Ricordiamo la lezione di Still nel difendere il ruolo della professione da ogni pericolosa scorciatoia.

Negli ultimi giorni si sono susseguiti numerosi interventi volti a restaurare l’opinione che l’Osteopatia non debba divenire professione sanitaria e, a scopo persuasivo, sono stati prospettati scenari alquanto scoraggianti atti solo a far leva sulla paura: il peggiore dei sentimenti per affrontare qualsiasi cambiamento. Ad esempio, si afferma che lo Stato non abbia i fondi per istituire un nuovo percorso universitario in osteopatia, mentre in termini contraddittori si paventa che l’osteopatia possa essere insegnata solo dalle università pubbliche. Inoltre, gli stessi autori negano la possibilità dell’istituzione di corsi privati, riconosciuti ai fini dell’esercizio della professione.

Ci chiediamo: in base a quale norma queste certezze? E con quale logica? Visto che si afferma che mancano le risorse, a maggior ragione i nuovi corsi potrebbero essere affidati ai privati. Peraltro, mi pare questa una tendenza alquanto diffusa. Ancor più contestabile appare la diceria che “l’osteopatia universitaria” potrebbe venire insegnata da non osteopati. Equivarrebbe a dire che un dentista insegnerebbe la dermatologia o un ingegnere il diritto. Se per assurdo capitasse questo, pensiamo che i cittadini si rivolgerebbero a uno pseudo osteopata così formato, oppure a un professionista con competenze di livello europeo?

Si afferma che l’osteopatia venga proposta nell’area riabilitativa come “nuova professione sanitaria convenzionale”. Ci risulta, al contrario, che l’osteopatia sia stata definita dalle ultime proposte come medicina non convenzionale e “tradizionale”, per nulla in area riabilitativa (cfr. OMS, CEN, ma anche DL Binetti ed emendamenti al DDL).

Ancora: da dove deriva la certezza che il DDL in tema di ridefinizione dei profili professionali sanitari non sia “adatto” all’integrazione di una nuova figura sanitaria? Ricordo che la nuova professione di chiropratico fu inserita addirittura in una legge finanziaria, approvata nel dicembre 2007. E gli emendamenti depositati che vengono inopinatamente descritti come impedimento alla formulazione di un testo di legge definitivo? In casi analoghi questi vengono discussi e composti in una proposta unica che tiene conto anche di tutti i Disegni di legge sul tema. Si chiama “democrazia”: succede così per ogni provvedimento. Perché questa regola non si applicherebbe al nostro caso?



Si ipotizza persino che l’osteopata, limitandosi a trattare la “disfunzione somatica” in realtà non eserciti attività convenzionale di diagnosi, prevenzione e cura. Salvo poi affermare contemporaneamente che noi lavoriamo negli ambiti sanitari perché rilanciamo il potenziale di autoguarigione. Non sappiamo se chi abbia elaborato entrambe queste frasi debba meditare maggiormente sugli esiti dei propri studi in osteopatia oppure sulle marchiane contraddizioni insite nel suo scritto. Noi sappiamo invece che, in Italia, leggere un referto, guardare una lastra o informarsi sulla salute del paziente rappresentino atti sanitari, avendo noi altresì contribuito a ribadire q.s. nei testi della norma CEN.
E siamo consapevoli che se non si può fare la diagnosi differenziale, rapportarsi con i medici e lavorare in squadra nell’ambito del sistema sanitario nazionale, non si può esercitare l’osteopatia di oggi. Questo è anche quanto insegniamo da 20 anni ai nostri studenti.

La riorganizzazione dei Sistemi sanitari invocata dall’OMS non esclude, come si lascia invece immaginare ad arte, l’inserimento dell’osteopatia tra le professioni sanitarie, anzi incentiva la collocazione di questa disciplina nella nuova categoria delle medicine tradizionali. Infatti, Il fatto che l’osteopatia non si possa identificare tra le attività esistenti, non vuol dire che essa non abbia una sua autonoma dignità, ovvero che non possa configurarsi in apposito e specifico ruolo sanitario.
Abbiamo altresì considerato come tendenziosa l’opinione per cui i soci ROI non avrebbero condiviso l’orientamento dell’Osteopatia in area sanitaria. Ci risulta che il nuovo Direttivo sia stato eletto dagli stessi soci con questo preciso mandato, dopo lo sdegno in merito alle promesse fallaci e alle pseudo-certificazioni coerenti all’inserimento dell’osteopatia tra le professioni auto-regolamentate, non sanitarie. Né possiamo dimenticare che tale discutibile disegno solo pochi mesi fa ha conseguito in più sedi risultati non edificanti. Per usare un eufemismo. Perché dunque riproporlo?

