sanitaria. L’istituzione di nuove professioni sanitarie è effettuata, nel rispetto dei princìpi fondamentali stabiliti dalla legge 43/2006 e previo parere tecnico-scientifico del Consiglio superiore di sanità,mediante uno o più accordi, sanciti in sede di Conferenza Stato-regioni ai sensi dell’art. 4 del D Lgs. 281/1997, e recepiti con decreti del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri.

Gli accordi istitutivi di nuove professioni sanitarie dovranno individuare:

  • il titolo professionale;
  • l’ambito di attività di ciascuna professione;
  • i criteri di valutazione dell’esperienza professionale;
  • i criteri per il riconoscimento dei titoli equipollenti.

L’ordinamento didattico della formazione universitaria delle nuove professioni sanitarie così individuate è definito con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, acquisito il parere del Consiglio universitario nazionale e del Consiglio superiore di sanità. La definizione delle funzioni caratterizzanti le nuove professioni avviene evitando parcellizzazioni e sovrapposizioni con le professioni già riconosciute o con le specializzazioni delle stesse (comma 4).

Alla luce di quanto descritto, si pone la questione circa l’iter di riconoscimento e l’equipollenza dei titoli esteri. Lo scritto che segue deriva da una revisione delle leggi vigenti in materia, in attesa dei decreti attuativi che avranno come punto di riferimento le procedure in vigore.



Procedure di riconoscimento dei titoli

Con la ratifica della Convenzione di Lisbona, avvenuta tramite Legge 11 luglio 2002, n. 148, è stato introdotto in Italia il concetto di riconoscimento finalizzato del titolo estero. È fondamentale conoscere lo scopo e la finalità per cui è richiesto un riconoscimento nel nostro sistema prima di iniziare qualsiasi procedura valutativa, tenuto conto delle differenti procedure esistenti nel nostro ordinamento e dei differenti enti preposti a tali adempimenti.

Per procedure di riconoscimento finalizzato

Consultare il sito CIMEA: http://www.cimea.it/it/servizi/procedure-diriconoscimento-dei-titoli/procedure-di-riconoscimento-dei-titoli-overview.aspx

Riconoscimento accademico per il riconoscimento del corrispondente titolo italiano

Questa procedura ha l’obiettivo di rilasciare un titolo finale italiano, cioè avente valore legale nel nostro sistema. Storicamente tale procedura è identificabile con il termine di “equipollenza”, anche se la Legge 148/2002 non utilizza più tale termine. Inoltre, l’art. 9 della Legge 148/2002 ha abrogato la precedente procedura di equipollenza (art 9: Sono abrogati il secondo ed il terzo comma dell’articolo 170 e l’articolo 332 del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore,di cui al regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592).

La valutazione di un titolo estero per questo scopo può produrre differenti risultati:

  1. il rilascio del corrispondente titolo italiano senza la richiesta di sostenere ulteriori esami o di presentare elaborati finali (riconoscimento diretto); tale procedura è identificabile con il termine di “riconoscimento diretto” o di“equipollenza diretta” (casi molto rari);
  2. la richiesta di sostenere ulteriori esami / ottenere ulteriori crediti e/o presentare elaborati finali per colmare la parte del curriculum degli studi non coperta dal titolo estero, al fine del rilascio del corrispondente titolo italiano; tale procedura è identificabile col termine di “abbreviazione di corso”. Al fine della richiesta di rilascio del corrispondente titolo italiano, il titolo estero deve rispettare tutte le seguenti caratteristiche:
    (i) essere titolo ufficiale rispettivamente di primo o secondo ciclo del sistema estero di riferimento, rilasciato da istituzione ufficiale del sistema estero;
    (ii) consentire nel sistema estero di riferimento l’ingresso a medesimi corsi di secondo o terzo ciclo;
    (iii) presentare i medesimi elementi di natura e disciplinari del titolo italiano corrispondente (numero di crediti, durata,natura accademica e/o elementi di ricerca, ecc.);
    (iv) deve esistere un titolo italiano con cui si possa comparare il titolo estero, sia per tipologia che per ambito disciplinare.

Questi requisiti valgono per tutti gli studenti con titolo estero, indipendentemente dalla loro nazionalità, sia per le qualifiche rilasciati nei Paesi dell’Unione Europea (UE) che in quelli non-UE. Le informazioni sulle procedure di riconoscimento delle qualifiche estere finalizzate al rilascio di titoli finali italiani sono fornite direttamente dalle istituzioni italiane di istruzione superiore.

