Tra gli sport in cui l’osteopatia fatica ancora a tracciarsi una strada – vuoi per consuetudini consolidate, vuoi perché ancora il campo è praticamente vergine anche a livello internazionale – c’è il golf. Sport asimmetrico per eccellenza, assieme e più del tennis, vanta solo pochissimi colleghi in tutto il mondo che lo studiano e seguono a livelli professionistici. Uno, di provenienza turca, lavora in USA, l’altro è un francese proveniente dal mondo del calcio. L’unico che, a quanto ci è noto, si dedica però attivamente anche alla ricerca è l’italiano Massimo Messina, che da oltre 10 anni è osteopata di riferimento della nazionale maschile di golf dilettanti e accompagna otto atleti di caratura internazionale nei maggiori tour (PGA Tour e European Tour).
Dopo averlo intervistato nel 2014 (leggi qui), siamo tornati a confrontarci con lui mentre, dai campi dei campionati europei di Wroclaw, in Polonia, festeggiava la vittoria degli azzurri, che torneranno così in prima divisione nel campionato 2020.

Com’è giunto fin qui, ad occuparsi di golf?
«Il mio percorso di studi si è articolato in più fasi: prima la laurea in Scienze Motorie, poi la Massiofisioterapia e la Posturologia, quindi gli studi in Osteopatia. Attualmente sono all’ultimo anno del corso di laurea in Nutrizione. Il primo contatto con il mondo del golf è avvenuto vent’anni fa. Facevo il direttore di una palestra a Monza e mi chiesero di seguire un giovane promettente talento del golf. Da allora è venuto tutto da sé: prima la nazionale femminile, poi quella maschile, con cui annualmente viene stipulato un accordo».

Ma lei non si è fermato qui. È l’ideatore e il fondatore di INGG (Italian Network for golf goal), un team che gravita attorno al golfista e cerca di aiutarlo a prepararsi al meglio all’avventura sul campo. Ci parla di questo progetto?
Circa dieci anni fa, vedendo che non esisteva alcuno studio scientifico su osteopatia e golf e volendo far cultura a livello osteopatico, ho elaborato un progetto specifico. L’ho prima presentato alla federazione, poi avviato in autonomia. Così è nato INGG, un network di professionisti di varia natura che perseguono un unico obiettivo nell’ambito della preparazione, prevenzione e della terapia dell’atleta. Il progetto è stato presentato la prima volta a Roma alla scuola nazionale di golf di Sutri, poi nel 2017 abbiamo richiamato l’attenzione dei colleghi attraverso il primo workshop al Golf della Montecchia (Padova), a cui sono intervenuti maestri di golf, ortopedici, dermatologi, fisioterapisti, ciascuno con le proprie competenze. Il workshop è così diventato un appuntamento annuale, che sancisce l’esistenza di un protocollo di lavoro: oggi c’è dunque un pool di professionisti, tutti italiani, che affronta il golf in maniera scientifica, dal punto di vista biomeccanico, delle patologie acute e croniche, dei trattamenti pre e post partita, degli approcci a dilettanti e professionisti. E poi, attraverso studi scientifici, abbiamo capito, non solo a livello statistico, quali sono le patologie più diffuse, come prevenirle e come trattarle. Al mondo non esiste nulla di simile. Con questi precedenti, si aprono nuove prospettive e nuovi posti di lavoro. Il nostro obiettivo è adesso quello di diffondere quanto più possibile, tra i giovani professionisti, l’idea di questa opportunità. Vogliamo formare osteopati ed altri specialisti competenti in materia di golf, perché non accada più che un golfista di Roma con un blocco alla schiena debba raggiungere Monza perché non trova altri specialisti in grado di arrivare subito al nocciolo del problema».



Alla luce della sua esperienza, cosa consiglia ai giovani colleghi in cerca di un proprio cammino?
«Questo è un mondo in cui occorre investire molto, non in termini di danaro ma di tempo, di studio. Tutti vogliono salire sul carro dei vincitori – e uno sport “da benestanti” come il golf sembrerebbe perfetto in tal senso – ma bisogna prima sudare. Trovarsi un golfista tra i pazienti non è semplice, devi parlare la sua stessa lingua. Chiunque voglia partecipare alle nostre ricerche, creare documentazioni, movimentare interessi che attirino sponsor, è pertanto il benvenuto. Se siamo in 100 e non in 10 a voler investire nel progetto andremo prima più lontano di chiunque».

Ci diceva che il golfista si reca dall’osteopata in ultima istanza, quando il problema non è stato risolto dal fisioterapista o dal massaggiatore. Dal momento che questo sport è sempre più diffuso tra i giovanissimi, anche under 12, accade lo stesso per loro o c’è maggiore attenzione da parte dei genitori?
«Normalmente i giovani si avvicinano al golf perché ci gioca già un genitore o un nonno. Purtroppo, in Italia esistono pochissimi campi pubblici, quindi è difficile un approccio spontaneo. Quel che noto è che tanto spesso i genitori, già giocatori e con esperienze di trattamenti osteopatici, preferiscono portare in studio il bambino per un controllo preventivo, rinunciando a sé. Naturalmente la risposta maggiore in presenza di genitori già fidelizzati: hanno più interesse ed attenzione a far valutare figli e nipoti, perché intuiscono la valenza dell’osteopatia. Gli altri devono ancora scoprirlo. Il consiglio generale che do loro è ad ogni modo sempre lo stesso: mai praticare solo il golf fino a che l’età dello sviluppo non è terminata, perché lo swing, gesto principe del golf, è totalmente innaturali e un adolescente ha bisogno di sviluppare tutte le capacità coordinative e motorie».ù