BLT – Bilanciamento delle tensioni legamentose

Il bilanciamento delle tensioni legamentose rientra tra le tecniche funzionali indirette dove, a differenza di altre manovre già utilizzate da tempo in campo osteopatico, in cui per correggere una disfunzione di mobilità si lavora ad esempio mediante l’attività contrattile dei muscoli o le fasce del corpo o la dura madre,  qui si sfrutta invece la capacità intrinseca che i legamenti dell’organismo posseggono, quando siano tutti ben bilanciati nello spazio, di riposizionare un pezzo osseo il più vicino possibile al suo fulcro fisiologico, dopo che un trauma di qualsiasi natura gli abbia fatto perdere il suo naturale allineamento, con conseguente perdita della mobilità.

Tali tecniche ci riportano alle origini dell’osteopatia americana, quando non erano eseguiti mai dei thrust articolari, i quali furono introdotti nella seconda metà del XX secolo da parte delle nuove generazioni di osteopati, che vollero immettere anche nell’osteopatia tecniche dirette accompagnate da scrosci articolari sulla moda della chiropratica, che riscuoteva un successo crescente, ed in cui i pazienti, dopo la manovra si sentivano come liberati e sollevati a livello dei loro blocchi scheletrici, mentre l’osteopatia era accusata di utilizzare tecniche troppo dolci, soft, ed essere perciò adatta soprattutto al trattamento di signorinette.
Fu dunque il businnes a far entrare nell’osteopatia la moda dei thrust, che avrebbe poi preso piede nell’insegnamento fino a diventare una tecnica basilare, come dimostra tutt’oggi la diffusione di osteopati che praticano esclusivamente tecniche dirette sulle vertebre ed articolazioni varie.
D’altronde i primi tre anni d’insegnamento delle nostre scuole osteopatiche italiane sono quasi completamente incentrate sull’uso di tali tecniche.
In Francia addirittura il governo ha subordinato il riconoscimento dell’osteopatia e delle scuole osteopatiche limitatamente ad un triennio dove siano insegnate solo tecniche manipolative dirette, disconoscendo, per mancanza di sufficienti argomentazioni scientifiche, tutto quello che riguarda l’uso di tecniche fasciali, cranio sacrali ecc., ignorando tutta la bibliografia delle università americane che da decenni hanno spiegato il meccanismo dazione e l’efficacia delle tecniche indirette e cranio sacrali (vedi tutti gli scritti e le esperienze di Viola Frymann).

Lo scopo dei legamenti del corpo è quello di dirigere e limitare i movimenti di una articolazione nello spazio.

Prendiamo come esempio le vertebre che costituiscono la colonna vertebrale.
Vediamo che ciascuna vertebra è completamente circondata da una “calza” di legamenti, che dall’avanti all’indietro sono rappresentati dal legamento longitudinale anteriore; legamenti intertrasversari; legamento longitudinale posteriore; legamento giallo; legamento interspinoso e legamento sovraspinoso.In condizioni di normalità ciascun pezzo osseo vertebrale è mantenuto nella sua posizione ideale, in rapporto all’articolarità della vertebra superiore ed inferiore, dalla tensione bilanciata dei legamenti che lo circondano, alcuni più tesi, altri più lassi, secondo l’angolo momentaneo di inclinazione della colonna in quell’istante, ma non ci saranno mai dei legamenti completamente detesi.
Si può affermare che nella norma, tale tensione bilanciata dei legamenti serva a mantenere il “fulcro fisiologico” di quella vertebre nello spazio.

Quando interviene un trauma, ad esempio un whiplash laterale, con una forza che da sinistra va verso destra, una o più vertebre, si dislocheranno nella direzione di tale forza traumatica, cioè verso destra. Ne consegue che alcuni legamenti saranno bruscamente allungati e subiranno uno stiramento, mentre altri andranno incontro ad un accorciamento senza subire secondari traumi evidenti.

Ciò comporterà una situazione in cui alcuni legamenti, stirati, avranno perso in parte la loro capacità elastico-tensionale, mentre altri la conserveranno pienamente.
Questi ultimi verranno perciò ad esercitare una capacità di trazione che, pur nella norma, sarà tuttavia superiore rispetto a quella dei legamenti lesionati.

Ne consegue che non ci sarà più una tensione legamentosa ben bilanciata come era in origine (Fig. 1, parte sinistra), ma il pezzo osseo sarà mantenuto in dislocamento verso destra (la direzione del trauma) dalla “ipertonia relativa” esercitata dai legamenti sani rispetto a quelli che sono stati stirati.
Verrà quindi a ricrearsi un nuovo stato di tensione legamentosa, non più bilanciata, in cui la vertebra non si trova più al centro di un fulcro fisiologico, ma patologico (Fig. 2, parte destra).
Ciò sarà alla base di una disfunzione osteopatica che va corretta.

Il dott. Sutherland racconta di aver appreso queste tecniche legamentose direttamente dal dott. Still, il quale prendeva direttamente la sua mano per consentirgli di percepire insieme a lui i movimenti correttivi legamentose nello spazio.

Ma come si crea in pratica una tensione legamentose bilanciata che inneschi una risposta terapeutica?
Ritornando alla vertebra precedente, dislocata a destra da un trauma improvviso e violento e mantenuta in quella posizione da legamenti “relativamente ipertonici”, è necessario afferrare il pezzo osseo con le proprie dita e spostarlo dolcemente in direzione della disfunzione, cioè verso destra.
Si tratta dunque di una tecnica funzionale indiretta (almeno all’inizio).
Quando la forza posta dalla mano dell’operatore viene a “combaciare” con la forza opposta dall’osso in lesione, ci sarà un momento preciso nello spazio in cui, riallungando un po’ i legamenti stirati ed un po’ detesi ed accorciando quelli sani e relativamente ipertonici, verrà a ricrearsi un nuovo punto di bilanciamento delle tensione legamentose, attorno a cui, secondo Rollin Becker, tutte le componenti della lesione articolare sono raccolte e mantenute, così che tutte le forze siano ugualmente ben bilanciate in tutte le direzioni.
In quel momento la mano percepirà come l’osso venga ad essere spostato spontaneamente.