Tenendo conto di tale procedura si può dedurre che la legge 3 del 2018 quando parla di criteri per il riconoscimento dei titoli equipollenti non si riferisce ai titoli esteri. Con la scrittura dei futuri decreti attuativi sarà più chiara ed esplicita questa indicazione.

Riconoscimento professionale

In Italia le professioni si dividono in due categorie:

  1. professioni “non-regolamentate” dalla legge
  2. professioni “regolamentate” dalla legge

Professioni non-regolamentate: sono quelle che si possono esercitare senza necessità di possedere uno specifico titolo di studio. Si tratta di professioni aperte indifferentemente sia ai possessori di titoli di studio italiani che esteri. Chi intende svolgere in Italia una professione non-regolamentata ed è in possesso di un titolo estero non ha necessità di ottenerne il riconoscimento legale o formale per potersi inserire nel mercato del lavoro italiano.

Professioni regolamentate: sono quelle il cui esercizio è regolato dalla legislazione nazionale. La legge stabilisce sia il titolo di studio indispensabile che i successivi requisiti di addestramento alla pratica della professione (per es. tirocinio e/o esame di Stato per l’abilitazione professionale) e le norme di deontologia professionale. L’esercizio di tali professioni è protetto dalla legge ed è consentito esclusivamente ai soggetti abilitati secondo la normativa specifica per la tipologia di professione regolamentata.

Coloro che sono in possesso di un titolo professionale estero devono ottenerne il riconoscimento dalla competente autorità italiana allo scopo di poter esercitare legalmente in Italia la professione corrispondente.

Per “titolo professionale” si intende quello che nel Paese che lo ha rilasciato dà diritto ad esercitare una determinata professione regolamentata.

Riconoscimento del titolo estero professionale sanitario

Tutte le professioni sanitarie, con le sole eccezioni di medico, veterinario, farmacista, odontoiatra, infermiere e ostetrica, devono ottenere il riconoscimento di un titolo professionale sanitario conseguito in un Paese dell’Unione Europea, Area SEE (Norvegia, Islanda, Liechtenstein) o Svizzera ai fini dell’esercizio in Italia dell’attività professionale di quella professione sanitaria.

Il riconoscimento viene rilasciato dal Ministero della Salute (vedi http://www.salute.gov.it). Il professionista sanitario osteopata che lavori all’estero e desideri lavorare in Italia dovrà, al momento dell’approvazione dei decreti attuativi della Legge 3/2018, presentare domanda al Ministero della Salute.

Il percorso formativo effettuato, che dovrà soddisfare tutti i requisiti formativi così come saranno stabiliti in Italia (equiparazione della formazione straniera a quella del paese ospitante), sarà valutato dall’apposito organismo del Ministero determinando eventuali lacune formative da compensare con un periodo di adattamento e/o con una prova attitudinale, superate le quali si otterrà il “permesso di esercizio”. Le eventuali lacune formative potranno essere colmate seguendo gli insegnamenti dei corsi di laurea in osteopatia. E questo vorrebbe dire che tutti gli insegnamenti dei corsi di laurea devono essere stati attivati e, quindi, la compensazione non potrà completarsi prima che il primo corso di laurea in osteopatia non sia stato ultimato (tre o cinque anni).

In questa circostanza il titolo italiano potrebbe permettere di lavorare anni prima dell’eventuale titolo estero.

Sede italiana di una Università estera

È possibile solo se il MIUR, il Ministero dell’Interno e il Ministero degli Affari Esteri abbiano autorizzato la filiazione. L’autorizzazione deve precedere l’inizio dei corsi e può essere data nel caso in cui in Italia vengano tenuti solo alcuni insegnamenti e, comunque, non quelli caratterizzanti che dovranno essere frequentate tutti obbligatoriamente all’estero.

Conclusioni

Alla luce della normativa attualmente in vigore che funge da riferimento per i decreti attuativi, si auspica, considerando anche precedenti esperienze di altre professioni sanitarie, la possibilità di un riconoscimento professionale, cioè del diritto ad esercitare la professione, per tutti coloro che abbiano seguito un percorso formativo in linea con le indicazioni internazionali (Benchmark OMS – Norma CEN). Lo stesso principio dovrebbe valere per tutti coloro che sono informazione fino alla data di attivazione di un corso universitario sul territorio italiano.

Referenze