Ci è parso pure che allo scopo di evitare una formazione universitaria controllata, si sia arrivati ad invocare una Conferenza Stato-Regioni, un Decreto, o un’ordinanza del Ministero che disciplini l’osteopatia. Si dimentica, tuttavia, che in uno Stato di diritto nessun provvedimento di questa natura possa essere assunto unilateralmente da un Ministro o da un Organo amministrativo senza precisi riferimenti legislativi, approvati prima. Ci stupiamo come alcune consulenze, talmente onerose da indurre a chiedere a Istituti con prospettive distanti un obolo associativo, non abbiano chiarito questo aspetto basilare. O forse, non è funzionale ai reali obiettivi dei detrattori della funzione sanitaria dell’osteopatia la comprensione e la corretta divulgazione di questo concetto. Quale delle due ipotesi?

Dopo varie previsioni catastrofiche, compare puntuale la soluzione: “un libro dei loro sogni”, sintomatico e velleitario come da antica tradizione; il nuovo manuale dell’autoreferenzialità in cui tutto si conserva e nulla si modifica, lasciando inalterata l’illegalità di chi esercita l’osteopatia in quanto medico e fisioterapista o, in mancanza di meglio, massoterapista o simili. Se è questa è la novità delle ultime proposte, non vediamo alcuna differenza rispetto agli obiettivi di alcuni dei più autorevoli rappresentanti dell’osteopatia del passato. La differenza attuale è rappresentata dalla franchezza e dall’assenza di ambiguità. Potremo parlare, con un pizzico di sarcasmo, di “passo avanti”.

Senza alcuna ironia, però, chi ha responsabilità rappresentativa dovrebbe segnalare che non è possibile fare rientrare dalla finestra quanto è uscito dalla porta, solo in virtù di un rapido cambio di divisa per “cavalcare” un nuovo comitato, o sottocommissione che dir si voglia.Tutti hanno il diritto di opporsi, specie quando si rappresenta la minoranza. Ma, in questo caso specifico, occorrerebbe rispondere con coraggio e chiarezza agli stessi oppositori che il perseverare nell’apparente sogno naif di tenere l’osteopatia nella torre d’avorio, in realtà prefiguri conseguenze ben più drastiche rispetto all’insegnamento universitario della disciplina, ovvero una riforma della professione elaborata senza i diretti interessati, con conseguente rischio di abusivismo per gli osteopati che esercitano onestamente l’attività. E bisognerebbe anche avere il coraggio di dire che coloro che si sono prodigati per la professione auto-regolamentata (ex legge 4/2013), mentre dichiaravano pubblicamente di battersi per il ruolo sanitario dell’osteopatia, forse hanno la stessa credibilità di chi oggi ricorre al terrorismo psicologico non tanto per sostenere improbabili alternative ma, probabilmente, allo scopo di favorire il perdurare del vuoto normativo a sostegno di interessi speculativi o, addirittura, a vantaggio di altre categorie professionali. Ma, dopotutto, non si tratta pur sempre delle stesse persone?

Sappiamo certamente che il vuoto normativo è coesistito finora con una giurisprudenza favorevole. Peccato che la realtà non resti sempre inalterata e che le sentenze nei confronti degli osteopati potrebbero cambiare in caso di nuove norme sull’abuso professionale e sul riordino delle professioni sanitarie che, non a caso, sono entrambe al vaglio del legislatore. Chi potrà risarcirci nella malaugurata ipotesi?
Forse coloro che stanno cercando di ribaltare l’iniziativa comune dell’Associazione professionale degli Osteopati e del R.O.I. verso le Istituzioni? Temiamo proprio di no.

Luigi CIULLO – osteopata A.P.O.
Direttore Istituto Europeo per la Medicina Osteopatica
Membro Commissione UNI “Regolamentazione della professione di osteopata”