A differenza delle tecniche fasciali, in cui la mano segue il movimento tessutale fino al punto più lontano di spostamento ed al raggiungimento dello still point, in questa tecnica proposta da Still e poi da Sutherland, lo spostamento nello spazio del pezzo osseo, nella direzione della disfunzione, si farà  di quel tanto che consenta di ottenere una nuova situazione bilanciata dei legamenti, in quanto solo in quel punto si innescherà il movimento spontaneo di tali elementi, che cominceranno a ricercare nello spazio una posizione per l’osso il più vicino possibile a quella originaria, prima dell’intervento del trauma.

La tecnica di bilanciamento legamentoso è assolutamente una tecnica passiva, in cui il paziente non usa la propria forza muscolare attiva.
Tuttavia, una volta raggiunto il punto di tensione bilanciata, qualora le resistenze del corpo siano tali da impedire ai legamenti di svolgere una azione correttiva, si può chiedere solo allora una cooperazione muscolare del paziente (che potrà ad esempio flettere una od entrambe le caviglie) e, se ciò non fosse sufficiente, si può chiedere pure una collaborazione respiratoria sottoforma di una apnea inspiratoria o espiratoria, a seconda dei casi.
Poiché in tali tecniche si cerca di aggravare la disfunzione, se ci troviamo di fronte ad esempio ad una lesione di flessione di una vertebra dorsale si chiederà allora alla persona di fare una apnea inspiratoria, che a livello del rachide dorsale corrisponde ad una flessione delle vertebre.
Alla fine della manovra correttiva legamentosa il paziente andrà riposizionato in posizione neutra passivamente da parte dell’operatore, in quanto fino al termine la forza attiva muscolare andrà evitata, impedendo ai muscoli di ricreare la condizione precedente di disfunzione.

La via neurologica afferente attraverso cui si attua il successivo bilanciamento delle tensioni legamentose è la via propriocettiva, in particolare la via propriocettiva incosciente che informa attraverso il midollo il cervelletto, attraverso i fasci spino cerebellare dorsale e ventrale.

 

Per capire il meccanismo nervoso efferente attraverso cui si attua il bilanciamento delle tensioni legamentose, recenti scoperte nel campo della ultramicroscopia elettronica, hanno mostrato una stretta connessione e commistione, a livello inserzionale osseo, di fibre legamentose e di miofibrille, con una risposta efferente comune.
Ciò ha permesso di ipotizzare come un accorciamento dei legamenti sani, associato ad un concomitante allungamento dei legamenti antagonisti, porti alla genesi di stimoli inibitori sui motoneuroni alfa, con modificazione della scarica gamma, che riduce l’ipertono dei legamenti sani e porta alla attivazione del riflesso di innervazione reciproca evidenziato da Scerington, per cui l’influsso nervoso attiva il legamento stirato ed inibisce quello antagonista.
Ciò tra l’altro consentirebbe una situazione di neutralità neurologica, permettendo al S.N.C. l’interruzione dell’invio di messaggi facilitati che automantengono l’articolazione in lesione, ed innescare un nuovo circuito di messaggi che permette alla articolazione stessa di correggersi rimuovendo lo strain legamentoso.

Per concludere ecco un esempio di una efficacissima tecnica che permette di rimuovere lo strain della membrana interossea tibio-peroneale, responsabile spesso, se non trattata, di cattivi risultati osteopatici nella cura di una distorsione di caviglia, nonché risolutrice, per via delle connessioni fasciali di tale membrana con il bacino, di iliaci posteriori recidivanti o non rispondenti a varie altre tecniche osteopatiche.

Tibia e fibula della gamba destra

Il paziente è seduto sul lettino da visita con le gambe pendenti fuori del tavolo.
L’osteopata siede di fronte a lui e si pone con la sedia lateralmente, all’interno dell’arto da trattare, che viene appoggiato sul suo ginocchio.
Con due o tre dita della mano prossimale si contatta la faccia posteriore della testa peroneale.
Con l’eminenza tener della mano distale si prende appoggio sulla faccia anteriore del malleolo esterno.
Spostandosi anche con il corpo, il terapeuta esegue una manovra di “spremitura” dall’indietro in avanti a livello della testa peroneale, dall’avanti all’indietro a livello del malleolo esterno.
Quando le fibre membranose sono ben bilanciate si avvertiranno sotto le mani dei movimenti correttivi di tutta la gamba, anche di una certa ampiezza tanto maggiore è lo strain lesionale membranoso, fino ad un momento in cui non si sentirà  più  nessun movimento nello spazio e l’unica sensazione percepita sarà  quella di allungamento-accorciameneto della gamba stessa.
Si rilascia la compressione in alto ed in  basso, si ripete poi una o due volte la tecnica di spremitura appena descritta e denominata in lingua inglese “squeezed lemon”, finché non si avrà  più  alcun tipo di correzione di strain residui.
Provare per credere.

Se alcuni colleghi hanno osservazioni o domande, o esperienze sul  B.L.T., da porre su questo argomento lo facciano sul forum del sito, sarò lieto di rispondervi e partecipare alle vostre discussioni.

Osteopata Redazione

Redazione

Redazione